Un processo elettorale già di per sé lunghissimo e complesso, reso ancora più complesso dai suoi protagonisti: è quello che è avvenuto in Papua Nuova Guinea, Paese molto povero, considerato come il confine convenzionale tra Oceania ed Asia, su di un’isola, la Nuova Guinea, divisa a metà con l’Indonesia. Le operazioni di voto in Papua Nuova Guinea hanno avuto inizio lo scorso 24 giugno e si sono concluse l’8 luglio, mentre i risultati ufficiali sono stati pubblicati solamente nelle ultime ore. Delle lungaggini che non hanno fatto altro che aumentare i sospetti, la tensione e i conflitti tra le parti.
ANTEFATTI, SISTEMA ELETTORALE E CANDIDATI
Dopo le elezioni del 2012, era stato formato un nuovo governo guidato da Peter O’Neill e dal People’s National Congress (PNC), che ha mantenuto il potere negli ultimi cinque anni. La campagna elettorale è stata caratterizzata anche dal ritiro dalla vita pubblica di uno storico protagonista del panorama politico della Papua Nuova Guinea, l’ottantunenne Michael Somare, che guidò il primo governo dopo l’indipendenza del Paese dalla Gran Bretagna, nel 1975, ma che sedeva in Parlamento sin dall’istituzione dell’Assemblea del 1968, un organo preposto a preparare la Papua Nuova Guinea alla piena indipendenza. In totale, Somare ha ricoperto il ruolo di deputato per 49 anni consecutivi.
Per quanto riguarda il sistema elettorale, questo prevede il voto preferenziale con la possibilità di esprimere tre preferenze. Ad essere eletti sono i candidati che superano il 50% delle preferenze. In totale, sono 111 seggi da distribuire per formare il nuovo parlamento unicamerale del Paese.
In pole position per questa competizione elettorale c’era il primo ministro uscente, Peter O’Neill, sempre spalleggiato dal suo People’s National Congress. L’opposizione era invece guidata da Don Polye, esponente del Triumph Heritage Empowerment Party (THE Party). Tra le forze più piccole c’era invece il Papua New Guinea National Party di Kerenga Kua.
IL CONTESTO DELLE ELEZIONI
Tutto il processo elettorale, dalla campagna elettorale fino alle stesse operazioni di voto, ha avuto luogo in un clima di grande tensione. Durante la campagna elettorale ci sono stati numerosi scontri tra le due fazioni principali, con quattro persone che sono morte e diversi candidati che sono stati aggrediti. Nel mese di maggio si è verificata anche la morte del parlamentare Ezekiel Anisi, probabilmente per ragioni naturali, che però ha contribuito a riscaldare un’aria già pesante. Proprio nel corso della campagna elettorale, si è poi verificato un importante furto di 160 milioni di kina (circa 44 milioni di euro) presso la Banca Centrale della Papua Nuova Guinea, e molti osservatori hanno valutato come quei soldi potessero essere usati per corrompere gli elettori.
Nemmeno nel corso delle operazioni di voto sono mancati gli incidenti. In molte zone del Paese, l’inizio delle votazioni è stato rimandato di diversi giorni. Diversi ufficiali elettorali sono stati arrestati, ed alcuni di questi sono stati trovati in possesso di ingenti somme di danaro e di schede elettorali false o trafugate.
Secondo l’opposizione, è soprattutto il partito di governo a celarsi dietro i disordini che sta vivendo la Papua Nuova Guinea. Il governo ha schierato la polizia e l’esercito per far fronte alle proteste dei cittadini, colpiti negli ultimi anni da pesanti tagli sul già misero budget destinato alla sanità pubblica e dal crollo verticale dei salari. Tutto il contrario di quanto promesso nel 2012, quando O’Neill fu eletto al grido di “sanità ed istruzione gratuite per tutti”. Molte ONG hanno registrato un netto aumento della denutrizione nel Paese, soprattutto infantile. Il governo, inoltre, si è preoccupato di far cancellare dai registri elettorali numerosi nomi di membri dell’opposizione, compresi due ex primi ministri come Rabbie Namilu e Mekere Morauta.
