Per la prima volta della sua giovane storia, l’Armenia è andata alle elezioni anticipate, causate dalla caduta del governo di Serž Sargsyan in seguito alla cosiddetta rivoluzione di velluto armena, avvenuta nella primavera di quest’anno. A guidare la rivolta è stato il principale leader dell’opposizione, Nikol Pashinyan, che ha assunto la carica di primo ministro ad interim l’8 maggio, venendo poi consacrato dal voto popolare nella giornata di domenica 9 dicembre. L’affluenza alle urne, in netto calo, è stata pari al 48.63%.
Per capire le ragioni della rivoluzione di velluto (o Velvet Revolution, secondo la dizione inglese) bisogna considerare che, dal 2008, Serž Sargsyan aveva ricoperto il ruolo di presidente della Repubblica, ma, con le elezioni dell’aprile di quest’anno, l’Armenia era passata dall’essere una repubblica presidenziale alla forma di governo della repubblica parlamentare, secondo i risultati del referendum del 2015. Secondo le opposizioni, però, Sargsyan avrebbe spinto per la modifica della forma di governo sapendo che la costituzione non gli avrebbe consentito di candidarsi per un terzo mandato presidenziale nel 2018. Il sessantaduenne capo di stato avrebbe allora puntato a spostare il centro del potere per poi proporsi come nuovo primo ministro, nel tentativo dunque di mantenere la carica di fatto più importante nelle sue mani.
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A conferma di questi sospetti, dopo la lettura dei verdetti delle elezioni di aprile, Sargsyan ha assunto la carica di primo ministro, approfittando della vittoria della sua forza politica, il Partito Repubblicano Armeno (Hayastani Hanrapetakan Kusaktsutyun, HHK), generalmente abbreviato nella stampa internazionale in RPA, utilizzando la denominazione inglese. Il risultato ottenuto, pari al 49.17%, è però stato accolto dalle proteste delle opposizioni, che hanno parlato di brogli. La presidenza della repubblica, invece, è stata affidata ad un indipendente come Armen Sarkissian, che pure aveva ricoperto brevemente il ruolo di premier tra il 1996 ed il 1997, ma che soprattutto è stato ambasciatore armeno a Londra per dieci anni (1998-2018).
La personalizzazione del potere da parte di Serž Sargsyan hanno portato alla nascita delle proteste popolari, ed all’emergere del leader dell’opposizione Nikol Pashinyan, che ha costretto Sargsyan a lasciare l’incarico, assumendo, come detto, il ruolo di premier ad interim. Con le elezioni anticipate, però, Pashinyan ha potuto dimostrare di godere dell’appoggio popolare, ottenendo il 70.43% dei consensi con il suo partito, Contratto Civile (K՛aghak՛aciakan paymanagir), inserito nella coalizione denominata My Step Alliance. Gli uomini di Pashinyan hanno così ottenuto 88 seggi sui 132 che compongono l’Assemblea Nazionale del Paese (Hayastani Hanrapetyut’yan Azgayin zhoghov), contro i cinque che aveva conquistato alle elezioni primaverili.
Questo evento, invece, ha probabilmente segnato la fine definitiva della carriera politica di Sargsyan, il cui partito ha perso tutti i cinquantotto scranni conquistati ad aprile, raccogliendo solo il 4.70% dei consensi. Gli unici altri due partiti entrati in parlamento sono dunque il Partito Armenia Prosperosa (Bargavatch Hayastan kusaktsut’yun) di Naira Zohrabyan, che ha conquistato ventisei seggi con l’8.27% dei consensi, ed Armenia Luminosa di Edmon Marukyan, che ha raggiunto il 6.37%, collezionando diciotto seggi.
Per leggere la vita politica armena passata e presente, bisogna sempre tenere conto del fatto che nessuno dei principali partiti è in realtà legato ad ideologie o posizioni ben precise. Pur proponendo politiche vagamente di destra ed avendo qualche slancio nazionalista, l’RPA / HHK era sempre stato un grande partito piglia-tutto, che riusciva a raccogliere ogni tipo di consenso proprio grazie a quel suo modo di rimanere vago su molte questioni. La vita politica armena è invece sempre stata molto legata al carisma dei singoli uomini politici, come Sargsyan, e può essere vista come uno degli esempi più spiccati di personalizzazione della politica, dove a farla da padrone sono soprattutto gli interessi personali. Il pericolo, dunque, è che Pashinyan ed il suo Contratto Civile mettano in piedi un sistema molto simile a quello visto nell’ultimo decennio: non è un caso, infatti, che anche per il nuovo partito di governo gli analisti politici non siano in grado di definire una collocazione precisa nello spettro politico.
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Intanto, tra le sue prime mosse, Nikol Pashinyan ha affermato di voler ristabilire relazioni diplomatiche normali con la vicina Turchia, con la quale esistono diverse dispute in sospeso, in particolare quella del riconoscimento del genocidio degli armeni da parte dei turchi. Inoltre, la Turchia è strattamente alleata con l’Azerbaigian, Paese con al quale l’Armenia contende il possesso del Nagorno-Karabakh. Questa è un’area che si trova all’interno del territorio azero, ma popolata quasi unicamente da armeni, e che si è autoproclamata indipendente con il nome di Repubblica del Nagorno-Karabakh o dell’Artsakh, pur restando fortemente legata all’Armenia. Tale situazione ha portato Erevan a stringere rapporti più stretti con la Russia, in contrasto con il governo di Baku, piuttosto in buoni rapporti con gli Stati Uniti e con la suddetta turchia. Il conflitto si è oltretutto riacutizzato proprio nell’ultimo anno, e non ha certamente lasciato indifferenti le grandi potenze occidentali, visto che la regione caucasica è di fondamentale importante per l’approvvigionamento di petrolio e gas da parte dell’Europa. Secondo gli osservatori, il governo azero vorrebbe approfittare di questi momenti di destabilizzazione della vita politica armena per sfruttare la situazione a proprio vantaggio.