Era ormai un anno fa quando, con il mio amico Tato, in treno attraversavamo il verde dell’Italia da Torino a Villa San Giovanni. Venivamo traghettati da una nave fino a Messina e da lì era un altro treno a portarci a Palermo. O Palemmo, come preferite. Da Palermo, fu un altro treno a trasformare il verde in oro e portarci dentro il cuore di Sicilia, a Roccapalumba. Lì incontrammo Claudio e la sua auto degli anni novanta ci guidò verso Lercara Friddi. Avrei scoperto solo l’ultima notte che quella era la cittadina natale del fondatore della mafia moderna: Lucky Luciano.
Passammo poco meno di una settimana insieme e il tempo non bastò a terminare la demo dell’album inedito al quale insieme io e Claudio stavamo lavorando. Finimmo per registrare la demo di un solo brano ma riuscimmo ad approfittare delle belle giornate per dare un assaggio alla Sicilia dorata. Sconfinammo spesso nell’agrigentino e bivaccammo per più pomeriggi sugli irti colli dell’entroterra siciliano. Il nostro weekend di composizione si affacciava sul 25 aprile che era il giorno della nostra ripartenza per la prima capitale.
– Dovete per forza tornare il 25 aprile? Facciamo una grigliata per festeggiare con gli amici. Una bella scampagnata. È proprio un peccato, sapete? Il 25 aprile è proprio una bella festa. Riesce sempre una bella scampagnata. – insisteva dolcemente Claudio. E ci avrebbe senz’altro convinto, se non fosse stato per il fatto che Yeerida bolliva in pentola e io necessariamente dovevo tornare.
– La prossima volta torno per un mese. – gli promettevo fiducioso. E non solo per terminare il nostro album ma perché, in quei giorni, della Sicilia mi innamorai e pensai per tanti momenti di non tornare più. Della Sicilia mi innamorai come ci si innamora di una donna conosciuta in vacanza a San Rafael, cioè con la consapevolezza che o scapperai con lei verso il Messico, oppure la abbandonerai per sempre e la rivedrai – se la rivedrai – quando sarà troppo tardi. Mi feci stregare dalla primordiale bellezza della campagna Siciliana. Pure mi affascinarono le donne e gli uomini siciliani. Mi rapì la storia bastarda di un’isola in cui tutti i grandi, prima o poi, attraccavano. La Sicilia faceva loro concepire le grandezze dell’universo e se essi riuscivano a sopravvivere all’amena isola, le loro idee avrebbero mosso il mondo. Il mio colpo di fulmine culminò la sera del 24 aprile dove in un pub pulito e ben illuminato Giovanni, pittoresca caricatura di Lercara Friddi, mi raccontò una storia che terminava proprio con il 25 aprile 1942.
Lercara Friddi è un paesino di poco più di 7000 abitanti e tutte le piccole comunità tendono a mitizzare – nel bene e nel male – i compaesani che sono diventati storia. Per Lercara Friddi la storia l’aveva fatta Lucky Luciano.
Giovanni mi raccontò che la sopravvivenza ad un feroce accoltellamento in Staten Island gli meritò il soprannome “Lucky” che antecedeva il suo nome.
– Gli americani gli dicevano “tu sei lucky!”, e sarai “lucky” per sempre. – pronunciava Giovanni facendo grandi gesti.
Così fu. Lucky Luciano fondò quella che sarebbe passata alla storia come la Mafia moderna e diventò uno dei padroni del commercio di eroina, del contrabbando dell’alcol e gran “mecenate” della prostituzione. Queste brutte cose gli costarono qualche anno di carcere a New York.
Ebbe amici noti dentro e fuori il mondo della criminalità organizzato, Frank Costello e Al Capone erano praticamente suoi amici d’infanzia. Con loro, si spartì la città, quella sporca ma sgargiante New York degli anni ’30.
