Sono stati pubblicati giovedì 10 gennaio, con quattro giorni di ritardo rispetto a quanto annunciato, i risultati delle elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo. La tornata elettorale, che si è tenuta lo scorso 30 dicembre, avrebbe incoronato, secondo quanto pubblicato dalla Commisione Elettorale Indipendente (CENI), Félix Tshisekedi, membro dell’opposizione. L’affluenza alle urne è stata del 47.56%.
Potrebbe essere arrivato il momento di una storica svolta nelle vicende della Repubblica Democratica del Congo, l’ex colonia belga che a lungo è stata conosciuta anche con il nome di Zaire. Per la prima volta dall’indipendenza, il Paese sembra destinato ad assistere ad un passaggio di potere senza omicidi e colpi di Stato. I risultati delle elezioni presidenziali, smentendo le previsioni della vigilia, hanno infatti incoronato il candidato dell’opposizione Félix Tshisekedi, leader dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (Union pour la Démocratie et le Progrès Social – UDPS), che avrebbe ottenuto il 38.57% dei consensi. Secondo i dati pubblicati fino ad ora dalla CENI, Tshisekedi avrebbe battuto per meno di settecentomila voti un altro esponente dell’opposizione, Martin Fayulu, noto uomo d’affari che rappresenta la Dinamica dell’Opposizione Politica Congolese (Dynamique de l’Opposition Politique Congolaise), accreditato del 34.83%. Fayulu era inoltre appoggiato dalla potentissima Chiesa Cattolica congolese, riunita nella CENCO (Conférence Episcopale Nationale du Congo), che ha subito protestato per la sconfitta del proprio candidato prediletto. Pesante sconfitta, invece, per Emmanuel Ramazani Shadary, ex ministro degli Interni e braccio destro del presidente uscente Joseph Kabila, con il quale aveva fondato, nel 2002, il Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia (Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Démocratie – PPRD): il candidato del partito di governo si è fermato al 23.84%.
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Come il presidente uscente Joseph Kabila, che nel 2001 aveva preso il potere dopo l’assassinio del padre Laurent-Désiré Kabila, anche il prossimo presidente vanta un genitore illustre nel mondo della politica congolese. Félix è infatti figlio di Étienne Tshisekedi, che aveva ricoperto per tre mandati l’incarico di primo ministro dello Zaire sotto la presidenza di Mobutu Sese Seko. Étienne è poi divenuto uno dei principali oppositori durante la presidenza dei due Kabila, fino alla sua morte, avvenuta nel 2017. Il figlio Félix, invece, ha incominciato a fare politica tardivamente all’interno del partito del padre, l’UDPS, venendo eletto deputato nel 2011. Dopo la morte del padre, però, ha ottenuto il ruolo di leader del partito, venendo di conseguenza candidato alle elezioni presidenziali.
Anche se i due principali candidati sconfitti si sono subito attivati per contestare l’esito delle votazioni, che comunque dovrebbe essere confermato nella prossima settimana (il 18 gennaio è previsto l’inizio del mandato presidenziale di Tshisekedi), i tempi sembrano finalmente maturi affinché il Congo, che di democratico fino ad oggi ha avuto solo il nome, possa essere protagonista di un passaggio di consegne privo di grandi spargimenti di sangue. La storia del Paese, al contrario, è sempre stata molto cruenta, sin dall’inizio della colonizzazione belga. Dopo una cruenta lotta per l’indipendenza e l’emergere del primo premier Patrice Lumumba, questi fu tradito ed assassinato nel 1961, e sostituito dal suo ex collaboratore Joseph-Désiré Mobutu, che mantenne un potere dittatoriale fino al 1997 con il nome, come accennato iun precedenza, di Mobutu Sese Seko. Mobutu, che rinominò il Paese come Zaire, fu deposto da Laurent-Désiré Kabila con un colpo di Stato militare, approfittando dei conflitti che imperversavano in Congo e nei Paesi limitrofi (Uganda e Ruanda), che appoggiarono il suo operato. Mobutu fuggì in Marocco, dove morì di cancro poco tempo dopo, mentre Kabila, fu ucciso in occasione di un golpe nel 2001, venendo poi sostituito dal figlio.
[sostieni]
Ciò non vuol comunque dire che la Repubblica Democratica del Congo sia un Paese pacifico, visto che è ancora oggi uno dei luoghi più violenti al mondo. Paese più esteso d’Africa e popolato da ben oltre ottanta milioni di persone, unificato artificialmente dai colonizzatori belgi, la Repubblica Democratica del Congo è anche uno dei territori più ricchi di materie prime al mondo, abitato però da una delle popolazioni più povere del globo. Paradossalmente, i grandissimi giacimenti minerari (soprattutto diamanti, oro e coltan, ma anche cobalto, zinco, rame, uranio e petrolio) hanno reso questo vastissimo Paese il teatro di infiniti conflitti. In gioco, poi, non ci sono solamente gli interessi delle élite locali, ma anche quelli di tantissime multinazionali straniere, soprattutto provenienti da Stati Uniti, Belgio, Francia e Cina, che negli ultimi anni ha investito moltissimo in questo Paese che di unitario ha ben poco, essendo in realtà suddiviso in province in continuo conflitto tra loro.
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Secondo diverse organizzazioni internazionali, la Repubblica Democratica del Congo è attualmente attraversata da ben sei conflitti diversi:
- l’insurrezione delle Forze Democratiche Alleate, iniziata nel 1996, che ha causato oltre temila morti;
- il conflitto dell’Ituri, iniziato nel 1999, con oltre sessantamila morti;
- il conflitto del Kivu, cominciato nel 2004, causa di circa dodicimila decessi;
- gli scontri tra le etnie Batwa e Luba, che hanno causato la morte di oltre cinquecento persone dal 2013;
- la ribellione della milizia Kamwina Nsapu, che dal 2016 ha causato circa ottocento decessi;
- l’insurrezione dell’esercito di Resistenza del Signore, il conflitto più antico e sanguinoso, che dal 1987 ha causato oltre centomila morti e che si estende fino alla Repubblica Centrafricana, anche se sembra aver perso di intensità negli ultimi anni.
Staremo a vedere, dunque, se Félix Tshisekedi, al quale auguriamo una presa del potere pacifica, dimostrerà di essere all’altezza del ruolo che i cittadini gli hanno affidato: essere presidente della Repubblica Democratica del Congo, nel bene e nel male, significa infatti essere in grado di trovare un compromesso tra decine di istanze contrastanti che provengono tanto dal frammentario contesto interno quanto dalle potenze straniere.