C’era vento e pioggia.
Il silenzio dominava la campagna, sembrava quasi provenisse da un altro pianeta.
Quella terra fangosa e fertile non era più inespugnabile come le antiche leggende raccontavano.
Il monte Bonifato osservava.
Il giorno dopo Franca riaprì gli occhi ed ebbe un attimo di esitazione.
In stato di semi-incoscienza, digiuna, umiliata, era stata violentata dal suo ex fidanzato. Non riusciva a crederci, ma il suo corpo martoriato stava provando a raccontarle quell’assurda e tragica verità.
Dolente e indebolita, sentì che qualcuno la stava scuotendo tenendole le spalle e chiamandola a voce alta: “Franca, Franca, Franca, ce la fai? Muoviti. Dobbiamo andare!”.
La sua amica riuscì a riportarla al mondo. La tirò su dal letto e la trascinò lontana da quel casolare di Alcamo.
Quel dannatissimo 1966 era iniziato proprio di merda! Aveva segnato la vita di Franca e di tutte le donne siciliane, di tutte le donne di un Paese intero.
L’avrebbe voluta sposare, Filippo. Avrebbe ottemperato ai doveri del “matrimonio riparatore”, ma Franca, la “svergognata”, non voleva. Solo Bernardo, il padre, comprese la decisione della figlia e le rimase accanto. Camminando per le strade, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, a chiunque provasse a indagare sulla sua vita, lei rispondeva “Io non sono proprietà di nessuno … nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto. L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.
Blasfemia.
Dignità incrollabile.
Ogni anno, ogni giorno, ogni ora, Franca si difese pur essendo lei la vittima. Ogni giorno, per mesi e mesi, dopo insulti, minacce, intimidazioni, fu costretta a osservare e ad ascoltare i colpevoli del suo stupro. Franca continuò a guardarli dritti negli occhi, uno a uno, con fierezza e a chiedere, a voce alta, la condanna per quell’atto subito. Lei, paladina delle donne, riuscì a far sparire il delitto d’onore dal codice penale, riuscì a riconquistare la sua vita.
Aveva ripreso a specchiarsi e a sorridere, a credere che forse lei non era poi così sbagliata e che in un posto non molto lontano sarebbe stato possibile ricostruire dalle macerie dell’anima una nuova speranza d’amore.
Non fu così.
In un altrove italiano, in un tempo passato e futuro, non era ancora primavera e chissà quando sarebbe arrivata la primavera a Milano in quel 1973, Franca fu costretta a salire su un furgone in via Nirone per subire ancora. Chiuse gli occhi, come quando da bambini si ha paura e si pensa a proteggersi non guardando la realtà, così tutto scompare.
Quei cinque non li conosceva. Chi erano? Perché la colpivano? Perché la tenevano ferma bruciandola con le sigarette? Lei era un’attrice. Lei era una voce dissidente, a difesa dei più deboli. Non fu per passione o per un amore rifiutato, fu uno stupro punitivo, fu tortura e violenza politica per le sue battaglie civili. I suoi aguzzini neofascisti erano stati mandati da uomini in divisa che avrebbero dovuto proteggerla. Gli occhiali spaccati, i tagli delle lamette sul suo viso e sul suo corpo, il sapore del sangue e il dolore, forte, pungente, in ogni parte, ovunque, sempre più forte.
Svenne.
Provò dapprima a difendersi, ma erano troppi e troppo forti. La tenevano bloccata da dietro. Fu poi abbandonata, in stato confusionale. Volevano ferirla, zittirla, umiliarla, dandole una lezione, ma lei diede voce al trauma. Decise di parlare del dolore che tante altre donne avevano subìto, trasformando se stessa in un potente mezzo di denuncia.
Lo stupro era considerato un crimine contro la morale e non contro la persona, è stato così fino al 1996, ma Franca non ha finto, non ha mentito e ha camminato tanto per salvare se stessa e tutte le altre donne, dipanando le ombre.
Franca ha cercato a lungo un riflesso che somigliasse alla memoria di sé prima della tortura. Ha evitato la guerra che era nel suo cuore e soffiato sul fuoco che bruciava la sua anima, nella speranza che tutto potesse svanire come un brutto ricordo. Se fosse stata un satellite avrebbe potuto osservare il fatto da lontano gravitando intorno al dolore che le era stato inflitto senza pietà e senza una ragione.
In quei momenti lunghi un’eternità ha sognato cieli sereni, mentre lacrime amare e inconsolabili scendevano lentamente tra le bruciature. Distrattamente sentiva le loro voci dire che era una punizione politica.
Genova, con la sua assurda brutalità, era già nell’aria.
Franca pensava alla salvezza delle sue idee di fronte all’arroganza di una divisa macchiata dal suo stesso sangue. Qualcuno ebbe anche il coraggio di chiederle se le era piaciuto, se, tra le urla di dolore, avesse goduto!
Come potrà salvarsi l’umanità se non c’è nulla di umano in quelle anime buie?
A Franca è stato chiesto se aveva desiderio o ha mentito?
Ma che ne sanno gli altri della paura che sale tra le dita e arriva ai capelli, gelando gli occhi?
Che ne sanno gli altri del terrore che blocca persino le gocce di sudore e fa immaginare che tutto possa durare solo un attimo se si sta zitte e buone?
Tutto questo lacera da dentro, strazia le carni e scopre i tessuti lasciando indifferenti al sentire e ci si riveste senza forze portando la mente altrove, lontano.
Franca e Franca respirano e pensano ancora che sono speciali, che ce la possono fare. Ogni donna ce la può fare, può resistere, può alzare la testa e guardare le stelle.
Ogni donna è qui, nelle parole, nei sorrisi, nelle mani, tutte che mostrano sempre e comunque la parte migliore, perché ciò che non uccide fortifica e rende migliori.
Quello che avrebbero voluto era così difficile da spiegare e da trovare che hanno preferito lasciarlo scorrere tre le gocce di pioggia, non preoccupandosi della doppia violenza perché non credute o ridicolizzate.
Quello che avrebbero voluto era fermare il tempo in sorrisi buoni e non nei ghigni nascosti dalle spine o dallo specchietto retrovisore.
Sono riuscite a vincere nelle promesse fatte a loro stesse e hanno ritrovato la gioia di un amore sincero, hanno ripreso a respirare la normalità, serbando un sogno di eternità denunciando non domani, ma oggi e andando avanti per la loro strada, sempre unite.