di Armando Army Fusco
Nella cultura moderna si usa spesso questo termine nella sua accezione più negativa, specie nella musica, pop equivale a “appartenente alle masse”, “di facile presa”, definizioni che pian piano sembrano convergere nel più esplicito SOTTOPRODOTTO. Ma è giusto destrutturare e sminuire l’importanza di un termine che fa riferimento a un’ epoca di rinnovamento, di apertura, di riscoperta di valori oscurati per tanto tempo come libertà, pace, condivisione?
Parte dall’America, da sempre nazione trend setter, e si scontra con un regime post bellico conservatore, ma trova accoglienza fra i giovani dei primi anni 50 , sposandone l’esigenza di cantare o ballare qualcosa di più ritmato, più leggero, più nuovo appunto. Alle melodìe singhiozzanti dei Platters, il primo gruppo di colore, segue il rock con il suo primo grande protagonista : Elvis Presley. Dovremo attendere gli anni 60, con i Beatles in Inghilterra e Tony Dallara, Mina e Celentano in Italia, denominati “gli urlatori”, per assistere ad un’ondata musicale e culturale di ribaltamento di stili. Non si tratta solo di musica: le nuove generazioni hanno voglia di liberarsi da costrizioni e inutili moralismi e questo desiderio trova sfogo anche nell’abbigliamento. Non è la musica la sola a far rumore: Andy Warhol e la sua POP ART si fa testimone di uno stile di vita massificatore, consumistico, cinico anche, ma pur sempre foriero di sperimentazione. Tutto si contamina : la musica leggera inizia a combinarsi con l’elettronica e di questi impulsi vivranno per anni di rendita i musicisti degli anni a venire. Sul finire dei Settanta, dai tedeschi Kraftwork ai Depeche Mode fino al camaleontico David Bowie, nessuno resiste al fascino del synth. In Italia nei primi anni Ottanta si ricordano gli esperimenti elettropop dei Matia Bazar con Antonella Ruggiero negli album Tango e Aristocratica per non dimenticare altri innovatori come Garbo, Alberto Camerini e i Krisma . Purtroppo una certa cultura spiccatamente di sinistra, votata al rock e alla musica folk, ha sempre un po’ snobbato e tuttora accade, la musica Pop, giudicando spesso alcune espressioni artistiche provenienti dall’Inghilterra degli anni 80 come “Camp”, Gay Pop, sottointendendo quindi una qualità inferiore. A difesa del POP, vorrei citare qualche passaggio del libro L’Estetica del pop di Andrea Mecacci che può illuminarci, là dove si dice che POP è un fenomeno culturale riconducibile non soltanto alla Pop Art ma ad ogni aspetto della vita del secondo Novecento, dal gusto estetico individuale all’immaginario collettivo di più generazioni, dagli oggetti quotidiani agli ambienti urbani; un’intera estetica che può essere sintetizzata in una frase di Warhol del 1963 : “Il Pop è amare le cose”. E proprio nella Pop Art che è il primo dato connotativo del movimento, si osserva che le opere pittoriche raffiguranti oggetti di consumo in serie, prodotti industriali che apparentemente potrebbero apparire privi di emozioni, in realtà esse vogliono esaltare il soggetto stesso delle opere e ciò è quindi una forma di arte. Cosa che si è avuta anche nella musica dove ciò che è diventato improvvisamente leggero, orecchiabile, ballabile è da considerare pur sempre espressione di una esigenza collettiva che nella messa in opera e nelle modalità di espressione acquista significato e valore artistico, aggiungerei più moderno in questo caso. E’ giusto quindi rielaborare e meditare meglio su questo concetto per non rischiare di etichettare in modo riduttivo e ingiusto un’epoca che è veramente e in modo sano segno di vitalità e libertà, valori tra l’altro attualmente compromessi da una società che sembra retrocedere di decenni…