Fiumicino è diventato il segno evidente della decadenza del Paese (come ha scritto qualche giorno fa Roberto Saviano sul suo blog) o è il fulcro di una convergenza/scontro di interessi (come ha scritto Dario Ballotta, su ‘Il Fatto Quotidiano’ )?
Gli ultimi avvenimenti sembrano dare ragione alle due tesi, in cui – per non fare torto ad alcuno – si scontrano e convergono responsabilità diffuse e trasversali, pubbliche e private; levate di scudi, moniti, minacce di trasferimento e finte facce feroci. In uno scenario di utili per la società di gestione (Adr di Atlantia, gruppo Benetton, united colours of money…) mai interrottosi. I danni del neoliberismo? Forse. Piuttosto, i danni prodotti dalla via italiana alla libertà d’impresa: privatizzare gli utili e socializzare le perdite.
Nelle analisi lette in questi giorni (la verità è un puzzle con tessere di tutti i colori) manca una valutazione sul rilievo di Fiumicino nel quadro della sicurezza nazionale (ed europea), non solo aerea. Un ambito per il quale l’aeroporto è rilevante proprio perché è hub dei collegamenti interni di Alitalia.
Quali sarebbero le conseguenze di una paralisi di Fiumicino a seguito di un evento traumatico? Senza ricorrere al sensazionalismo, la cronaca di questi giorni ha fornito qualche elemento di riflessione in più.
Il 7 Maggio l’incendio al Terminal 3; il successivo 29 l’incendio nella pineta di Focene; mentre scriviamo giunge la notizia di un incendio ai margini dell’autostrada che porta all’aeroporto di Fiumicino, con conseguente paralisi del traffico veicolare.
Ma il 31 Luglio scorso ‘Il Fatto Quotidiano’ ha rivelato – unica testata di rilievo nazionale – un fatto ancor più grave: venerdì 10 Luglio un Cessna 172 – partito dall’Elba con destinazione Salerno – a un certo punto è atterrato sulla pista 25 dell’aeroporto (peraltro chiusa per manutenzione), senza che i radar militari e civili lo rilevassero.
Una ‘sorpresa’ meno ‘sorprendente’ di quanto potesse rivelarsi per il fatto che a pilotare il velivolo da turismo non c’era un pericoloso jihadista (bando alle ciance: il terrorismo, come modalità bellica, ha oggi una preponderante matrice islamista wahabita) o un pazzo in cerca di una pagina di storia a buon mercato, ma un un uomo di 63 anni riuscito a evitare la propria uscita di scena dalla vita terrena con un atterraggio di emergenza, rilevato dalle autorità solo a fatto compiuto.
La sordina messa a questo evento è giustificata dalla gravità dell’accaduto: se fossimo al servizio di chi deve tutelare la sicurezza nazionale, avremmo cercato di occultarlo. Svolgiamo un’altra funzione, rifuggendo peraltro dal sensazionalismo, perché vogliamo riflettere sul bene comune costituito da una seria cornice di sicurezza e difesa (statale e comune europea).
Se il Cessna fantasma si fosse scaraventato sulla torre di controllo, su un deposito di carburante o su un Terminal di Fiumicino, la paralisi che ne sarebbe derivata avrebbe colpito tutti gli scali italiani collegati, avrebbe messo in subbuglio Ciampino e avrebbe di fatto messo in crisi anche la circolazione stradale attorno a molti scali italiani.
Il ‘Leonardo da Vinci’ va perciò tutelato in modo straordinario: non solo per l’elevato valore simbolico di scalo della Capitale italiana (con annessi e connessi vaticani, per cui è appetibile come obiettivo dei disegni stragisti internazionali e transnazionali, peraltro resi pubblici dai miliziani del cosiddetto Stato Islamico, non un pettegolezzo da bar); quanto per mantenere un quadro efficiente ed efficace di sicurezza su un centro nevralgico e strategico per la sicurezza nazionale italiana ed europea.
A quell’uomo di 63 anni un giorno dovremo dire “grazie”.