La questione dell’indipendentismo catalano non è certamente qualcosa di nuovo, tant’è che le prime tracce di movimenti ostili alla Castiglia, il centro nevralgico della Spagna moderna, si trovano già nel XIV secolo. Nel corso dei secoli, Madrid e Barcellona hanno dato vita ad un lungo braccio di ferro, con l’alternarsi di periodi di forte centralismo da parte del governo ed altri di maggiori concessioni nei confronti della Catalogna e delle ulteriori entità che compongono il territorio sotto il controllo della monarchia iberica.
Il periodo peggiore nella storia recente è stato sicuramente quello della dittatura franchista, quando i catalani, favorevoli in massa alla fazione repubblicana, subirono una forte repressione dopo la vittoria di Francisco Franco nella guerra civile. Fu solamente alla morte del dittatore che, con la nuova costituzione del 1977, fu riconosciuto lo status delle comunità autonome come le conosciamo oggi.
L’INDIPENDENTISMO CATALANO NEGLI ANNI 2000
Con la democratizzazione della Spagna, la Catalogna e le altre comunità autonome hanno potuto godere di grande autonomia, peraltro ampliata nel 2006 con attribuzioni di maggiori poteri e prerogative sia in materia di autonomia fiscale, sia in ambito giudiziario e amministrativo. Il movimento indipendentista, tuttavia, era stato solamente sedato per qualche decennio dalle riforme e dalla congiuntura economica favorevole, ma è prontamente riemerso con l’esplosione della crisi economica del 2008.
Manifestazioni per l’indipendenza catalana si sono tenute a Barcellona nel 2010 e nel 2012, fino alla celebre Via Catalana dell’11 settembre 2013, quando 1.6 milioni di cittadini hanno formato una gigantesca catena umana lunga più di 400 km, ed in grado di attraversare ben 86 comuni. Non è del resto questa una caratteristica propria della Catalogna: le spinte indipendentiste traggono sempre forza dai periodi di crisi economica, quando si tende ad attribuire la colpa di qualsiasi cosa al governo centrale.
È solamente nelle ultime settimane, tuttavia, che la situazione è arrivata ad un vero punto di rottura: il braccio di ferro tra Madrid e Barcellona non è più solamente ideale (o al limite esplicitato nella rivalità calcistica), ma ha preso vita attraverso il referendum (illegale secondo la Costituzione spagnola) tenutosi in Catalogna, e la conseguente repressione selvaggia attuata dal Primo Ministro iberico, Mariano Rajoy. Nei tanti video che hanno fatto il giro della rete, si sono viste cose che se fossero accadute in Venezuela avrebbero fatto gridare alla violazione dei diritti umani da parte di Nicolás Maduro, mentre proprio nel Paese sudamericano l’opposizione al governo legittimo ha tenuto il suo pur illegale referendum-farsa con tanto di osservatori internazionali.
La questione da tenere in mente, tuttavia, non è quella della legittimità o meno del referendum (visto che si potrebbe far ricorso al principio di determinazione dei popoli, punto cardine del diritto internazionale, ed immischiarsi in una lunga diatriba giuridica che tuttavia non cambierebbe i sentimenti dei catalani), bensì la necessità di stabilire a chi possa giovare un’eventuale indipendenza catalana, che è esattamente la domanda alla quale proveremo a rispondere nei prossimi paragrafi.
L’INUTILE INDIPENDENZA DI CARLES PUIGDEMONT
Eletto alla presidenza della Generalitat de Catalunya nel 2006, Carles Puigdemont è divenuto una figura cardine del duello con Mariano Rajoy. L’indipendenza proclamata da costui, tuttavia, non genera nessun cambiamento reale nella vita dei catalani. Puigdemont sta semplicemente dando sfogo al suo sentimento catalanista (ed anche a quello di una vasta fetta della popolazione), ma, come spesso accade, non sta mettendo in dubbio nulla se non la formale appartenenza della Catalogna alla Spagna.
L’indipendenza proclamata in queste ore manterrebbe la Catalogna all’interno dell’Unione Europea, dove per altro, proprio per concessione della Spagna, è già autorizzata ad avere dei propri rappresentanti, e della NATO, e dunque non segnerebbe nessuna reale rottura con la realtà vigente. Sarebbe un’indipendenza farsesca, dal momento in cui gli stati nazionali europei sono già fortemente indeboliti da quel Leviatano che risponde al nome di Unione Europea: di fatto, la Catalogna si troverebbe a passare dallo status di vassallo di Madrid a quello di vassallo di Bruxelles. E non c’è neppure una piccola speranza che il soi-disant socialista Puigdemont decida di rompere con gli Stati Uniti e con il sistema economico iperliberista.
La storia e la cultura catalana possono anche giustificare una spinta indipendentista da parte di quel territorio, ma questa assumerebbe un significato concreto solamente a condizione di rompere ogni legame con l’Unione Europea e con la NATO, e di istituire un nuovo stato che sposi un modello economico realmente socialista, in contrasto con quelli di tutti i Paesi limitrofi. Solamente attraverso queste mosse lo scettro del potere cambierebbe padrone, finendo finalmente nelle mani del popolo catalano, mentre l’indipendenza proposta da Puigdemont non va ad intaccare la divisione della società in classi, mantenendo i privilegi di una grande borghesia internazionale alla quale i confini degli Stati nazionali, già fortemente privati della propria sovranità, non fanno né caldo né freddo.