Lucky Luciano era famoso per essere un gentiluomo prestato alla criminalità. Cortese, mediocremente acculturato, pacato e diplomatico era riuscito a insinuarsi anche nelle sfere alte della politica e dello spettacolo. Ricordiamo le sue scampagnate notturne nei night club con Sinatra e George Raft. Soprattutto era noto agli americani per la sua tremenda influenza in terra sicula dove veniva considerato un imperatore.
– Altro che zio d’America. Lucky Luciano era un’istituzione. Qui da noi, o eri fascista o eri con Lucky Luciano. E ti assicuro, i fascisti non duravano molto. Non gli davamo vita facile. No, noi no. – continua Giovanni con il suo racconto e la sua elegia a uno dei più importanti mafiosi della storia. E quando gli chiedo se non gli sembra fuori luogo dimostrare sì tanta ammirazione nei confronti di un criminale, Giovanni mi risponde con veemenza: – No. Non è fuori luogo. Tu dici così perché sei giovane e non conosci la vecchia Mafia. Tu conosci solo la mafia che c’è adesso, ma quella non è la Mafia. È criminalità senza valori. La nuova mafia non guarda in faccia nessuno, non ha più un codice d’onore. La vecchia mafia, no. Ce l’aveva un codice d’onore. E a te sembrerà una bestemmia ma la Vecchia Mafia proteggeva gli oppressi e i poveri. Difendeva la Sicilia dai fascisti. Gli oppressori erano loro, i fascisti di Roma; i poveri eravamo noi. Lucky Luciano ha costruito un impero dal nulla e ha mandato tanti soldi qui in Sicilia per sfamare le famiglie povere. In cambio tu gli giuravi fedeltà e servizio se e quando necessario. Lo stato non ti dava questa protezione. Lo stato ti affamava. Lucky Luciano invece pensava alla povera gente perché lui è dalle strade povere che arrivava. La vecchia mafia non era come quella che c’è adesso, no.
Io quelle parole non le capisco e inizio a guardare Giovanni in sottecchi perché, alla mia mente da nordico torinese, il ragionamento di quel grottesco uomo anziano mi pare insensato. Colluso. Giovanni è però molto empatico e si rende conto dell’avanzata del mio pregiudizio, della mia diffidenza. Allora addolcisce nuovamente la voce e prosegue la sua storia.
– Era il 1942 e Lucky Luciano stava al fresco nel carcere di Sing Sing. La polizia lo aveva beccato e le sue amicizie in politica non erano bastate. Hitler nel frattempo avanzava e mirava a conquistare tutta l’Europa. Quasi ci riusciva. I servizi segreti americani avevano bisogno di un uomo che avesse il potere di guidare gli alleati al fine di praticare lo sbarco. Ci volevano uomini che conoscessero l’isola come il palmo delle loro mani e che fossero in grado, laddove ci sarebbe stato il bisogno, di stare zitti. Coprire l’avanzata degli alleati in silenzio, senza cedere al crudele martello delle SS e dei fascisti, quelli duri, che erano rimasti ai tempi del prefetto di ferro. Ci volevano Siciliani fedeli, omertosi e che avessero a cuore la propria terra e la propria libertà. Questi uomini portavano al collo un fazzoletto giallo e una L cucita su un lembo. La L stava per Lucky Luciano, il quale schiocco di dita risuonò lungo tutto l’oceano, fino arrivare qui, a Lercara, dove gli uomini di Salvatore (nome di Luciano alla nascita) erano pronti a guidare gli alleati fino a Messina. –
Mentre Giovanni mi racconta queste cose, io sono un po’ incredulo e controllo su wiki. Chissà che quello che sta dicendo Giovanni non sia il frutto della quarta media bionda. Effettivamente però wiki fa menzione di questo presunto aiuto prestato agli americani dagli sgherri di Lucky Luciano. Giovanni, non curante della mia diffidenza, continua: – Al nord i partigiani hanno avuto i loro meriti. Scappavano in montagna, ho letto, e combattevano i fascisti aiutando gli inglesi e i francesi a organizzare i contrattacchi. Si sono organizzati da soli quei partigiani. Deve essere stato difficile per loro. Qui da noi non c’è mai stato bisogno perché c’era Lucky Luciano che ci pensava e che voleva bene alla Sicilia. Ci proteggeva lui. Qui in Sicilia pochissimi sono stati i soprusi fascisti contro la popolazione perché gli occhi e le orecchie di Lucky erano ovunque e lui i soprusi non li sopportava proprio. Gli uomini come Lucky Luciano o Vito Cascio Ferro non piacevano ai fascisti. Al secondo il duce mando come regalo Mori, il prefetto di ferro. Ma c’è da dire che la politica proibizionista e il totalitarismo autocratico dei fascisti non piaceva a Cosa Nostra. E, infatti, Lucky Luciano e i suoi uomini l’hanno poi fatta vedere a quei fascisti di merda. Hanno guidato la liberazione. La Sicilia è libera dal fascismo grazie a due forze istituzionali che amiamo e abbiamo amato: l’esercito americano e l’esercito di Lucky Luciano. –
La conclusione di Giovanni è solenne e il suo pugno e posato sul petto, all’altezza del cuore, mentre parla.
