“Il Mullah Omar è morto, lunga vita al Mullah Omar”. In questa frase, parafrasata per il contesto, risiede la sintesi del pensiero che ricorreva dopo la fine di ogni dinastia e l’inizio della seguente. Una questione seria, quella della successione, sia che si tratti di un reale carolingio, sia che si riferisca al capo spirituale e storico dei Talebani. Il 29 luglio il Mullah Mohammed Omar muore. A colpire non è l morte in sé, ma il fatto che si tratti della terza volta che viene dato questo annuncio, negli ultimi cinque anni. Per tutta una serie di implicazioni le sue ”morti” non sono mai dettate dal caso, e avvengono sempre alla vigilia di incontri importanti, di annunci, alleanze o svolte nel lungo e difficile processo di riavvicinamento che il governo di Kabul tenta con i Talebani. Sono insomma delle morti di “propaganda politica”. In realtà annunciare o smentire queste presunte morti è abbastanza facile, considerando che del Mullah Omar si sono perse le tracce dal 2001. Le sue apparizioni sono solo mediatiche e si limitano a messaggi scritti. Molto diverso l’approccio del leader di Al Qaeda, che fino all’ultimo aveva delle riprese da mostrare, impegnato in qualche attività militare o addestrativa. Su un altro piano potremmo definire incredibilmente evolute le tecniche comunicative mediatiche messe in atto dal Califfato, che costantemente ci annunciano una loro impresa o una vittoria sugli infedeli. Segno che questo organismo, seppur nato da una costola di Al Qaeda, ma diversissimo per finalità e modalità di esecuzione, ha mire ben più ampie.
E non a caso il pensiero corre ai jihadisti. Perché l’annuncio della morte del Mullah Omar stavolta arriva a sconvolgere i piani di pace col governo afgano ma non solo. In ballo c’è più di un compromesso storico, perché a quanto pare, i vuoti di potere reali o solo indotti da queste dicerie sempre “confermate” da fonti abbastanza ufficiali, deciderebbero le sorti di un regime e le sacche di insorgenza potrebbero trovare il loro nuovo impiego sotto vessilli neri, molto poco rassicuranti.
I Talebani sono divisi, e questo succede già da un po’, ma finora ad unirli c’era stato questo leader spirituale. Dopo la conferma della sua morte si sono affannati a dichiarare nuovo leader il suo vice, Mullah Akhtar Mohammad Mansour, che ha prontamente negato che eventuali colloqui di pace abbiano avuto luogo. Perché negare così prontamente? Probabilmente perché molti sostenitori del Mullah Omar sono contrari a questa svolta e alla nuova nomina, e per tenerli a bada questa mossa sarà parsa a Mansour l’unica possibile.
E mentre le divisioni nel gruppo si fanno più palesi ecco che all’orizzonte arrivano gli uomini del Califfato, ovvero le milizie di Daesh, conosciuti secondo dicitura americana come Isis. Il Mullah Omar è stato un fattore unificante, se è morto il gruppo potrebbe rompersi in fazioni, in competizione per dimostrare che è la linea più dura a trionfare, e a quel punto Daesh potrebbe anche finire per assorbire militanti talebani. I segnali non mancano. In alcune province come Ghazni e Zabul alla bandiera bianca dei talebani è stato sostituito il vessillo nero di Daesh. La defezione di 200 soldati dell’ANSF, le forze di sicurezza nazionale afgana, nel nord-est, a Badakhshan, la scorsa settimana è un ulteriore segnale allarmante.
Da qui si evince l’importanza strategica che finora aveva ricoperto il Mullah Omar, contribuendo a mantenere i Talebani uniti. Non un semplice comandante, che conduce una campagna contro Kabul, ma un Amir-ul-Momineen (capo dei fedeli).
Per capirlo bisogna percorrere la storia delle sue origini e anche le sue amicizie con uno degli uomini più conosciuti degli ultimi anni, da sempre associato all’Afghanistan, pur non avendo alcun legame con questo paese, se non la possibilità di nascondersi fra le sue montagne e guidare da lì una “base” di terroristi fondamentalisti, conosciuti come Al Qaeda (la base appunto), e che si è man mano specializzata a seconda dei paesi e delle varie esigenze di rivalsa dei propri componenti in tante altre organizzazioni criminali.
