Lo scorso 26 gennaio ricorrevano i cento anni dalla nascita di Nicolae Ceaușescu, Presidente della Repubblica Socialista di Romania dal 1974 fino al dicembre 1989, quando fu deposto ed assassinato da un colpo di stato che viene generalmente definito come “rivoluzione rumena”. Ceaușescu è stato generalmente dipinto come uno dei più sanguinari leader del comunismo novecentesco, tuttavia non va dimenticato che fu anche elogiato dai politici nostrani, compreso Giulio Andreotti, quando il capo di stato rumeno prese posizioni divergenti nei confronti dell’Unione Sovietica: in ogni caso si trattò di mere scelte di comodo, dettate dagli equilibri internazionali del momento.
CRESCE LA NOSTALGIA PER IL SOCIALISMO
Nonostante l’immagine negativa propagandata per decenni, nel giorno del centenario della sua nascita, migliaia di rumeni hanno organizzato attività commemorative, a dimostrazione di una crescente nostalgia nei confronti dell’epoca socialista, pur con le sue problematiche. Non uno sparuto gruppo di militanti di qualche partito estremista, ma cittadini comuni, soprattutto persone che quell’epoca l’hanno vissuta e la rimpiangono.
Intervistati da diversi media internazionali, come il sito internet svizzero 24heures, i partecipanti all’omaggio sulla tomba del “Conducator” hanno spiegato in maniera semplice ma efficace ciò che li spinge a ricordare Ceaușescu: “Non c’era la disoccupazione, tutti avevano una casa, i frigoriferi erano sempre pieni”. E ancora: “Gli uomini politici attuali sarebbero capaci di fare quello che ha fatto Ceaușescu? Tutt’altro, non fanno che rubare”.
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Insomma, se vi erano delle innegabili criticità nel sistema socialista rumeno, queste non hanno fatto che aumentare con il passaggio all’economia di mercato, acutizzandosi ulteriormente con l’entrata della Romania nell’Unione Europea. Ceaușescu, al contrario, viene visto sempre più come l’icona di un passato glorioso, di una Romania che aveva un peso sul piano internazionale ed un equilibrio interno.
Secondo un sondaggio pubblicato nel 2015 dall’Ires, il 66% dei cittadini rumeni preferirebbe Ceaușescu all’attuale classe dirigente, un dato in netta crescita rispetto al già importante dato del 41% fatto registrare nel 2010. Il 70% dei rumeni, addirittura, ha affermato che ai tempi del “Conducator” si viveva meglio. Ma com’è possibile una simile nostalgia nei confronti di quello che viene dipinto come uno dei più sanguinari dittatori dell’Europa orientale? Le risposte sono sostanzialmente due: in prima battuta, la propaganda ha attribuito a Ceaușescu colpe ben più gravi di quelle che gli dovevano essere imputate; in secondo luogo, i cittadini rumeni hanno capito, provandolo sulla propria pelle, che, se il socialismo reale poneva dei problemi, questi non hanno fatto che ingigantirsi con il passaggio all’economia di mercato.
LA ROMANIA OGGI, IL PAESE PIÙ POVERO D’EUROPA
Come tutti i Paesi dell’Europa orientale, la Romania ha affrontato una profonda crisi economica nel passaggio da un’economia pianificata di tipo socialista ad un modello economico di libero mercato. Analizzando i dati del PIL pro capite, ad esempio, si nota una netta flessione proprio al momento della cosiddetta “rivoluzione” e della deposizione di Ceaușescu, e solamente negli ultimi anni il Paese è riuscito a tornare sui livelli degli anni ‘80.
Secondo i dati dell’Eurostat, poi, la Romania è oggi il Paese più povero dell’Unione Europea, con quasi la metà della popolazione che vive sotto la soglia di povertà (il 49.7%, per la precisione), pari a 9.8 milioni di persone sui circa 20 milioni che abitato la patria di Ceaușescu. Tutti dati che sono andati aumentando ulteriormente da quando la Romania è divenuta membro dell’Unione Europea, assumendo di fatto il ruolo di fornitore di manodopera migrante a basso costo per il resto del continente oppure in loco per le imprese delocalizzate.
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Dall’altra parte, anche le eccellenze dell’epoca comunista, in particolare l’istruzione e la ricerca scientifica, sono state messe a repentaglio dalle privatizzazioni, divenendo sempre più un privilegio esclusivo per una piccola parte della popolazione.
A ciò si aggiunga anche un fattore psicologico legato alla delusione: quando la Romania ha operato il passaggio all’economia di mercato, ai cittadini è stato raccontato che sarebbero andati verso un futuro florido. Al contrario, quelle colpe che venivano attribuite al sistema comunista, sono emerse ancor più nitidamente negli ultimi vent’anni, precipitando larghe fasce della popolazione nella povertà, mentre la Romania è divenuto il Paese più corrotto d’Europa.
LA VERA STORIA DELLA “RIVOLUZIONE RUMENA”
Come abbiamo detto, la propaganda anticomunista ci ha raccontato di una “rivoluzione rumena” che avrebbe liberato il popolo dall’oppressione del malvagio dittatore. Tuttavia, la verità storica emersa negli ultimi anni sembra ben diversa. Il giornalista rumeno Grigore Cristian Cartianu si è cimentato in un’opera di ricerca, pubblicando un libro edito in Italia con il titolo “La fine dei Ceausescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche” (2012). Secondo il quadro ricostruito da Cartianu, nel 1989 vi fu certamente una rivolta popolare, ma questa fu fomentata tuttavia dall’esterno.
Fu un connubio di interessi ad unire, per una volta, gli Stati Uniti di George Bush senior e l’Unione Sovietica, oramai già destinata al collasso sotto la guida di Michail Gorbačëv. Mosca non aveva apprezzato le mosse di Ceaușescu, che aveva assunto posizioni non allineate su parecchie questioni, e Washington non vedeva l’ora di far crollare almeno uno dei bastioni comunisti dell’Europa Orientale. E così fu: le rivolte incoraggiate dalle due superpotenze colsero il “Conducator” in fallo, quando decise di reprimere le proteste, causando moti ancora più massicci. Il tutto fino al tradimenti di alcuni dei suoi fedelissimi, che di fatto ne sancirono la fine e la condanna a morte per fucilazione insieme alla moglie Elena.
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Tuttavia, ricorda ancora Cartianu, l’epoca d’oro promessa non è mai arrivata per la Romania: il nuovo governo, formato principalmente da ex comunisti rimasti fedeli a Mosca, si dimostrò subito tanto repressivo quanto quello di Ceaușescu, soprattutto nei confronti dei giornalisti, e, come abbiamo avuto modo di analizzare in precedenza, il tanto sperato miracolo economico si è tradotto in un vero e proprio incubo per la maggioranza della popolazione.
BIBLIOGRAFIA
CARTIANU, G. C. (2012), La fine dei Ceausescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche