Oramai va di moda, per i leader politici di destra, richiamarsi alla formula del “sovranismo” per carpire i consensi delle masse elettorali. I fatti, però, mostrano che i governi guidati da questi sovranisti fasulli fanno tutt’altro che difendere la sovranità nazionale.
IL SOVRANISMO FASULLO IN ITALIA
Sulla tematica della sovranità nazionale abbiamo già scritto diversi articoli, esponendo il nostro pensiero a riguardo. Quando utilizziamo questo termine, partiamo dal presupposto che non si tratti assolutamente di un concetto politico di destra, ma andiamo ad utilizzarlo secondo il suo significato in accordo con il diritto, dunque “la qualità giuridica pertinente allo Stato in quanto potere originario e indipendente da ogni altro potere” o, ancora, “la somma dei poteri di governo (legislativo, esecutivo e giudiziario), riconosciuta a un soggetto di diritto pubblico internazionale (es. Stato) che può essere una persona o un organo collegiale”. La sovranità, infine, è considerata come uno dei tre elementi costitutivi dello Stato, assieme al territorio ed al popolo: se viene a mancare uno di questi tre elementi, lo Stato stesso cessa di esistere. Voler difendere la sovranità nazionale, dunque, significa affermare che non esiste potere superiore rispetto a quello dello Stato, rifiutando le ingerenze e le prepotenze di organizzazioni sovrastatali, laddove non esplicitamente concesse dallo Stato stesso, che, nel caso specifico dell’Italia, sono soprattutto l’Unione Europea e la Nato.
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Se, dunque, i sovranisti nostrani applicassero effettivamente un programma di difesa della sovranità nazionale, rifiutando tanto il progetto leviatanico dell’Unione Europea quanto la supremazia statunitense mascherata sotto la sigla della Nato, ci sarebbe poco da eccepire. In realtà, alla propaganda ed alle parole, non hanno fatto per nulla seguito i fatti, al contrario di quello che vengono a raccontarci quotidianamente Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Per quanto riguarda la questione europea, il governo italiano ha provato a mettere in atto una farsa teatrale in occasione dell’approvazione della legge di bilancio, finendo però per cedere su quasi tutta la linea alle pretese di Bruxelles. Come se non bastasse, l’Italia ha dovuto incassare i voti contrari dei presunti altri governi sovranisti, come quello austriaco di Sebastian Kurz o quello ungherese di Viktor Orbán, a dimostrazione dell’impossibilità di un’alleanza internazionale tra governi di destra. Come abbiamo affermato in altre sedi, la destra nazionalista, come da definizione, pone come prioritario il bene nazionale, anche a discapito degli altri Paesi, di conseguenza una solidarietà internazionale tra governi di destra è di fatto impraticabile. Detto questo, sia Kurz che Orbán hanno dimostrato che, fuor di propaganda, sono a loro volta completamente genuflessi ai diktat di Bruxelles.
Quanto meno, l’attuale governo soi-disant “del cambiamento”, ha tentato di salvare la propria faccia “sovranista” inscenando lo scontro con l’Unione Europea circa la legge di bilancio. Al contrario, né Salvini né Di Maio hanno osato mettere in dubbio il rapporto di sudditanza militare che lega l’Italia – e gran parte dell’Europa – agli Stati Uniti. Iniziato nel 1945 – quando alla liberazione dai nazisti tedeschi seguì il cominciamento di quella statunitense –, l’asservimento italiano a Washington si manifesta sopratutto attraverso la presenza di ben cinquantanove basi ed installazioni militari statunitensi, con circa 13.000 militari presenti sul suolo nazionale. Questo argomento fu oltretutto uno dei cavalli di battaglia di Beppe Grillo nelle prime fasi di nascita del Movimento 5 Stelle, quando al politichese era ancora preferita la retorica dei “Vaffanculo”.
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L’asservimento dell’attuale esecutivo nei confronti degli interessi statunitensi è resa evidente da alcuni voltafaccia che i partiti di governo (ma soprattutto il Movimento 5 Stelle, visto che dalla Lega non ci si poteva aspettare granché) hanno adoperato da quando sono saliti al potere. Stiamo parlando, ad esempio, dell’avallo alla costruzione del Gasdotto Trans-Adriatico (conosciuto con l’acronimo inglese di TAP, Trans-Adriatic Pipeline), voluto dagli Stati Uniti per contrastare l’importazione di gas russo da parte dell’Europa e rivaleggiare con il Nord Stream tra Russia e Germania, o dell’abbandono della lotta contro il MUOS (acronimo di Mobile User Objective System), sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta frequenza (UHF) e a banda stretta (non superiore a 64 kbit/s), gestito dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, situato nel comune siciliano di Niscemi. Come se non abstasse, l’Italia – al pari di tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea – ha festeggiato l’inizio del nuovo anno esprimendosi, nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, contro la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato INF», respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni. Il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), siglato a Washington l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, rappresentava fino a poco tempo fa una garanzia circa il disarmo e la pace mondiale, finché Donald Trump non ha deciso di annunciare il proprio ritiro, denunciando presunte e mai provate violazioni del trattato da parte della Russia. Bocciando la risoluzione di Mosca, l’Italia e gli altri Paesi dell’UE (21 su 27 fanno parte anche della NATO) hanno confermato la propria posizione di subalternità nei confronti della potenza nordamericana, smentendo definitivamente le promesse di un diverso orientamento in politica estera da parte dell’attuale esecutivo. Tale mossa, inoltre, potrebbe presto causare una corsa agli armamenti – anche nucleari – da parte di Stati Uniti e Russia, situazione nella quale l’Europa, data la propria posizione geografica, rischierebbe di risultare unicamente come vittima sacrificale.
IL SOVRANISMO FASULLO IN UNGHERIA
Andiamo ora a parlare nello specifico dell’attuale governo magiaro, al quale abbiamo solamente accennato in precedenza. Proprio la Lega, in base alla sua propaganda sedicente sovranista, ha da tempo individuato uno dei propri riferimenti europei nel primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, che nell’aprile 2018 ha nuovamente vinto le elezioni, ottenendo il terzo mandato consecutivo alla guida del governo magiaro. Appare dunque lecito domandarsi se a Budapest vi sia un governo effettivamente difensore della sovranità nazionale, guidato dal leader di Fidesz (Magyar Polgári Szövetség – Unione Civica Ungherese) e dai suoi alleati del Partito Popolare Cristiano-Democratico (Kereszténydemokrata Néppárt, KDNP).
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La politica di Viktor Orbán, come non avevamo mancato di sottolineare proprio in occasione della sua ultima elezione, si caratterizza da una grande violenza verbale, alla quale fanno seguito solo parzialmente i fatti. Come avevamo scritto allora, Viktor Orbán gode di un’indiscussa popolarità tra i suoi concittadini, conquistata a suon di invettive contro l’Unione Europea ed il fenomeno migratorio, con una veemenza tale da far impallidire il Matteo Salvini dei giorni migliori, tant’è che lo stesso leader leghista vede un esempio da seguire nel premier magiaro.
Tuttavia, quella di Orbán è stata fino ad ora vuota propaganda non corroborata dai fatti, in particolare per quanto riguarda il presunto antieuropeismo del suo governo, vicenda che si sta parimenti riproducendo in Italia. La coalizione pentaleghista, come abbiamo visto, ha ben presto rinunciato al proprio antieuropeismo duro e puro, che tornava utile in campagna elettorale, sostituendolo con una richiesta di riforme interne alle istituzioni sovranazionali, fino all’umiliazione avvenuta in occasione dell’approvazione della legge di bilancio. Tanto il governo italiano quanto quello ungherese, fino ad ora, hanno dimostrato di essere forti con i deboli e deboli con i forti, limitandosi a sfogare tutta la propria voglia di mal intesa “sovranità” contro gli immigrati.
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Al governo dal 2010, Orbán non ha fatto nulla di pratico per andare in direzione di un’uscita dell’Ungheria dall’Unione Europea, e lo stesso sta accadendo nel caso italiano. Altro esempio proveniente da Budapest: Orbán, il paladino dell’antieuropeismo a livello continentale, ha ricevuto in questi anni ingenti finanziamenti dalla stessa Unione. L’Ungheria è infatti uno dei Paesi che negli ultimi anni ha ricevuto maggiori aiuti economici dall’UE, per la gestione dell’emergenza migranti ed altre questioni. I miliardi ricevuti dal governo magiaro, oltretutto sono stati utilizzati quasi tutti nell’area di Felcsút, la località nella quale è cresciuto il leader politico, per la costruzione di infrastrutture quali uno stadio da 4.000 posti (in un paesino che conta meno di 2.000 abitanti) ed una stazione ferroviaria, con appalti affidati ad amici d’infanzia e parenti. I successi di Orbán, possiamo dirlo, sono stati finanziati anche dall’Unione Europea, visto che l’Ungheria ha effettivamente fatto registrare ottime prestazioni dal punto di vista degli indicatori macroeconomici anche grazie agli aiuti ricevuti da Bruxelles.
Come se non bastasse, l’antieuropeista Orbán dimentica di menzionare che l’Ungheria è obbligata dalle regole europee a procedere verso l’adozione dell’Euro. I nuovi Paesi aderenti, infatti, sono tenuti ad intraprendere quest’iter (solo la Danimarca ne è esentata, essendo entrata nell’UE prima dell’esistenza di questa clausola), anche se il caso della Svezia dimostra che, di fatto, è possibile ottenere una deroga infinita: Orbán sta dunque giocando a fare l’antieuropeista pur sapendo che prima o poi arriverà un altro premier che porterà il Paese verso la moneta unica. Il leader della destra magiara potrà allora dire di non essere colpevole, ma noi saremo lì a ricordagli che non avrà fatto nulla per evitarlo.
