Inizialmente previste per il 23 dicembre, le elezioni generali della Repubblica Democratica del Congo si sono tenute domenica 30 dicembre, con in programma soprattutto l’elezione del nuovo capo di Stato, dopo che il presidente Joseph Kabila, salito al potere nel 2001, subito dopo l’assassinio del padre Laurent-Désiré Kabila, ha annunciato la propria intenzione di non ricandidarsi per un nuovo mandato.
Tra i ventuno candidati alla presidenza ammessi a queste elezioni, molti vedevano come favorito Emmanuel Ramazani Shadary, ex ministro degli Interni e braccio destro di Kabila, con il quale ha fondato, nel 2002, il Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia (in francese: Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Démocratie – PPRD), formazione che si autoproclama socialdemocratica. Tra i candidati dell’opposizione, invece, i più in vista erano Félix Tshisekedi, esponente dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (Union pour la Démocratie et le Progrès Social) e Martin Fayulu, noto uomo d’affari che rappresenta la Dinamica dell’Opposizione Politica Congolese (Dynamique de l’Opposition Politique Congolaise).
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Già prima delle elezioni, tuttavia, non sono mancate le polemiche per l’esclusione di alcuni candidati da parte della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI): in particolare, Moïse Katumbi Chapwe, che ha anche origini italiane, membro del partito di governo fino al 2015, ma poi divenuto uno dei più strenui oppositori della presidenza Kabila. In passato, The Economist lo descrisse come il secondo uomo più potente del Paese dopo lo stesso capo di Stato, ma la sua caduta in disgrazia agli occhi di Kabila lo ha poi portato alla perdita del ruolo di governatore del Katanga ed all’esilio. Proprio l’impossibilità a rientrare nel Paese ha costretto Katumbi a dover vedere la propria candidatura respinta.
Paese più esteso d’Africa e popolato da ben oltre ottanta milioni di persone, la Repubblica Democratica del Congo è anche uno dei territori più ricchi di materie prime al mondo. Paradossalmente, i grandissimi giacimenti minerari (soprattutto diamanti, oro e coltan, ma anche cobalto, zinco, rame, uranio e petrolio) hanno reso questo vastissimo Paese il teatro di infiniti conflitti, sin dall’assassinio, nel 1961, del primo presidente Patrice Lumumba, rendendo la popolazione congolese una delle più povere del mondo. Non deve sorprendere, dunque, quello che sta accadendo in queste ore, con forti ritardi nella pubblicazione dei risultati e numerosi scontri che si stanno espandendo in tutto il Paese. In gioco, infatti, non ci sono solamente gli interessi delle élite locali, ma anche quelli di tantissime multinazionali straniere, soprattutto provenienti da Stati Uniti, Belgio, Francia e Cina, che negli ultimi anni ha investito moltissimo in questo Paese del tutto artificiale, in realtà suddiviso in province in continuo conflitto tra loro.
[sostieni]
Secondo diverse organizzazioni internazionali, la Repubblica Democratica del Congo è attualmente attraversata da ben sei conflitti diversi:
- l’insurrezione delle Forze Democratiche Alleate, iniziata nel 1996, che ha causato oltre temila morti;
- il conflitto dell’Ituri, iniziato nel 1999, con oltre sessantamila morti;
- il conflitto del Kivu, cominciato nel 2004, causa di circa dodicimila decessi;
- gli scontri tra le etnie Batwa e Luba, che hanno causato la morte di oltre cinquecento persone dal 2013;
- la ribellione della milizia Kamwina Nsapu, che dal 2016 ha causato circa ottocento decessi;
- l’insurrezione dell’esercito di Resistenza del Signore, il conflitto più antico e sanguinoso, che dal 1987 ha causato oltre centomila morti e che si estende fino alla Repubblica Centrafricana, anche se sembra aver perso di intesità negli ultimi anni.
La Commissione Elettorale, per bocca del presidente Corneille Nangaa, ha affermato di aver ricevuto meno della metà dei risultati nella giornata di sabato, rendendo di fatto impossibile la pubblicazione dei risultati provvisori per il 6 gennaio, come era stato invece annunciato in precedenza. Dall’altro lato, la potentissima Chiesa Cattolica congolese, riunita nella CENCO (Conférence Episcopale Nationale du Congo), ha affermato di conoscere l’esito delle elezioni, pur essendo vietato per legge pubblicare i risultati prima della CENI. La CENCO non ha dunque fatto nomi, ma tutto lascia pensare che il riferimento fosse ad una vittoria di uno dei candidati dell’opposizione, verosimilmente Martin Fayulu, che ha sempre riscosso le simpatie dei cattolici. Il presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Marcel Utembi, ha detto che eventuali tensioni e scontri nel Paese saranno responsabilità della CENI, dicendosi oltretutto preoccupato per eventuali brogli (in favore del candidato di Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary, aggiungiamo noi leggendo tra le righe).
Mentre nel Paese sale la tensione, gli analisti hanno fatto notare come, nella sua storia d’indipendenza, la Repubblica Democratica del Congo non ha mai vissuto un passaggio di potere esente da spargimenti di sangue. Dopo una cruenta lotta per l’indipendenza e l’emergere del primo presidente Patrice Lumumba, questi fu tradito ed assassinato nel 1961, e sostituito dal suo ex collaboratore Joseph-Désiré Mobutu, che mantenne un potere dittatoriale fino al 1997 con il nome di Mobutu Sese Seko. Mobutu, che rinominò il Paese come Zaire, fu deposto da Laurent-Désiré Kabila con un colpo di Stato militare, approfittando dei conflitti che imperversavano in Congo e nei Paesi limitrofi (Uganda e Ruanda), che appoggiarono il suo operato. Mobutu fuggì in Marocco, dove morì di cancro poco tempo dopo, mentre Kabila, come ricordato in precedenza, fu ucciso in occasione di un golpe nel 2001, venendo poi sostituito dal figlio.