Secondo Morauta, il PNC sapeva di uscire sconfitto nel caso di regolari elezioni, e dunque non aveva altri mezzi per ottenere la vittoria se non quello dell’inganno. I più pessimisti dicono che O’Neill, dopo cinque anni di governo, starebbe preparando l’instaurazione di una vera e propria dittatura sul Paese.
Tuttavia, non vanno nemmeno celate le colpe dell’opposizione, incapace di mettere in piedi un programma elettorale per far fronte a quello del governo in carica. I partiti avversari di O’Neill, anziché individuare nei pesanti tagli alla spesa pubblica una delle ragioni della crisi del Paese, hanno accusato il governo di non aver gestito bene il budget dello stato, promettendo tagli ancora maggiori.
Il partito di governo dal canto suo, ha affermato che il processo elettorale si sarebbe svolto regolarmente, in maniera più democratica rispetto a quelli delle passate tornate. Nonostante non siano ancora stati pubblicati risultati ufficiali in nessuna circoscrizione, il PNC si era detto anche sicuro di vincere, e di poter dunque formare un nuovo governo, sempre guidato da O’Neill, a partire dal mese di agosto.
A complicare la situazione ci sono state anche le dimissioni dei tre membri della commissione elettorale nazionale, i cui pareri sono stati ignorati dalle istituzioni competenti, e che hanno denunciato brogli, corruzione ed altre irregolarità nel corso del processo elettorale.
Per quanto riguarda gli osservatori internazionali, provenienti soprattutto da Australia e Nuova Zelanda, i commenti sono stati pressapoco univoci: le elezioni non si sono svolte nel migliore dei modi, tuttavia, dicono, il processo elettorale è stato “accettabile”. Non va dimenticato, del resto, che l’Australia ha stretto numerosi accordi con il governo di O’Neill, fornendo anche addestramento alle truppe della Papua Nuova Guinea, le stesse poi schierate dal governo per contenere le proteste.
I RISULTATI: VITTORIA DEL PNC E FRAMMENTAZIONE
I risultati elettorali, anche se non ancora completi, hanno confermato il ruolo del People’s National Congress come primo partito del Paese, seppur con solamente 25 seggi. Il PNC aveva infatti ottenuto 27 deputati nelle ultime elezioni, ma nel corso della legislatura aveva incassato il sostegno di altri membri del parlamento, portandosi fino a 54 seggi. Con 25 deputati sui 111 facenti parte dell’Assemblea, O’Neill dovrà prodigarsi nel gioco delle alleanze per restare il primo ministro del Paese.
Il quadro molto frammentario delle elezioni vede il crollo di Don Poyle e del suo THE Party, che passa dai dodici seggi delle precedenti elezioni a solamente tre deputati. Sotto le attese anche il PNG National Party di Kerenga Kua, che ha eletto appena quattro rappresentanti. La seconda forza del Paese diventa così il National Alliance Party (NAP), che sotto la guida di Patrick Pruaitch ha ottenuto tredici seggi: già alleato di O’Neill nel precedente governo, Pruaitch potrebbe permettere al primo ministro uscente di continuare a mantenere il bastone del comando. Bene anche il Pangu Party (Papua and Niugini Union Pati) di Sam Basil, che con undici rappresentanti potrebbe diventare la prima forza di opposizione.
In totale, sono ben diciannove i partiti ad aver eletto almeno un deputato. A questi vanno aggiunti i dodici candidati indipendenti eletti ed i quindici seggi che, tra le lungaggini elettorali, non hanno ancora trovato un padrone ed i numerosi riconteggi richiesti dalle varie forze politiche. Ad ogni modo, O’Neill dovrebbe restare in carica come primo ministro, stringendo un’alleanza con il NAP ed altre forze politiche minori, esattamente come accaduto nella precedente legislatura.