Il 40% dei principali istituti scolastici italiani è privo del servizio mensa. Ma la refezione scolastica, anche dove garantita, presenta enormi differenze sia per quanto concerne i criteri di accesso che la qualità dei prodotti.
E’ quanto emerge da “(Non) Tutti a mensa!”, il report di Save the Children di recentissima pubblicazione che ha esaminato il servizio di refezione nelle scuole primarie dei 45 Comuni capoluogo di provincia con oltre 100mila abitanti. Il rapporto, diffuso nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro”, include anche le opinioni e le proposte di cento bambini che vivono quotidianamente la mensa scolastica di sei città (Torino, Milano, Napoli, Bari, Crotone, Scalea).
Risale al 2013 il primo monitoraggio delle condizioni di accesso alle mense delle scuole primarie effettuato dalla Onlus. Erano coinvolte 36 città italiane. “Dalla rilevazione effettuata nel 2013, aggiornata nel 2014, sono emerse forti disparità di trattamento nei territori italiani, sia rispetto alla soglia che ai criteri di accesso alle riduzioni o esenzioni per le fasce più disagiate” spiegano da Save the Children. “A partire dalle forti disparità mappate, si è deciso di effettuare una ricerca più sistematica, che coprisse sia gli aspetti legati all’accesso che quelli sulla qualità del servizio, coinvolgendo le amministrazioni comunali, i genitori dei bambini che frequentano la scuola primaria e i bambini stessi”.
La nuova indagine è stata effettuata tra febbraio e luglio 2015. Sono stati analizzati i dati relativi a disponibilità, accessibilità e qualità nei 45 Comuni. “E’ stato, inoltre, effettuato un sondaggio d’opinione rivolto ai genitori che hanno figli di età compresa tra i 6 e i 10 anni, includendo una parte del campione che usufruisce del servizio e una parte più ridotta che non ne usufruisce”.
Dalla ricerca è emerso che la percentuale di assenza del servizio aumenta in alcune regioni del Sud Italia, come la Puglia (53%), la Campania (51%), la Sicilia (49%). Al Nord la mensa non è presente in circa un terzo delle istituzioni scolastiche principali.
ESTERNALIZZAZIONE DEL SERVIZIO
Nel 90% dei casi esaminati, la gestione del servizio di refezione scolastica è affidato a ditte esterne di ristorazione. Nel 65% dei casi i pasti vengono trasportati esclusivamente dall’esterno.
Tutti i Comuni monitorati “hanno dichiarato di aver recepito le direttive delle Linee Guida del Ministero della Salute per quanto riguarda la predisposizione dei menù sulla base dei LARN (Livelli di Assunzione giornalieri Raccomandati di Nutrienti) e la previsione dei controlli esterni”. Non tutti, però, si sono preoccupati di attivare la Commissione Mensa negli istituti scolastici, “fondamentale per coinvolgere anche le famiglie sul tema dell’educazione alimentare”.
LA MENSA NON E’ UGUALE PER TUTTI
Sono piuttosto varie le tariffe applicate nel 45 Comuni monitorati. Le rette minime vanno dagli 0,35 centesimi al giorno di Salerno ai 5 euro e 50 centesimi di Bergamo. Le massime, invece, vanno dai 2,3 euro di Catania ai 7,7 euro di Ferrara. Sono 15 i Comuni che superano la soglia dei 5 euro a pasto, pari a una spesa di 100 euro al mese. Tra questi c’è Palermo, con una tariffa di 6 euro.
Notevoli le differenze anche nei casi di famiglie in situazioni di povertà. I Comuni di Bolzano, Catania, Padova, Rimini, Salerno e Trento non garantiscono alcuna esenzione. Le criticità maggiori si riscontrano a Rimini e a Padova, con tariffe mensili di 40 e 53,2 euro.
Il costo del pasto a Bergamo può variare fino a un massimo di 3 euro e 85 centesimi. “Il paradosso è che una famiglia in condizione di povertà a Bergamo si trova a pagare di più di una famiglia con un reddito medio-alto a Trento” precisa Antonella Inverno, responsabile Policy e Law di Save The Children.
