Il problema, a ben vedere, non sta nel fatto che Salvini posti i selfie di lui che mangia pane e Nutella nel giorno in cui Catania trema e, a Pesaro, il fratello di un collaboratore di giustizia viene ucciso dalla ndrangheta.
Il problema risiede molto più a monte nel tempo, per la precisione nel momento in cui abbiamo deciso che, per un uomo politico, fosse importante essere simile o uguale al proprio elettorato.
Fino a qualche anno fa, il popolo desiderava che chi governava fosse “migliore” degli altri.
Più colto, più preparato, più in grado di decidere su questioni delicate e complesse rispetto a quanto non lo sarebbe potuto essere il vicino di casa.
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Poi, arrivò il grillismo.
Quel fenomeno che intendeva mettere “la massaia che sa far tornare i conti” a fare il ministro dell’economia e candidava “gente comune”, in quanto “gli esperti avevano fallito”.
Il ragionamento era un po’ tipo: “Quel pilota di aerei ha fatto schiantare il suo Boeing 747 contro una montagna, da oggi in poi, allora, facciamo guidare i Boeing 747 al postino e al veterinario, così non succederà più”, ma agli italiani, in quel momento, sembrò un’idea davvero brillante.
Da allora, infatti, una parte del nostro paese ha deciso di fidarsi solo di ciò che riconosce, di quello che capisce, e di diffidare al tempo stesso di coloro che ostentano “conoscenza”.
È un po’ lo stesso fenomeno che ha portato a deviazioni mentali clinico/patologiche come quella dei “no vax”: chi ci dice che l’immunologo e il virologo siano più affidabili della parrucchiera che ha letto un sacco di blog complottisti su Internet? Nessuno.
E Salvini, infatti, posta gattini, pizze, nutelle e orrendi piatti di pasta, proprio come la base del suo elettorato.
O meglio, lo fa il suo social media manager, che evidentemente aveva programmato di postare la foto del suo boss felpato con la Nutella prima di sapere dei fatti di Catania e Pesaro.
Tanto poi, alle brutte, che succede?
Succede che chi si oppone alle politiche xenofobe e aberranti di Salvini viene fatto passare per “uno che fa polemica sulla Nutella” mentre lui, in realtà, passa la giornata tra Catania e Pesaro.
E il gioco è fatto. Ha vinto ancora lui.
[sostieni]
Ieri è morto il fratello di un uomo che era sotto la protezione dello Stato, è stato ucciso dalla ndrangheta.
Ed è morto a pochi giorni dalle grottesche dichiarazioni del ministro dell’interno che annunciava l’imminente sconfitta della mafia in Italia.
E lui come risponde?
Dice le parolacce alla mafia.
La insulta. Dice che è “merda”, come se fosse un novello Peppino Impastato in salsa padana.
Ma Peppino Impastato la combatteva davvero la mafia, non si limitava a dire che “È una montagna di merda”.
Non rendeva disponibili ad essere ricomprati i beni sequestrati ai boss, ad esempio.
Tanto è vero che la mafia l’ha ucciso.
E non è successo perché aveva detto le parolacce come un bambino che vuole fare il trasgressivo, fidatevi.
A Salvini non frega nulla né di Catania né della mafia, in realtà.
A lui interessa postare la Nutella.
Perché sa che, se noi parliamo della Nutella, tutto il resto passa in secondo piano: dalla legge di stabilità fallita alle tragedie del giorno.
Invece di guardare che ci hanno tolto la luna, in pratica, stiamo ancora una volta tutti qui a parlare del dito sporco di Nutella.
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