Dopo una campagna elettorale serratissima, in Spagna una cosa è certa: il bipartitismo è morto e sepolto.
In una vignetta apparsa il giorno prima delle elezioni politiche di domenica sul quotidiano relativamente progressista El Pais, la battuta è: “I dinosauri hanno dominato la terra, ora gli elettori li votano.” Ovvio riferimento a personaggi come Mariano Rajoy e a Pedro Sanchez, rappresentanti dei due partiti che tradizionalmente si sono alternati al potere dopo la fine della dittatura franchista e che rimangono, almeno nei sondaggi, i due partiti di maggioranza relativa.
Ma anche se l’elettorato, in parte almeno, sembra aver paura del “nuovo che avanza”, le cose non potranno esser più come prima, grazie all’irrompere nell’arena politica di due partiti radicalmente anti-casta: a sinistra Podemos di Pablo Iglesias, noto come ‘el colita’, dal famoso codino che si rifiuta di tagliare, e a destra Ciudadanos del telegenico yuppie Albert Rivera. Arriviamo giovedì sera a Madrid, La Capitale del Mondo, almeno dal titolo di un celebre racconto di Ernest Hemingway (la storia di un cameriere di provincia che aspira a diventare torero). C’insediamo in un appartamento zen-hippy a Malasaña, noto quartiere centrale, giovane, alternativo, e artistico con una movida da paura e cominciamo a tastare il terreno, saltando da un bar all’altro.
Contrariamente alle aspettative non tutti i giovani sono apertamente pro-Podemos. Incontriamo ragazzi di destra che appoggiano Ciudadanos, ma anche supporter di Vox, una nuova formazione di estrema destra, che si definiscono falangisti, in onore al caudillo Francisco Franco, il vincitore della Guerra Civile che tanto ha segnato questo paese. Ma nel complesso ciò che sembra contraddistinguere questa campagna è l’indecisione, che nei sondaggi è arrivata fino al 41%. E infatti molti non sanno ancora per chi votare questa domenica. In altre parole, i giochi sono ancora aperti.
Assistiamo a un’accesa discussione tra due amici studenti: lei è una pasionaria, convinta seguace di Iglesias, lui, versione ispanica di Johnny Depp, addirittura non sa ancora se votare tout court. Lei fa di tutto e di più per fargli capire che l’astensionismo non può che giovare il dinosauro per eccellenza, ossia ‘nonno’ Rajoy, l’attuale Primo Ministro. La pasionaria spiega la recente e relativa caduta nella popolarità di Podemos, dopo l’exploit dell’anno scorso, con la feroce campagna mediatica contro questa nuova formazione politica che, come Syriza in Grecia e il Bloco de Isquierda in Portogallo, sfidano apertamente l’egemonia neo-liberale e pro-austerity in Europa. Ma Podemos sembra essere in fase di rimonta, in parte in base ai sondaggi e senz’altro nelle intenzioni e speranze dei suoi militanti.
Ne abbiamo conferma la sera dopo quando assistiamo al comizio finale anche se indiretto di Podemos. Indiretto perché fisicamente l’evento si svolge a Valencia: una scelta simbolica di Pablo Iglesias. In un paese noto tradizionalmente per il centralismo castigliano dei suoi governi anche dopo la fine de franchismo, si vuole dare un messaggio: Podemos è un partito di tutti gli spagnoli.
Valencia è anche importante perché nelle elezioni locali di maggio questa roccaforte del Partido Popular venne espugnata da Compromis, una formazione politica di sinistra appoggiata da Podemos. Una folla di tutte le età radunata in una moderna piazza non lontano dal centro assiste all’oceanico raduno di Valencia visibile su un maxi-schermo. Abbondano i palloncini viola, il colore scelto dal partito. Una serie di candidati si succedono in diretta al podio. Ci colpisce che a parlare per prima sia una donna africana: Rita Bosaho, infermiera cinquantenne nata nella Guinea Equatoriale, colonia spagnola tra il 1778 e il 1968, e candidata per Alicante.
Poi un’altra sorpresa: Julio Zaragoza, generale, ex capo di stato maggiore dell’esercito, candidato per Saragoza. Strategicamente furba l’idea di far venire a parlare Ada Colau, la nuova sindaca di Barcelona, laureata in filosofia, persona molto solare e famosa per la sua lotta contro gli sfratti: simbolo concreto delle origini movimentiste di Podemos, che non, dimentichiamo, nasce dal fenomeno degli indignados, anche se poi ha assunto un piglio più realistico e verticista. Secondo non pochi osservatori questa relativa perdita di verginità politica si è tradotta in una relativa perdita di supporto. E questo spiega, in parte, il fenomeno dell’indecisione e del potenziale astensionismo.
Ed ecco perché al comizio tra la folla che sventola bandiere viola si notano soprattutto due striscioni: quelli con la scritta “Sì, se puede” (versione spagnola del “Yes, we can” di obamaniana memoria), ma anche quelli con una sola parola “Remontada” (rimonta).
Per ultimo, ovviamente, nel tripudio generale sia a Valencia che a Madrid, arriva lui, Pablo, in camicia bianca con le maniche arrotolate. Il leader maximo tradisce subito le sue origini di professore di scienze politiche gramsciana: parla della situazione economica e sociale del paese, ricordando come eroi anonimi i tanti nonni costretti a sostenere i nipoti disoccupati. Altri eroi anonimi sono gli insegnanti della scuola pubblica e i piccoli imprenditori che cercano di sopravvivere a una crisi recessiva non ancora risolta. Ma Iglesias non è solo un freddo analista della società spagnola: E’ anche un sorprendente oratore e si capisce che le sue parole vengono dal corazon.