Ad un certo punto il capo di Al Qaeda, Osama bin Laden, incontra i Talebani. Per capire come nasce questa unione tra il Mullah Omar e Bin Laden bisogna andare agli inizi degli anni Ottanta, il momento in cui i due si conoscono in una scuola coranica a Karachi. Insieme decidono di formare un gruppo nuovo che possa purificare i paesi islamici dalle cattive abitudini ormai dilaganti che il mondo occidentale ha diffuso, tornando invece ai vecchi precetti che da un lato si rifanno alla Shari’a e dall’altro al codice tribale dei pashtun, ovvero il Pashtunwali. Insieme conquisteranno Kabul il 27 settembre 1996, da lì inizierà l’ascesa di quest’uomo, che nonostante le divisioni interne che negli anni hanno frazionato il gruppo, è rimasto sempre guida spirituale riconosciuta. Sebbene viva in clandestinità dal 2001 e sulla sua testa penda una taglia di 25 milioni di dollari, offerta dagli Stati Uniti, oltre a10 milioni di dollari di ricompensa per informazioni che aiutino a catturarlo.
Non è la prima volta che viene annunciata la morte di questo uomo così potente. Il 6 luglio 2010 la televisione afgana, basandosi sul blog di un ex funzionario della sicurezza statunitense, ha erroneamente annunciato la cattura del Mullah in Pakistan, notizia poi smentita dai portavoce dei Talebani.
In quello stesso giorno in Italia viene emanato il decreto legge 6 luglio 2010, n. 102 con il quale sono stati prorogati gli interventi di cooperazione allo sviluppo e al sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali. In particolare un ruolo di primo piano è riservato all’Afghanistan. Inoltre viene autorizzata la partecipazione dell’Italia ad una missione di stabilizzazione economica, sociale e umanitaria in Afghanistan e Pakistan allo scopo “di fornire sostegno al Governo afgano e al Governo pakistano nello svolgimento delle attività prioritarie nell’ambito del processo di sviluppo e consolidamento delle istituzioni locali e nell’assistenza alla popolazione”. Peraltro, è stato disposto che le attività operative della missione siano finalizzate alla realizzazione di iniziative concordate con il Governo pakistano e destinate al sostegno della piccola e media impresa e dei mezzi di comunicazione locali, nonché al settore sanitario ed educativo. Come a dire: l’Occidente ha bisogno di un piccolo incentivo per aiutarci, e noi gli forniamo la morte del Mullah.
L’anno seguente è emblematico per la coalizione, sono infatti trascorsi 10 anni dall’inizio della missione, e mentre in Italia un grande convegno celebra questa data, esattamente il 23 maggio, la tv afgana annuncia l’uccisione del Mullah in Pakistan, risalente a due giorni prima; la notizia viene prontamente smentita dai Talebani e a luglio di quell’anno, esattamente una settimana dopo, la riunione della delegazione dell’Alto Consiglio afgano per la Pace con rappresentanti Taliban a Murree, a nord di Islamabad, in Pakistan, per tentare di mettere fine al conflitto in Afghanistan che si protrae da più di 13 anni, ritorna a farsi sentire, con queste parole: ”Se guardiamo alle nostre regole religiose – scrive il Mullah nel discorso proclamato a fine Ramadan – possiamo dichiarare che gli incontri o anche le pacifiche interazioni con il nemico non sono proibiti. Insieme al jihad armato, gli sforzi politici e le strade pacifiche per raggiungere i sacri obiettivi rientrano in un legittimo principio dell’Islam”.
A rispondergli è Mohammad Ismael Qasimyar, consigliere dell’Alto Consiglio di Pace, con un laconico “cessate il fuoco e poi si vedrà”.
Infine la terza morte, qualche giorno fa; il 29 luglio i Talebani dichiarano che il Mullah Omar sarebbe deceduto nell’aprile del 2013 – e quindi in piena offensiva primaverile – a Karachi, in seguito ad una tubercolosi.
A dire il vero che il Mullah Omar sia deceduto o meno, non conta molto a questo punto. Quello che deve far riflettere è la spaccatura evidente che lacera il gruppo e che non fa presagire nulla di positivo per le future sorti dell’Afghanistan. In un momento, peraltro, in cui anche la popolarità del presidente Ghani risulta in calo. La popolazione afgana ha infatti dichiarato, durante un sondaggio condotto dai media locali, su un campione di 2.669 persone nelle 34 province afghane, come solo il 12,1% degli afgani ritenga che la priorità del governo di Kabul debba essere il raggiungimento di un accordo di pace con i seguaci del Mullah Omar. Per i Talebani tali accordi arriveranno solo dopo “la cacciata degli invasori” ma Ghani ha come prima cosa chiesto agli Usa di restare ancora nel Paese. E mentre si continua a discutere il vessillo del Califfato avanza.