Dopo la Brexit, avremo anche la Dexit? È stata infatti ribattezzata in questo modo l’eventuale uscita della Danimarca dall’Unione Europea (curiosamente la stessa abbreviazione scelta da alcuni euroscettici tedeschi, da Deutschland Exit).
Dopo il referendum sulla Brexit, che ha sancito l’uscita del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord dall’Unione Europea, in diversi Paesi si sono susseguite le voci di una possibile consultazione popolare per abbandonare l’istituzione continentale, senza però mai giungere a compimento. Al momento, la candidata più seria all’uscita dall’UE sembra proprio essere la Danimarca. Il Paese scandinavo, infatti, ha un importante punto in comune con Londra, quello di non aver mai aderito alla moneta unica, fatto che faciliterebbe non poco il processo di uscita, proprio come accaduto con i britannici.
Il fatto che il governo Copenaghen non sia mai entrato nella Zona Euro non è affatto casuale: nel 2000, infatti, si tenne un referendum a riguardo, nel quale, con un’alta affluenza alle urne (87.6%), la maggioranza dei votanti (53.2%) si espresse contro l’adesione alla moneta unica. Lungimiranza dei danesi, potremmo dire, che hanno continuato così ad utilizzare la Corona, ma anche del governo, che ha permesso lo svolgimento della consultazione popolare e ne ha rispettato l’esito – cose oggi tutt’altro che scontate nella maggioranza dei Paesi europei.
Altri elementi che potrebbero permettere la Dexit si trovano nello spettro politico danese. La maggioranza dei media, infatti, si è concentrata sulla proposta di referendum effettuata dal Partito Popolare Danese (Dansk Folkeparti, DF), forza conservatrice di destra, ultimamente etichettata come “populista”, che alle ultime elezioni politiche ha ottenuto il 21.1%. Marie Krarup, esponente di spicco del partito, ha particolarmente fatto scalpore quando ha dichiarato che l’Unione Europea rappresenta il vero pericolo per la Danimarca, piuttosto che la Russia. In pochi, però, hanno calcolato che anche l’ala sinistra del parlamento danese sarebbe favorevole alla Dexit: la Lista dell’Unità – I Rosso-Verdi (Enhedslisten – De Rød-Grønne, EL), coalizione che riunisce diverse forze ecologiste ed anticapitaliste, ha fatto sapere di pronta a sostenere il referendum.
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Ancora una volta, sono le forze cosiddette moderate a mostrarsi attaccate all’istituzione europea. Il principale partito di governo, Venstre – Danmarks Liberale Parti (Sinistra – Partito Liberale di Danimarca), quello del primo ministro Lars Løkke Rasmussen, ha respinto l’idea di un referendum sulla permanenza dell’UE, ma il governo di minoranza presieduto da Rasmussen può contare solo su trentaquattro seggi sui 179 che costituiscono il Folketing, il parlamento unicamerale danese, e deve tenersi stretti coloro che gli hanno assicurato un sostegno esterno, compreso il Partito Popolare Danese. Contrari al referendum sono anche i Socialdemocratici (Socialdemokraterne), principale forza di opposizione e primo partito in parlamento, con i suoi 47 seggi.
Evitare un referendum, del resto, è forse l’unico modo per mantenere la Danimarca nell’Unione Europea, visti i numerosi precedenti: oltre al già citato referendum del 2000 sulla moneta unica, i cittadini danesi hanno infatti bocciato anche il trattato di Maastricht (referendum del 1992, adottato in maniera parziale dalla Danimarca) ed alcuni regolamenti europei sul controllo delle frontiere (referendum del 2015). Solamente nel 2016, un referendum ha visto un esito favorevole all’UE, permettendo alla Danimarca di restare all’interno dell’Europol.
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Per correre ai ripari, i politici filoeuropeisti del Paese hanno addirittura proposto un accordo per non permettere lo svolgimento di un referendum sulla Dexit. A lanciarlo è stato Morten Østergaard, leader del Partito Social-Liberale Danese (Danmarks Social-Liberale Parti), che si è così espresso: “Proponiamo che i sette partiti che in parlamento vorrebbero la continuazione della permanenza della Danimarca nell’Unione Europea una volta per sempre si accordino affinché non ci sia un voto sulla nostra appartenenza all’UE”. Una posizione per tentare di isolare la destra di DF e la sinistra di EL, i due partiti maggiormente favorevoli al referendum.
Intanto, l’eco del possibile referendum sulla Dexit si è sentita anche all’altro capo del ponte di Øresund, quello che collega la capitale Copenaghen con la città svedese di Malmö. Kristina Winberg e Peter Lundgren, eurodeputati dei Democratici Svedesi (Sverigedemokraterna, SD), forza nazionalista e conservatrice, hanno infatti proposto lo svolgimento di un referendum sulla Swexit: “SD vuole abbandonare l’Unione Europea attraverso un referendum che permetta agli svedesi di pronunciarsi sull’unione sovrastatale tale com’è ora, e non su quello che ci avevano venduto nel 1994”. Proprio in quell’anno, infatti, gli svedesi votarono per l’entrata nell’UE, anche se con margine ridotto (52.3% a favore, con l’83.3% di affluenza alle urne). Jimmie Åkesson, leader di SD, ha ribadito: “L’Unione Europea è un’unione politica sovrastatale dove politici che non possiamo votare hanno maggior influenza sulla legislazione svedese di un deputato del parlamento svedese come me”. Anche nel caso svedese, le posizioni euroscettiche della destra “populista” sono condivise in gran parte con la forza più a sinistra del Riksdag, il Partito della Sinistra (Vänsterpartiet, V).
Situazione da tenere d’occhio, visto che domenica 9 settembre in Svezia ci saranno le elezioni politiche.