Domenica 2 dicembre si sono tenute le elezioni regionali dell’Andalusia, una delle diciassette comunità autonome che compongono la Spagna. Il voto in Andalusia è considerato come fondamentale per le forze politiche iberiche, anche perché rappresenta la comunità più popolata del Paese, con quasi otto milioni e mezzo di abitanti sui 46.5 milioni che popolano tutto il regno. L’affluenza alle urne è stata pari al 56.4%, con un calo di quasi sei punti percentuali.
L’Andalusia è storicamente considerata al pari di quelle che in Italia venivano un tempo definite “regioni rosse”: sin dal 1978, ovvero dalla fine della dittatura franchista, il governo regionale è sempre stato saldamente guidato dai socialisti, rappresentanti dalla sezione denominata Partito Socialista Operaio Spagnolo di Andalusia (Partido Socialista Obrero Español de Andalucía, PSOE–A), per distinguerlo dal PSOE nazionale. Tuttavia, dal 2004, quando i socialisti ottennero la maggioranza assoluta dei voti, le percentuali del PSOE-A sono andate gradualmente calando, raggiungendo nel 2015 un minimo storico al 35.41%. In quell’occasione, l’alleanza con la coalizione della sinistra radicale ed ecologista (Izquierda Unida Los Verdes–Convocatoria por Andalucía, IULV–CA) permise alla candidata Susana Díaz di ottenere comunque il mandato di presidente della comunità autonoma.
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Tuttavia, la situazione dei socialisti è ulteriormente peggiorata con le elezioni di quest’anno, dove Susana Díaz si ricandidava per un secondo mandato: il PSOE-A, infatti, ha superato di poco il milione di consensi, restando il primo partito, ma con appena il 27.95% delle preferenze, quasi la metà rispetto a quattordici anni fa. Con questa perdita elettorale, il partito storico del centro-sinistra andaluso ha dovuto cedere anche quattordici scranni all’interno del parlamento regionale, composto da 109 seggi.
La sinistra radicale, questa volta presentatasi sotto la sigla della coalizione Adelante Andalucía (Avanti Andalusia, AA), composta da Podemos, Izquierda Unida ed altre sigle, ha a sua volta accusato una flessione, ottenendo il 16.18% delle preferenze, e perdendo tre seggi. I trentatré deputati socialisti ed i diciassette rappresentanti della lista guidata da Teresa Rodríguez, dunque, risultano insufficienti per raggiungere la maggioranza assoluta di 55 seggi.
A questo punto, lo scenario più plausibile è quello di una coalizione tra le tre liste situate a destra dello spettro elettorale andaluso. Dall’altra parte dell’emiciclo, il Partito Popolare (Partido Popular de Andalucía, PP), ovvero il centro-destra “tradizionale”, resta la forza principale con il 20.75% dei consensi, anche se la formazione condotta da Juan Manuel Moreno ha comunque accusato una perdita di sei punti percentuali, passando da trentatré a ventisei deputati eletti. Cresce invece la lista populista Ciudadanos (ufficialmente Ciudadanos–Partido de la Ciudadanía) di Juan Marín, che passa da nove a ventuno seggi, con il 18.27% dei suffragi (praticamente il doppio rispetto al 2015), ma la vera sorpresa è costituita da Vox, il partito di estrema destra, che per la prima volta ha potuto eleggere dei deputati in un parlamento regionale ben dodici con il 10.97%.
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Diventando il quinto partito più grande di Andalusia, Vox ha causato non poco allarmismo tra i media spagnoli, visto che quello ottenuto in questa “regione rossa” è il più grande successo dell’estrema destra dalla fine della dittatura franchista. Soprattutto, il partito di Francisco Serrano ha ottenuto il terzo posto nel collegio elettorale di Almería, una delle province andaluse, terminando alle spalle del PP e del PSOE-A. Allo stesso tempo, nonostante le due forze politiche “tradizionali” mantengano le prime due posizioni, si tratta del peggior risultato di sempre sommando i voti dei due partiti, che in passato avevano sempre accumulato ben oltre il 50% delle preferenze.
Infine, non vanno sottovalutate le ripercussioni di questo voto su scala nazionale. Il crollo dei socialisti e la flessione della sinistra possono essere considerati come un segnale negativo per il governo di Pedro Sánchez, alla guida del governo da soli sei mesi, dopo la sfiducia votata a giugno contro Mariano Rajoy. L’attuale premier potrebbe passare dunque per colui che per la prima volta nella storia della Spagna democratica ha concesso il governo dell’Andalusia ad una coalizione di centro-destra, certamente non un punto a favore nel suo curriculum politico. Non dimentichiamo, del resto, che – ammesso che l’attuale governo riesca ad arrivare a fine legislatura, in Spagna si andrà al voto legislativo tra meno di due anni. Altri analisti, invece, hanno scagionato Sánchez, ricordando che Susana Díaz è in realtà una sua acerrima rivale interna, e che la sua perdita di consensi sarebbe dovuta alle politiche messe in atto dal governo regionale negli ultimi tre anni. Nel tentativo di evitare la perdita del governo dell’Andalusia, la presidente uscente ha invece invitato tutte le forze moderate a formare una coalizione “per arginare l’ascesa della destra estrema”.