C’era grande attesa in Macedonia per il referendum sul nuovo nome, che avrebbe implicato anche l’eventuale ingresso del Paese nell’Unione Europea e nella Nato. Il quesito, proposto ai cittadini domenica 30 settembre, non ha tuttavia raggiunto il quorum.
La storica controversia tra Macedonia e Grecia, che va avanti sin dall’indipendenza di Skopje dalla Jugoslavia, avvenuta l’8 settembre 1991, sembrava vicino ad un termine lo scorso 17 giugno, quando, sulle rive del lago Prespa, le cui acque si dividono tra Grecia, Macedonia ed Albania, si è tenuto uno storico incontro tra i rappresentanti del governo ellenico e gli omologhi macedoni. Il summit aveva infatti visto protagonisti i rispettivi ministri degli Esteri Nikos Kotzias e Nikola Dimitrov, nonché i due capi del governo Alexis Tsipras e Zoran Zaev. L’obiettivo era quello di dirimere definitivamente la cosiddetta “questione macedone”, sottoponendo però i cittadini di entrambi i Paesi ad un referendum.
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Se il doppio referendum avesse avuto esito positivo, la Macedonia avrebbe potuto cambiare il proprio nome in “Repubblica di Macedonia del Nord” con il benestare della Grecia, ponendo dunque fine alla disputa sulla denominazione ufficiale dell’ex repubblica jugoslava. L’accordo tra i due governi, inoltre, rappresenta un elemento necessario per l’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea e nella Nato, visto che il raggiungimento di un consenso tra Atene e Skopje circa il nome da utilizzare è una prerogativa imprescindibile per una eventuale adesione macedone, in quanto la Grecia fa parte di entrambi gli organismi internazionali e si opporrebbe all’ingresso di uno Stato con il quale ha una disputa in corso.
Proprio per questa ragione, l’accordo ha visto la forte opposizione di alcune forze politiche, come i comunisti ellenici del KKE (Partito Comunista di Grecia; in greco: Κομμουνιστικό Κόμμα Ελλάδας, Kommounistiko Komma Elladas), che hanno subito denunciato l’accordo tra i due governi come parte del progetto espansionistico dell’Unione Europea e del Patto Atlantico verso oriente. Per la stessa ragione, la Russia si è fortemente opposta al referendum del 30 settembre, sostenendo in questo senso il principale partito di opposizione nel parlamento macedone, l’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone – Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone (in macedone: Внатрешна македонска револуционерна организација – Демократска партија за македонско национално единство; Vnatrešna Makedonska Revolucionerna Organizacija – Demokratska Partija za Makedonsko Nacionalno Edinstvo, VMRO-DPMNE), al quale, tra l’altro, appartiene il presidente Gorge Ivanov.
Alla fine, nonostante la schiacciante maggioranza di “Sì” tra i votanti (91.46%), il referendum non ha raggiunto il quorum del 50%, fermandosi ad un’affluenza alle urne del 36.91%. Con questo risultato i macedoni sembrano dunque aver respinto in un colpo solo il cambiamento di nome ma anche l’adesione ad Unione Europea e Patto Atlantico, come veniva menzionato nel quesito referendario, che recitava testualmente: “Sei in favore dell’ingresso nell’Unione Europea e nella Nato accettando l’accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica di Grecia?”.
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Anziché prendere atto della sconfitta, tuttavia, il capo del governo Zoran Zaev, dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia (in macedone: Социјалдемократски сојуз на Македонија; Socijaldemokratski Sojuz na Makedonija – SDSM) si è reso protagonista di una infelice uscita che suona come antidemocratica: Zaev, infatti, ha proposto di proseguire l’iter legislativo in parlamento, ignorando di fatto l’esito referendario, al fine di permettere l’ingresso del Paese tanto nell’Unione Europea quanto nella Nato. Il leader dell’opposizione, Hristiajn Mickoski , ha invece dichiarato che il mancato raggiungimento del quorum dimostra come “l’accordo con la Grecia non abbia ottenuto il semaforo verde da parte del popolo”.
Il referendum – va detto – non era vincolante, e comunque la decisione finale sulla questione spetterà al parlamento. Trattandosi di una modifica costituzionale, però, il provvedimento richiede la maggioranza qualificata dei due terzi, dunque VMRO-DPMNE, il partito guidato da Mickoski, potrebbe facilmente bloccare l’iter, disponendo di 49 dei 120 seggi. Zaev, oltretutto, dimentica che per rendere effettive le modifiche sarebbero necessari lo svolgimento di un referendum analogo in Grecia, e poi l’approvazione del tutto anche da parte del parlamento ellenico, che al momento appare tutto, meno che scontato.
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Al momento, dunque, tanto la fine della disputa tra Grecia e Macedonia, quanto l’ingresso di Skopje nell’Unione Europea e nel Patto Atlantico, restanto eventi che hanno chance assai remote di verificarsi.
Immagini: in alto, Zoran Zaev, capo del governo macedone; in basso, Hrisitajn Mickoski, leader dell’opposizione.