Il Nepal è una piccola repubblica federale situata tra la Cina e l’India, con una superficie pari a meno della metà di quella dell’Italia ed una popolazione che sfiora i 30 milioni di abitanti. Privo di sbocco al mare, il Nepal è noto soprattutto agli alpinisti per ospitare alcune delle montagne più alte del mondo, a partire dall’Everest, situato al confine con la Cina: otto delle quattordici vette che superano gli 8.000 metri si trovano infatti in questo Paese.
Tuttavia, il Nepal offre spunti anche dal punto di vista politico. Divenuto una repubblica solo dieci anni fa, dopo una lunga storia monarchica, lo spettro partitico del Nepal appare decisamente spostato verso sinistra, tanto da suggerirci il titolo di cui sopra, volutamente provocatorio – ma neanche troppo – per indicare come alcuni gruppi politici nostrani che si autoprofessano di sinistra o centro-sinistra non siano in effetti tali.
La gran parte della soi-disant sinistra nostrana, infatti, ha da tempo abbracciato il liberismo come sua unica professione, mettendo in atto quelle riforme che neppure il centro-destra berlusconiano era riuscito a realizzare. Per confronto, possiamo considerare le ultime elezioni legislative nel Paese hiamalayano, tenutesi tra il novembre ed il dicembre dell’anno appena conclusosi, dove ad imporsi è stato il Partito Comunista del Nepal (Unificato Marxista-Leninista), che ha raccolto il 33.25% dei consensi e 121 dei 275 seggi che compongono il Parlamento nepalese. Il Partito Comunista del Nepal (Unificato Marxista-Leninista) è tra l’altro anche il partito del capo di stato, Bidhya Devi Bhandari, prima donna a ricoprire questo ruolo dopo essere stata eletta nel 2015.
Per chiarire, bisogna dire che il Nepal non è mai stato un Paese a partito unico, tant’è che fino al 1991 il re aveva vietato l’esistenza stessa dei partiti politici. Il pluripartitismo nepalese è confermato dal fatto che in Parlamento sono entrate ben nove forze politiche. E, al contrario di quanto si potrebbe credere, il Partito Comunista del Nepal (Unificato Marxista-Leninista) non si situa all’estremità sinistra della Camera dei Rappresentanti, dove troviamo invece i 53 rappresentanti del Partito Comunista del Nepal (Centro Maoista), al quale appartiene l’ex primo ministro Pushpa Kamal Dahal.
Il Nepali Congress (NC) dal quale proveniva il primo ministro uscente Sher Bahadur Deuba, si configura invece come una forza di ispirazione socialdemocratica, ed è dunque assimilabile a molti partiti del centro-sinistra europeo. Tuttavia, in Nepal, i socialdemocratici siedono nell’ala destra del Parlamento, con i loro 63 deputati, così come sono situati nella parte destra i diciassette rappresentanti del Rastriya Janata Party Nepal (RJPN – Partito Nazionale Popolare del Nepal). Al centro troviamo invece il Forum Federale Socialista del Nepal (FSFN), con sedici seggi.
In Nepal, dunque, non esiste nessun partito di destra, nel senso che diamo noi a questo termine? Il Rastriya Prajatantra Party (RPP – Partito Nazional Democratico) è ciò che vi si avvicina di più, trattandosi di una forza conservatrice e favorevole alla restaurazione della monarchia. Ebbene, sui 275 seggi a disposizione, il RPP ne ha ottenuto uno solamente. I restanti tre deputati, infatti, rappresentano altrettante piccole forze politiche, ma tutte decisamente su posizioni di sinistra: il Naya Shakti Party (Nuova Forza), il Rastriya Janamorcha (Fronte Nazional Popolare) ed il Partito dei Lavoratori e dei Contadini Nepalesi (NWPP).
Con questo nostro piccolo excursus nel mondo politico nepalese, non vogliamo naturalmente forzare un confronto diretto tra due contesti così differenti come il nostro e quello della piccola repubblica himalayana. Tuttavia, crediamo che vi siano interessanti spunti di riflessione, e che sia necessario mettere in evidenza come il termine “sinistra” abbia subito un forte slittamento negli ultimi decenni nel vocabolario politico italiano. L’abbandono del marxismo per gettarsi nelle braccia del liberismo da parte di quelle forze politiche un tempo di sinistra ha lasciato un vuoto incolmabile, ed a pagarne le conseguenze sono state naturalmente le classi dominate. Appare dunque necessario sforzarsi per riempire quello spazio lasciato vuoto per far sì che il termine “sinistra” riacquisisca il significato originario, quello della difesa delle classi dominate, mentre negli ultimi anni di governo il nostro Partito Democratico ha dimostrato ampiamente di essere funzionale allo status quo voluto dalla classe dominante.
Da chi potrebbe dunque essere colmato questo vuoto? Non certamente dal Movimento 5 Stelle, privo di un fondamento ideologico, e neppure da forze create ad hoc da ex esponenti del Partito Democratico al fine di salvare qualche poltrona. Una proposta realmente alternativa allo stato di cose presente può arrivare solamente da forze politiche rifacentisi esplicitamente al marxismo-leninismo, se è vero, come è vero, che tutti gli altri partiti sostengono in un modo o nell’altro il modello economico vigente.