In questa situazione, la frammentazione dello Stato spagnolo sarebbe addirittura una vittoria per la globalizzazione, che agisce in tutti i modi per sottrarre potere e sovranità agli Stati nazionali: da un lato con le ormai note cessioni di sovranità verso organismi sovranazionali come l’Unione Europea, dall’altro con l’istituzione di staterelli indipendentisti che vanno a smembrare i vecchi Stati-nazione di weberiana memoria. Proprio Max Weber, del resto, ci ricorda che uno dei principi degli Stati-nazione è l’inviolabilità dell’integrità del proprio territorio, il che spiega l’impetuosa reazione di Madrid, pur non giustificando le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine sulla popolazione civile.
Il doppio volto della questione dell’indipendentismo catalano è stata esplicitata anche da Diego Fusaro in un’intervista ad Intelligonews: “È una questione spinosa, come già quella della Scozia. Da un lato è giusto che ci siano tensioni di identità culturale, regionale e addirittura di nazioni diverse dentro lo Stato. Ma dall’altra parte è anche vero che questi processi indeboliscono gli Stati nazionali portandoli direttamente nella pentola mondialista che ha come obiettivo proprio la distruzione degli Stati nazionali”. Lo stesso filosofo, in una seconda intervista al medesimo sito, ha attaccato proprio la figura di Puigdemont, che, come sottolineavamo in precedenza, è completamente genuflesso ad un’Unione Europea che opprime il popolo catalano tanto se non più del governo di Madrid: “Fa ridere Puigdemont che vuole uscire dalla Spagna ma al tempo stesso chiede l’intervento dell’Europa. Assurdo non riconoscere lo stato spagnolo, riconoscendo nel contempo l’Unione Europea. Forse questo signore dovrebbe chiarirsi le idee, mi pare sia parecchio confuso e in contraddizione con se stesso. Non ha senso non riconoscere la Spagna e riconoscere l’Europa. Aggiungerei che è ridicolo”.
SOSTENERE UNA CATALOGNA SOCIALISTA
Se Puigdemont non mette assolutamente in dubbio l’inserimento di una eventuale Catalogna indipendente nell’ambito dell’Unione Europea, della NATO e dell’economia di mercato iperliberista, va comunque registrata la coesistenza di diverse anime all’interno del movimento indipendentista catalano. Sebbene in molti non abbiamo la coscienza sufficiente per realizzare la stretta interconnessione tra le questioni, esiste sicuramente una fetta della popolazione che spinge per l’istituzione di una Catalogna socialista, fuori dall’UE e dalla NATO.
Già nel 1934, in una lettera inviata alla Lega Comunista Internazionale (LCI), Lev Trotsky affrontava la questione dell’indipendenza catalana, sottolineando la necessità, da parte della classe proletaria, di prendere il comando del movimento indipendentista per dare nuova linfa alle forze rivoluzionarie europee. Per dirla con le parole del rivoluzionario russo, il proletariato catalano dovrebbe “prendere la testa della lotta difensiva contro il governo centrale reazionario di Madrid”.
Tuttavia, Trotsky si dimostra anche fortemente realista, e tra le sue tesi ne formula una che potrebbe adattarsi perfettamente alla situazione vigente: “A causa delle sue profonde divisioni interne che non gli permettono di stabilire la sua egemonia nella Catalogna, il proletariato non può, nella situazione attuale, proclamare per sé stesso l’indipendenza della Catalogna. Ma può e deve richiamare con tutte le sue forze all’indipendenza ed esigerla dal governo piccolo borghese di sinistra”.
Ciò non significa, tuttavia, accettare l’indipendenza a tutti i costi: il “governo piccolo borghese di sinistra” di Puigdemont dovrebbe dimostrare di avere realmente a cuore gli interessi del suo popolo, e non di essere piegato a quelli della finanza internazionale: la Catalogna dovrebbe mettere in dubbio la sua adesione a tutti i trattati internazionali stipulati dalla Spagna, compresi i trattati europei ed il Patto Atlantico, sottoponendoli a referendum popolare. Solamente in quel caso ci saranno i presupposti minimi per appoggiare un’indipendenza catalana che abbia realmente senso, e che non sia solamente un’operazione di facciata: del resto non è un caso che questa posizione sia appoggiata anche dai movimenti comunisti del resto della Spagna, Castiglia compresa.
BIBLIOGRAFIA
Catalogna, per Diego Fusaro bisogna seguire “la spia della finanza per capire” (22 settembre 2017)
Catalogna, Diego Fusaro: “Puigdemont ridicolo. Prevarrà logica di Soros” (2 ottobre 2017)
TROTSKY, Lev (1934), Lettera di Trotsky alla LCI sull’indipendenza catalana
WEBER, Max (1919), La politica come vocazione (Politik als Beruf)