Di recente, a ribadire il non-sovranismo dell’Ungheria, è stato anche il ministro degli Esteri dell’attuale governo, Péter Szijjártó, che ha affermato di non mettere in dubbio l’appartenenza dell’Ungheria alla Nato, ma che anzi Budapest è pronta ad aumentare il proprio impegno ed i propri contingenti all’interno delle missioni atlantiste, ribadendo il proprio allineamento alle politiche di Donald Trump. Più chiaro di così…
IL SOVRANISMO PRESUNTO DI BOLSONARO
Tra tutti i leader soi-disant sovranisti – e qui ne abbiamo citati solamente quelli più rappresenativi – quello che rischia di salvarsi tra tutti rischia di essere proprio il brasiliano Jair Bolsonaro. Non certo perché il presidente del gigante sudamericano sia in linea con le nostre posizioni, ma perché, in fondo, Bolsonaro la retorica sovranista non l’ha mai utilizzata. Sono i tanti Matteo Salvini d’Italia che si sono immedesimati in un leader di estrema destra, razzista, sessista ed omofobo, attribuendogli posizioni che in realtà non ha mai assunto, riuscendo a fare un paladino anche di un uomo ritenuto troppo estremista da Marine Le Pen in persona.
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Jair Bolsonaro, semmai, ha da sempre dichiarato di essere pronto a piegare la schiena ad ogni ordine di Washington, tant’è che la sua elezione è stata salutata con immensa gioia dalla Casa Bianca. Il nuovo governo brasiliano è divenuto un vero avamposto statunitense nel “giardino di casa” degli USA, permettendo l’accerchiamento del Venezuela e degli altri – pochi – Stati che continuano a resistere all’egemonia a stelle e strisce nel continente. Anche la Boliva di Evo Morales è dovuta scendere a compromessi, presenziando all’investitura di Bolsonaro e permettendo l’estradizione di Cesare Battisti: in quel caso, i “puristi” della sinistra nostrana si sono messi a sbraitare contro Morales, dimenticando che la Bolivia, Paese impervio e privo di sbocchi sul mare, è fortemente dipendente dal Brasile sotto tutti i punti di vista. Morales avrebbe dunque dovuto permettere la fame per il suo popolo con l’unico fine di negare l’estradizione di un solo uomo?
Concludendo brevemente sul Brasile, il non sovranista Bolsonaro non sta facendo altro che quello per cui tutti i nuovi governi di destra dell’America Latina sono stati messi al potere con il benestare degli Stati Uniti: servire Washington senza fiatare, appoggiare ogni decisione statunitense in politica estera e rendere il Paese disponibile per il programmato saccheggio operato dalle multinazionali. Nulla di sorprendente dunque, così come non sorprende che questi stessi governi siano in prima fila nel sostenere il colpo di stato di Juan Guaidó ai danni del governo bolivariano – legittimo e democraticamente eletto – di Nicolás Maduro.
CONCLUSIONE: SOVRANISTI FASULLI CONTRO VERI SOVRANISTI
Proprio la questione venezuelana rappresenta l’ultimo elemento che va a mettere in luce la vera natura dei governi sedicenti sovranisti. Sia l’Italia che l’Ungheria, al pari di tutta l’Unione Europea, hanno dimostrato ancora una volta il proprio asservimento nei confronti di Washington, anziché respingere con veemenza il colpo di stato diretto dagli Stati Uniti nei confronti di Maduro. Del Brasile, neanche a parlarne: Bolsonaro, fedele servo della monarchia del dollaro, e tutti i governi di destra del continente non vedevano l’ora di poter spodestare il leader bolivariano.
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Il problema, semmai, è che, tra tutti questi, l’unico vero sovranista è proprio il presidente venezuelano. La sua colpa, al contrario di quello che viene raccontato quotidianamente dai mass media, non è certo di non essere democratico – del resto i Paesi occidentali non si fanno certo problemi sulla democraticità dell’Arabia Saudita – ma quella di rifiutare l’ordine internazionale voluto da Washington e di non esserne servitore cadaverico, di affermare la sovranità del proprio Paese e del proprio popolo a fronte degli attacchi imperialisti e delle ingerenze straniere, di ledere gli interessi delle multinazionali in favore del proprio popolo, di controllare attraverso lo Stato un settore – quello petrolifero – che fa gola tanto alla borghesia nazionale venezuelana quanto alle multinazionali statunitensi, di affermare un’esperienza di socialismo patriottico contrario all’ordine capitalista imperante.
Da parte nostra, dunque, ci schieriamo ancora una volta a favore dei governi che difendono realmente la propria sovranità nazionale dall’egemonia imperialista statunitense, come Venezuela e Cuba, e contro i finti sovranisti, che, alla fine della campagna elettorale, tornano ad abbaiare solamente a comando dello Zio Sam.