AGEVOLAZIONI
In 25 Comuni, oltre la metà di quelli monitorati, l’accesso a rette agevolate o a riduzioni è previsto soltanto per i residenti. In 6 Comuni non esiste alcuna esenzione dal pagamento. Sette Comuni prevedono, infine, l’esclusione del bambino dal servizio in caso di genitori insolventi.
Le tariffe ridotte sono previste da tutti, ma i criteri di accesso variano a seconda del territorio.
I Comuni mappati prevedono delle riduzioni tenendo in considerazione l’Isee familiare. Il 66% prevede riduzioni particolari per nuclei familiari numerosi e il 25% garantisce la riduzione delle tariffe “in casi di avvenuta disoccupazione o cambiamenti nella situazione economica della famiglia avvenuti durante l’anno”.
“Considerato che tutti i minori sono titolari degli stessi diritti”, aggiunge Antonella Inverno, “il criterio della residenza può avere effetti discriminatori nei confronti dei bambini che non risiedono in quel territorio, che poi, spesso, appartengono a nuclei familiari più svantaggiati e in difficoltà”.
ESCLUSIONE DAL SERVIZIO
Differiscono anche le prassi adottate dai diversi Comuni nei casi di genitori morosi nei pagamenti. I Comuni di Brescia, Foggia, Novara, Palermo, Sassari, Salerno e Taranto in caso di insolvenza applicano l’esclusione del bambino dal servizio. Misura che, per Antonella Inverno, corrisponde a “una grave forma di discriminazione nei confronti dei bambini. Anche se è giusto e doveroso richiedere il pagamento laddove ci sia una morosità colpevole, la rivalsa nei confronti dei genitori va esercitata in altro modo e non deve pesare sui minori”.
MAGLIE NERE
Particolarmente onerose, sia per le famiglie di classe medio-alta (con Isee fino a 25mila euro) che in situazione di povertà (Isee fino a 5.000 euro), le tariffe di Bergamo, Forlì, Piacenza e Reggio Emilia, sopra i 5 e i 2 euro a pasto.
Negative, invece, le prassi rilevate a: Brescia, “che si distingue tra le tariffe più alte, per i criteri molto restrittivi nelle esenzioni e per le esclusione dei figli dei genitori morosi dal servizio”; Salerno che, “pur non avendo tariffe particolarmente elevate, non prevede nessuna forma di esenzione per le famiglie in situazioni di disagio e allo stesso tempo esclude i figli di genitori morosi dall’accesso al servizio”; Bergamo, con tariffe molto alte, soprattutto per le famiglie con redditi più bassi, che prevede “l’esenzione del pagamento solo su richiesta diretta dei servizi sociali”.
Una varietà enorme dei criteri di accesso, quella riscontrata dal report, che, come precisato da Raffaella Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children, “rischia di creare discriminazione fra i bambini, a seconda del territorio di appartenenza, e va quindi superata. Sono anni che Save The Children denuncia il gravissimo aumento della povertà minorile in Italia. Diamo atto al Governo di aver inserito finalmente, nella nuova legge di stabilità, l’avvio di una misura organica di contrasto alla povertà minorile e, in particolare, un fondo sperimentale triennale dedicato a contrastare proprio la povertà educativa, la dimensione a nostro avviso più grave e meno considerata della povertà dei bambini, che blocca sul nascere le loro aspirazioni e le prospettive di crescita per il futuro. Ci auguriamo che questi interventi segnino un effettivo punto di svolta nelle politiche di welfare sull’infanzia in Italia e che, in questo quadro, si intervenga anche sulle mense scolastiche, sottraendo questo servizio dalla discrezionalità dei singoli comuni e considerandolo invece come servizio essenziale, con gratuità di accesso per tutti i minori in povertà”.
Per quanto riguarda, infine, il campione di 45 Comuni scelto in rappresentanza delle scuole di tutto lo Stivale, la Onlus dichiara: “Si è ritenuto che l’ampiezza e l’importanza dei Comuni intervistati potesse dare dei risultati significativi e offrire un quadro d’insieme sulle politiche e le prassi applicate a livello nazionale”.