Dopo tre mesi di agonia, finalmente l’Italia ha un nuovo governo, formato da una eterogenea maggioranza composta, come noto, da Movimento 5 Stelle e Lega (ex Nord). Senza dubbio, entrambi i partiti hanno raccolto i consensi derivanti dal malcontento presente pressappoco in tutto il Paese, tanto nella classe lavoratrice quanto nella piccola borghesia, ritrovatesi schiacciate ed impoverite dopo le scellerate politiche liberiste del governo tecnico di Mario Monti e dei governi soi-disant democratici.
L’esperienza politica della componente leghista e la malizia di Matteo Salvini si sono fatti presto valere, tant’è che oramai il partito fondato illo tempore da Umberto Bossi, il più antico tra quelli ancora esistenti, sembra aver preso decisamente il sopravvento ai danni di un Movimento 5 Stelle mandato allo sbaraglio al governo. Le (poche) istanze progressiste e favorevoli alle classi popolari dei pentastellati sono state presto abbandonate in favore di un pragmatismo di governo che favorisce invece le posizioni leghiste.
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Proprio la Lega ha da tempo individuato uno dei propri riferimenti europei nel primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, che ad aprile ha nuovamente vinto le elezioni, ottenendo il terzo mandato consecutivo alla guida del governo magiaro. Appare dunque lecito domandarsi se l’Italia si stia avviando sulla strada già tracciata a Budapest dal leader di Fidesz (Magyar Polgári Szövetség – Unione Civica Ungherese) e dai suoi alleati del Partito Popolare Cristiano-Democratico (Kereszténydemokrata Néppárt, KDNP).
La politica di Viktor Orbán, come non avevamo mancato di sottolineare proprio in occasione della sua ultima elezione, si caratterizza da una grande violenza verbale, alla quale fanno seguito solo parzialmente i fatti. Come avevamo scritto allora, Viktor Orbán gode di un’indiscussa popolarità tra i suoi concittadini, conquistata a suon di invettive contro l’Unione Europea ed il fenomeno migratorio, con una veemenza tale da far impallidire il Matteo Salvini dei giorni migliori, tant’è che lo stesso leader leghista vede un esempio da seguire nel premier magiaro.
Tuttavia, quella di Orbán è stata fino ad ora vuota propaganda non corroborata dai fatti, in particolare per quanto riguarda il presunto antieuropeismo del suo governo, vicenda che rischia seriamente di riprodursi anche in Italia. La coalizione pentaleghista, come abbiamo visto, ha ben presto rinunciato al proprio antieuropeismo duro e puro, che tornava utile in campagna elettorale, sostituendolo con una richiesta di riforme interne alle istituzioni sovranazionali.
Al governo dal 2010, Orbán non ha fatto nulla di pratico per andare in direzione di un’uscita dell’Ungheria dall’Unione Europea, e lo stesso accadrà verosimilmente nel caso italiano. Altro esempio proveniente da Budapest: Orbán, il paladino dell’antieuropeismo a livello continentale, ha ricevuto in questi anni ingenti finanziamenti dalla stessa Unione. L’Ungheria è infatti uno dei Paesi che negli ultimi anni ha ricevuto maggiori aiuti economici dall’UE, per la gestione dell’emergenza migranti ed altre questioni. I miliardi ricevuti dal governo magiaro, oltretutto sono stati utilizzati quasi tutti nell’area di Felcsút, la località nella quale è cresciuto il leader politico, per la costruzione di infrastrutture quali uno stadio da 4.000 posti (in un paesino che conta meno di 2.000 abitanti) ed una stazione ferroviaria, con appalti affidati ad amici d’infanzia e parenti.
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Ad oggi, non possiamo sapere che fine farano i fondi europei destinati all’Italia, per i quali è stato previsto un aumento dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE, ma appare alquanto clamoroso che la coalizione giallo-verde abbia previsto di utilizzare questi stessi fondi per coprire le spese previste dal proprio “contratto di governo”, ammettendo implicitamente di non avere nessuna intenzione di abbandonare il Leviatano con centro nevralgico a Bruxelles.
Insomma, proprio come il governo Orbán, la coalizione gialloverde non farà nulla per portare l’Italia fuori dall’Unione Europea e dalla zona Euro, ma al limite si concentrerà nell’alimentare la guerra tra poveri e la propaganda anti-immigrazione, incoraggiando – volens nolens – atti di razzismo e di violenza nei confronti degli stranieri, coprendo mediaticamente in questo modo delle politiche economiche e fiscali che andranno ancora una volta a tutto vantaggio della classe dominante, con la naturale conseguenza di aumentare ulteriormente la diseguaglianza tra ricchi e poveri e tra Settentrione e Meridione all’interno del Paese. Le istituzioni europee, dal canto loro, concederanno mano libera a Matteo Salvini e compagnia da questo punto di vista, a patto di abbandonare qualsiasi velleità di resuscitare quella sovranità nazionale morta e sepolta sotto i trattati europei.
Ancora una volta, siamo costretti a ribadire che la vera alternativa all’Unione Europea ed alla NATO non può essere trovata a destra, e che, tanto Viktor Orbán quanto il nuovo governo italiano non sono altro che espressioni, seppur non tradizionali, della classe dominante che fingono di voler combattere, in grado di scatenare le proprie ire solamente contro i più deboli, come nel caso dei migranti.