Qualche sera fa riflettevo sull’opportunità di coinvolgere Banderas in una serie di spot che lo vedessero a un certo punto pronunciare, con spregio della dignità, lemmi come “focazzelle” e “inzupposso” al cospetto di una severa gallina meccanica. La questione meritava un supplemento di indagine e così, dall’iniziale meditazione principiata in bagno, sono passato a ponzare in salotto e quindi, e solo alla fine, in cucina dove ho potuto prendere atto che le “focazzelle”, anche dopo una settimana dall’apertura, erano ancora morbide come una spugna per i piatti senza che questo dovesse per forza rappresentare un vantaggio.
Se non fossi stato così esausto dall’eccessivo ponderare mi sarei anche soffermato sul passaggio che vede il mugnaio spagnolo piegare due fette di pancarré di differente provenienza e tessere le lodi di quella rimasta integra anche di fronte alla torsione estrema, come se questo non dovesse innescare banali riflessioni sull’incommestibilità di un prodotto indeformabile. Ma ero esausto e non mi sono soffermato. Il pensiero è andato subito al sapidissimo gioco di parole tra Brignano e Solenghi che dibattono, nello spot dei caffè, giocando sull’equivoco dato dallo scambio di vocali che porta all’asserzione apodittica “la felicità è nelle piccole case” in luogo di “la felicità è nelle piccole cose”. E a questo punto ho deciso di congetturare. Erano le 15, non avevo neanche pranzato, cosa mi impediva di congetturare? E ho congetturato. La congettura si è circoscritta ad un perché. “Perché” attribuire una proprietà pubblicitaria a un individuo trapassato, che si presume di fede cattolica, che sia in presenza dello spirito del primo pontefice della Cristianità e che cerchi di ingannare l’eternità della sua vita ultraterrena degustando con voluttà bevande ricavate dalla lavorazione di semi di piante caraibiche? Voglio dire, siamo in presenza della morte… come può la morte rappresentare veicolo di aggregazione commerciale? Mi sono a questo punto domandato quali alternative avessero a disposizione i professionisti che negli anni avevano firmato gli spot sui quali mi interrogavo. Nel caso di Banderas, il mugnaio sarebbe potuto essere sostituito dal titolare di un forno a conduzione familiare incapace di gareggiare con la perfezione di un prodotto di natura industriale.
Per il caffè, invece, un gruppo di amici si sarebbe potuto dare appuntamento al solito bar solo per assaporare l’ineguagliabile aroma lì ammannito. E invece Zorro e la morte. Per un secondo ho pensato al tizio vestito da tenerone (ricordate il Tenerone di D’Angelo?) che per reclamizzare dei biscotti senza zucchero, uccideva gli addetti alle pulizie di uno stabile – era possibile desumerlo – , si impadroniva del carrello elevatore e poi si esibiva dalla finestra di un ufficio in un’ignobile serenata accompagnandosi con un ukulele con il quale avrebbe dovuto ottenere il perdono della fidanzata Lucia, lì presente per una riunione, pur manifestando evidenti tendenze omosessuali. E’ nata qui la rubrica che vi dispenseremo in questo spazio libero, è nata qui ufficio réclame. Qui celebreremo il genio dei tanti che nei decenni passati ci vollero convincere che le paracadutiste davano il meglio delle loro performance se con le mestruazioni in corso e che l’allusione ad appetiti sessuali per quali era possibile identificare un languore non in una fame ma più in una voglia di qualcosa di buono era un espediente reclamizzante azzeccato. Celebreremo i fasti e documenteremo le attualità. Perché la pubblicità non sempre è l’anima del commercio. Nel caso della Lavazza, ad esempio, è l’anima de li mortacci loro.
E la chiusura volgare da me, francamente, proprio non me l’aspettavo.