Domenica 3 febbraio, i cittadini di El Salvador sono stati chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente, che assumerà l’incarico a partire da giugno. Le urne hanno premiato Nayib Bukele. L’affluenza alle urne è stata pari al 51.80%.
Negli ultimi giorni, il piccolo stato centroamericano di El Salvador è salito alla ribalta delle cronache soprattutto per essere uno dei Paesi che più strenuamente hanno preso posizione contro il colpo di Stato orchestrato da Juan Guaidó – su regia statunitense – in Venezuela. Una posizione che non deve sorprendere, visto che l’ex repubblica delle banane ha vissuto sulla propria pelle i golpe ed i governi dittatoriali imposti da Washington: dal 1931 al 1979, in particolare, si sono susseguite quasi unicamente giunte militari, e la democratizzazione del Paese si è avuta solamente nel 1992.
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A guidare il Paese dal 2009 è il Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (in spagnolo Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, o FMLN), nato nel 1980 come organizzazione di guerriglia rivoluzionaria del Partito Comunista Salvadoregno (Partido Comunista Salvadoreño – PCS). L’azione del FMLN e di altre organizzazioni guerrigliere portò poi agli accordi di pace di Chapultepec del 1992, con il governo che concesse libere elezioni ed il Fronte che fu trasformato in un partito politico.
Nonostante l’importante ruolo svolto nelle fasi più buie della storia salvadoregna, il FMLN è rimasto a lungo all’opposizione nei confronti dell’altro partito più importante del Paese, l’Alleanza Repubblicana Nazionalista (Alianza Republicana Nacionalista – ARENA), di orientamento nazionalista e neoliberista. Solo nel 2009, Mauricio Funes è divenuto il primo frentista ad assumere la presidenza della repubblica, seguito, nel 2014, dal suo compagno di partito Salvador Sánchez Cerén, ancora in carica fino alla fine di maggio.
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Poiché la Costituzione salvadoregna non prevede la possibilità di un secondo mandato presidenziale, il FMLN ha candidato per la nuova tornata elettorale il cinquantunenne Hugo Martínez, già ministro degli esteri a due riprese (2009-2013 e 2014-2018). Il partito di destra ARENA, spalleggiato da altre formazioni all’interno di una coalizione (Partido de Concertación Nacional – PCN, Partido Demócrata Cristiano – PDC, Partido Democracia Salvadoreña – DS), ha invece presentato Carlos Calleja, imprenditore quarantaduenne laureato presso la New York University Stern School of Business.
A sorpresa, però, i due partiti tradizionali sono stati ampiamente sconfitti dal terzo incomodo, Nayib Bukele, che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi, rendendo dunque inutile un secondo turno. Bukele ha infatti incassato il 53.03 delle preferenze, contro il 31.78% di Calleja ed il 14.42% di Martínez, risultato che sancisce una netta sconfitta per il FMLN. Aneddotica invece la presenza di Josué Alvarado (Vamos), fermo allo 0.78%.
Trentasettenne, Nayib Bukele ha origini palestinesi da parte di padre, ed è proprietario della Yamaha Motors El Salvador, compagnia che distribuisce i prodotti della giapponese Yamaha in El Salvador. Bukele iniziò la sua carriera politica tra le fila del FMLN, e nel 2012 venne eletto sindaco di Nuevo Cuscatlán, cittadina non distante dalla capitale, prima di diventare sindaco proprio di San Salvador nel 2015. Il matrimonio tra Bukele e il Fronte si interruppe però nel 2017, quando fu espulso dal partito, accusato di fomentare le divisioni interne e di diffamazione ai danni del partito. A quel punto, Bukele decise di fondare un proprio movimento, denominato Nuove Idee (Nuevas Ideas), al fine di partecipare alle elezioni presidenziali di quest’anno. Alla fine, però, il futuro presidente si è candidato tra le fila di un partito di centro-destra, la Grande Alleanza per l’Unità Nazionale (Gran Alianza por la Unidad Nacional – GANA), che, nonostante sia di ispirazione conservatrice, in passato ha spesso stretto alleanze con il FMLN.
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Figura molto controversa sia per le sue vicende politiche che per questioni religiose – alcuni “media” lo hanno accusato di essere musulmano, considerando che El Salvador è un Paese quasi interamente cattolico –, Nayib, che potremmo definire come un populista in salsa salvadoregna, è comunque riuscito a rompere il duopolio politico del FMLN e di ARENA, che avevano dominato sin dalla democratizzazione del Paese, facendo salire alla ribalta quello che storicamente era sempre stato il terzo partito del Paese. Sulla sua vittoria, comunque, ha certamente inciso la sua precedente militanza nel Fronte, che gli ha permesso di raggiungere alti livelli di notorietà.
Se El Salvador è un piccolo Paese di sei milioni di abitanti, l’elezione di Nayib potrebbe risultare importante soprattutto per quelle che saranno le posizioni del nuovo presidente in politica estera. Fino ad ora, il FMLN era stato uno dei principali sostenitori di Nicolás Maduro, ed il voto salvadoregno aveva comunque pesato nelle sedi dove uno vale uno, indipendentemente dalla grandezza del Paese (ONU e Organizzazione degli Stati Americani). In campagna elettorale, Nayib non ha esitato a definire Maduro come “dittatore”, allineandosi dunque alla narrazione dominante dettata dagli Stati Uniti, tant’è che Guaidó è stato uno dei primi a congratularsi con lui dopo l’ufficializzazione dei risultati. Il rischio, dunque, è che El Salvador sia destinato a trasformarsi nell’ennesimo Stato latinoamericano piegato alla volontà di Washington a partire dal 1° giugno, quando ci sarà il passaggio di testimone tra Sánchez Cerén e Nayib alla presidenza.