In quel momento mi resi conto di due cose. La prima fu intendere la grande differenza culturale fra me e i miei connazionali isolani, che sì, sono italiani come me e voi, ma appartengono a una cultura storica, di sudditanza, diversa. Che possiamo studiare ma non riusciremo a comprendere.
La seconda: tendiamo spesso a parlare del fascismo come una forza criminale che ha perdurato nei luoghi, nei tempi e in certe persone. Sbagliamo. Il fascismo non era una forza criminale ma diritto positivo prestato al peggior potere totalitario. Il fascismo, nella sua particolarità, e gli altri regimi nazisti e/o totalitari rappresentavano una minaccia per tutti i cittadini liberi e nessuno venne meno al compito di ribellarsi a questo potere perverso. Chi rinunciò alla lotta, in un modo o nell’altro morì. Chi combatté, ci liberò. Il fascismo non era criminale ma era statale, pubblico. Tant’è che persino gli stessi criminali insorsero contro di lui.
Quella sera, grazie al racconto di Giovanni, mi sentii con il cuore vicino anche ai siciliani collusi, ai siciliani omertosi. Perché lottiamo giorno per giorno per alleviare la vita delle persone dalla criminalità organizzata. Per farlo abbiamo bisogno di uno Stato che si curi dei suoi cittadini e che non li lasci in balia di fascini sinistri. Ho sempre avuto il mito della partigianeria come fenomeno di estrema vita attiva politica e ho spesso denigrato la poca partecipazione della cittadinanza meridionale alla liberazione dal regime fascista. Ma forse ha ragione Giovanni. Forse sono io che non conosco la Vecchia Mafia e i suoi valori.
Non c’era bisogno di partigiani. C’erano già gli uomini di Lucky Luciano che volevano bene alla Sicilia libera. E la Sicilia libera vuole loro bene ancora oggi.
In questo giorno di festa e di cittadinanza, alla mente mi torna il sorriso di Giovanni di Lercara Friddi. La chitarra di Claudio, il taccuino di Tato. Mi tornano in mente le parole venerande di Giovanni e della funzione sociale della vecchia mafia. E quindi mi sento di ringraziare gli irringraziabili. Perché sebbene siamo nemici, di legge e di cultura, c’è stato un momento preciso in cui abbiamo unito le forze per essere liberi. I partigiani (giustamente!) divennero l’icona dell’insurrezione popolare contro il regime. I mafiosi di Lucky Luciano però furono la chiave per il successo degli alleati. E fu grazie agli alleati che le armi nazifasciste vennero deposte.
Mentre il corpo di Benito veniva appeso in piazzale Loreto, Lucky Luciano brindava a Napoli. Brindava alla sua nuova libertà – dopo lo sbarco venne rilasciato – e, sicuramente, brindava a un nuovo giorno. Più libero.
Buon 25 aprile.