Il giorno dopo, di fronte alla casa che ci ospita notiamo sul marciapiede una fila di persone di tutte le età. E’ come avevamo sospettato: aspettano di entrare in una mensa per poveri. La Spagna non è come la Grecia, ma rimane il fatto che esiste anche qui la povertà, oltre a una disoccupazione generale superiore al 20%, mentre più del 50% dei giovani sono senza lavoro.
Andiamo a visitare La Morada (La Viola, ma anche Il Focolare) un nuovissimo centro culturale creato da Podemos. Foto di Pablo Iglesias nella sala del bar all’entrata e i suoi libri in esposizione nella mini-libreria. Tra i militanti domina un ottimismo pieno di energia e la sensazione che tutto può succedere, che tutto è ancora possibile. Nessuno sembra voler parlare delle eventuali alleanze forse necessarie per andare al potere. Tornano alla mente le parole di Iglesias già incontrato ad Atene a settembre, quando era andato a mostrare il suo sostegno a uno Tsipras in difficoltà dopo l’umiliazione inflitta dalla Troika: l’importante non è necessariamente vincere, ma continuare a lottare, ci aveva detto.
Tornando a casa rivisitiamo sistematicamente gli slogan con le relative foto dei leader dei maggiori partiti sui maxi-poster lungo una delle tante avenidas della città. “España en serio,” (Spagna sul serio) accanto alla foto di Rajoy: un richiamo al nazionalismo, ma anche una critica non troppo sottile ai nemici, considerati dei dilettanti se non dei buffoni.
“Un futuro por la Mayoria,” (‘Un futuro per la maggioranza’), accanto al giovane volto di Pedro Sanchez, il nuovo non carismatico leader del partito socialista, che seppure un attimino più “progressista” del suo predecessore Zapatero, è accusato da Iglesias di offrire per lo più delle false promesse, un po’ come tutti i partiti socialdemocratici europei (escluso Corbyn, il nuovo radicale leader del Labour Party).
Coerentemente con l’immagine alternativa e dinamica, lo slogan di Ciudadanos è “Vota con Ilusion”. Occhio: la parola ‘ilusion’ non significa solo ‘illusione’ ma anche ‘speranza’ ed ‘eccitazione’. Molti hanno comprato le parole di Albert Rivera, ma ultimamente la sua immagine si è appannata dopo che in Catalogna ha fomentato il divieto del burqa e dopo le polemiche sulla sua proposta “sessista” di riforma della legge sulla violenza di genere.
Lo slogan di Podemos è “Un pais contigo” (Un paese con te), per ricordare la vicinanza alle masse che si sentono tradite dalla casta.
E poi c’è Alberto Garzon, di Unidad Popular-Isquierda Unida, un altro giovane (beh, alla fin fine “nonno” Rajoy è il solo vecchio nella corsa) a capo della formazione di sinistra più tradizionale, erede del defunto Partito Comunista, che dichiara essere “Por un Pais Nuevo” (Per un Paese Nuovo). Delle alleanze tattiche tra Garzon e Iglesias se finora limitate e a livello regionale potrebbero svilupparsi a livello nazionale.
Perché alla fin fine, con la morte definitiva del bipartitismo è ormai aritmeticamente impossibile evitare delle inedite alleanze in parlamento e quindi nella guida del paese.
Il Partido Popular, l’anima conservatrice del paese (molti dei suoi supporter sono vecchi cattolici), si dovrebbe aggiudicare la maggioranza relativa, però non sufficiente a governare da solo, anche se sarà il primo a essere convocato dal re nel tentativo di ottenere, operativamente, un esecutivo. Rivera, dopo tanta retorica anti-casta si è limitato a promettere un’astensione, una forma di appoggio indiretto a Rajoy.
C’è da considerare l’alternativa di un’alleanza a semi-sinistra tra il Partito Socialista, Podemos e Garzon, a cui potrebbero partitini locali come il galiziano di sinistra BNG e l’ERC indipendentista catalano. Problema: mentre Podemos si è dimostrato anti-centralista concedendo l’ipotesi di un referendum in Catalogna per l’indipendenza, ed è comunque favorevole a una maggiore autonomia, i socialisti sono più vicini alle rigide posizioni dei popolari.
In ogni caso né Iglesias né Sanchez si sono dichiarati ufficialmente pronti a una coalizione operativa. Al tempo stesso la sindaca di Madrid, candidata di Podemos, è da maggio in sella al potere nella capitale propria grazie ai voti socialisti. Finora funziona.
La situazione è decisamente fluida, o come dicono certi commentatori “trascendentale”. Molto dipenderà dall’eventuale rimonta di Podemos e dall’indebolimento di Ciudadanos.
E’ un quasi-thriller politico, una partita aperta i cui esiti influenzeranno l’Europa al di là dei Pirenei – e lo stesso vale per il vicino di casa, il Portogallo. Per ora a Madrid, come a Lisbona e, naturalmente in Grecia (e chissà quando in Italia) si gioca la battaglia epocale tra l’Europa solidale e quella della rigida austerity di Schauble & Co. Vamos a ver!