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Il Renzi style e i nudi ricoperti per compiacere Rohani

Postato il Gennaio 29, 2016 Attilio De Alberi 0

Per leggere questo articolo ti servono: 4 minuti

La stampa italiana e i social impazzano dopo l’episodio dei nudi coperti per non urtare la sensibilità del presidente iraniano Rohani in visita in Italia. Visita, non dimentichiamo, anche e forse soprattutto per far business. Cass’ha da fa’ per magna’! potrebbero commentare certi.

Non addentriamoci nella diatriba se sia stato giusto fare quel che è stato fatto. Due cose sono certe: l’Italia si è coperta di ridicolo in tutto il mondo, e fonti autorevoli c’informano che nudi artistici non mancano nel presunto oscurantista Iran.

Ne’ rompiamoci la testa per capire chi sia il vero responsabile di questa patetica vicenda. Mentre le indagini continuano il classico esercizio dello scarica-barile è già partito alla grande.

Vorrei invece approfittare di tutta questa caciara per richiamare l’attenzione su una modalità consistente nel modus operandi renziano che, sorpresa, sorpresa, si sposa perfettamente con quanto è avvenuto. E non solo in occasione della visita di Rohani, ma, come ci viene ricordato, durante la visita dello sceicco Al Nayhan (leggi: altro business) a Firenze, quando il nostro Primo Ministro diede ordine esplicito e consapevole di nascondere il nudo di Jeff Koons a Palazzo Vecchio.

Mettiamola così: ammesso e concesso che il bulletto di Rignano sull’Arno, solitamente maniaco del controllo verticista, non abbia dato un ordine preciso di nascondere gli “scandalosi” nudi per compiacere il “santo” uomo Rohani, non è difficile presupporre che il responsabile (o la responsabile) si sia ispirato/a al precedente fiorentino, suvvia!

E giungiamo così al dunque. Non pochi hanno da tempo accusato Renzi di zelighismo. Per citare due personaggi mediatici di una certa levatura: Marco Travaglio e Vauro.

Per chi non lo sapesse, lo zelighismo è una sindrome che trae la sua origine dal geniale mockumentario Zelig scritto e diretto e interpretato da Woody Allen, uscito nel 1983 .

Nella pellicola si narrano le vicissitudini dell’ebreo newyorkese Leonard Zelig, divenuto oggetto di studio psichiatrico per la sua esagerata capacità camaleontica di cambiare personalità (e addirittura colore e ideologia – ad un certo punto diventa nazista convinto!) a seconda delle persone con le quali interagisce. Dietro tutto ciò un patologico bisogno di essere accettato. Potremmo chiamarlo, volgarmente, paraculismo all’ennesima potenza.

Cosa c’entra tutto ciò con Renzie boy? potranno chiedersi i meno smaliziati tra noi. Citiamo alcuni degli episodi più clamorosi che hanno visto come protagonista il “piacione” di Palazzo Chigi.

  • Quando Renzi va ospite dai giovani dem (teoricamente più a sinistra di lui) non indossa più la sua famosa camicia bianca, bensì un bel maglioncino… rosso.
  • Quando Renzi incontra Tsipras a Roma gli regala la famosa cravatta. Quando dopo poco incontra la Merkel, non esita a sparlare del “compagno” Alexis.
  • Quando Renzi va in visita ufficiale a Cuba, non resiste alla tentazione di entrare nel ruolo di compañero e, proprio lui, ipso facto, riscopre la revolucion. Consiglio a questo proposito la feroce satira di Crozza sull’evento  (“Per governar serve una vision, lavoratori che amano il padron”, tra le tante chicche).
  • Quando la crisi bancaria (e non solo) imperversa, il buon Renzi, per ovvie motivazioni populistiche, si mette a fare lo Tsipras della situazione (per modo di dire) e si atteggia a duro che sbatte i pugni sul tavolo.

Vi basta?

Ma dietro tutto questo c’è qualcos’altro. Niente popo’ di meno che i Maya. Tranquilli! Renzi non è un viaggiatore del tempo giunto a noi dalla famosa civiltà pre-colombiana. Ci riferiamo qui alla sua energia di base, secondo la valutazione fatta da questo antico popolo, famoso per il suo studio del tempo, dei numeri e degli astri.

In brevis: i Maya erano molto attenti all’energia lunare (furono tra l’altro molto bravi nel prevedere le eclissi). Come tutti sappiamo la luna influenza il movimento delle acque (vedi le maree) e quindi del liquido amniotico nel quale siamo immersi alla nascita. Su questa base introdussero una serie di tipologie. Junghianamente, non dobbiamo tanto cambiare, ma cercare di essere (o tornare a essere) quello che siamo, in base a queste tipologie. Più siamo coerenti con la nostra energia di base e più siamo armonici con noi stessi e con gli altri. In una società ideale, se tutti fossero armonici con se stessi e accettassero le energie altrui, ci sarebbero meno conflitti. Naturalmente ci sono tanti altri elementi a determinare la nostra personalità (il vissuto familiare, i condizionamenti sociali e culturali), ma questa valutazione è un utile tassello in più per capire meglio chi siamo.

Matteo Renzi altro non è che uno Specchio Bianco. Da un lato questo implica una riflessione fredda e obiettiva della realtà (cosa che, ahimé, non vediamo sempre, soprattutto quando si tratta di interpretare i dati reali dell’economia). Dall’altro questo implica una riflessione del comportamento altrui che può sfociare, appunto nello zelighismo. Naturalmente la cosa è più complessa, essendoci in ballo anche altre energie. E a questo punto rimanderei alla lettura di un mio recente articolo apparso su Lettera43 nel quale viene analizzato l’intero quadro energetico di Renzi e non solo. 

Per esempio, a mo’ di preview, Renzi è anche determinato dall’energia del Vento Bianco, ossia dalla comunicazione e bisogna ammettere che, al di là della sostanza di quanto dice, come comunicatore se la cava bene. Ironicamente Alessandro Di Battista (altro gran comunicatore) ha lo stesso quadro energetico di Renzi, ma fortunatamente si risparmia gli eccessi à la Zelig.

Forse vi verrà da ridere se vi dico che anch’io ho lo stesso quadro energetico dei due suddetti uomini politici. Quindi conosco i miei polli e anch’io, se non sto attento, posso deviare nello zelighismo. Chi mi conosce di persona lo sa 🙂

#jung#leonard zelig#maya#renzi#rohani#specchio bianco#statue coperte#zelighismo

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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