Il progetto leviatanico dell’Unione Europea liberista, dopo aver raggiunto un apice di popolarità a cavallo dei due secoli, ha subito un brusco ridimensionamento, perdendo consensi e legittimità popolare. Prima l’introduzione della moneta unica e poi la profonda crisi economica ne hanno messo in luce la vera natura, provocando una conseguente ondata di repulsione da parte dei cittadini del continente.
Già in passato, in altri articoli, abbiamo avuto modo di soffermarci sugli infiniti limiti dell’attuale struttura dell’Unione Europea, nonché su quelli della moneta unica, basata su principi economici quanto meno discutibili. In una tale situazione, le masse hanno iniziato ad acquisire una certa coscienza circa gli aspetti negativi dell’organizzazione sovranazionale, sottolineando – giustamente – l’importanza di ritrovare una sovranità nazionale e popolare, soprattutto nel campo delle politiche economiche e monetarie.
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Come abbiamo fatto in altre occasioni, ricordiamo che noi consideriamo la definizione di “sovranismo” che si trova nel dizionario Larousse, ovvero “la difesa della sovranità nazionale in opposizione al trasferimento dell’esercizio del potere ad un livello sovranazionale. I partigiani del sovranismo denunciano questo trasferimento di sovranità come una minaccia per l’identità nazionale, o come fonte di nocumento per i principi democratici, allontanando gli elettori dai propri eletti”. Una definizione che dunque non implica concetti prettamente riferibili ad una parte politica.
Tuttavia, nonostante il rifiuto della sovrastruttura europea sia praticato tanto dalla destra nazionalista quanto dalla sinistra anticapitalista, questa ondata di rifiuto dell’Unione Europea nella sua struttura vigente ha avvantaggiato soprattutto i partiti che si rifanno ad una visione di destra, facendo passare due messaggi totalmente errati: che la sovranità nazionale sia prettamente di destra e che la strada d’uscita dall’Unione Europea si troverebbe nei governi di quella fazione.
In realtà, l’esperienza di questi ultimi mesi ci sta confermando quanto abbiamo avuto modo di affermare in diversi articoli pubblicati negli ultimi anni, ovvero che non è possibile una vera sortita dall’UE prendendo la porta di destra, e questo per vari motivi. Innanzi tutto, molti di quei partiti di destra che si dicono contrari all’Unione Europea ne condividono la visione economica ultraliberista; in secondo luogo, la deriva verso destra può portare solamente ad uno scontro tra i Paesi membri, che potrebbe avvenire sia all’interno che all’esterno della stessa organizzazione sovranazionale.
Ci spieghiamo meglio: la destra nazionalista, come da definizione, pone come prioritario il bene nazionale, anche a discapito degli altri Paesi. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio proprio con la bocciatura della legge di bilancio presentata dal governo gialloverde: i presunti alleati europei di Matteo Salvini, dall’austriaco Sebastian Kurz all’ungherese Viktor Orbán, hanno votato contro il governo italiano, dimostrando che una solidarietà internazionale tra governi di destra è di fatto impraticabile – oltre a suggellare quello che diciamo da tempo, ovvero che sia Kurz che Orbán sono contrari all’UE solamente quando c’è da fare propaganda presso il proprio elettorato. E, sia ben chiaro, neppure l’attuale governo italiano ha intenzione di rompere davvero con gli odiati “burocrati di Bruxelles”.
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Proprio per queste ragioni, è necessario formulare proposte alternative per un’uscita da sinistra dall’Unione Europea, in cui la critica dell’UE vada di pari passo con la critica dell’economia ultraliberista vigente. Lo storico francese Christophe Le Dréau, del resto, ha già avuto modo di sottolineare come la rivendicazione della propria sovranità nazionale in opposizione all’UE abbia “per interesse principale quello di dare risalto ad una cultura politica più positiva, per un’altra Europa”. Non, dunque, la negazione dell’Europa e degli stretti legami esistenti fra gli stati che la compongono, ma un approccio diverso rispetto a quello puramente economicista oggi esistente, riscoprendo il “politico” puro.
Rifacendosi anche agli studi di Emmanuelle Reungoat, possiamo dunque affermare l’esistenza di due forme di “sovranismo”: quello anti-europeista, tipico delle destre nazionaliste, che può portare solamente al conflitto tra le parti, e quello alter-europeista, che dovrebbe essere abbracciato dalla sinistra anticapitalista, che implica non un rifiuto totale ed aprioristico dell’Europa in quanto tale, ma un rifiuto dell’Unione Europea come la conosciamo oggi. Ciò che emerge da questa forma di sovranismo che abbiamo definito di alter-europeismo, è la necessità di creare un’Europa che riconosca le affinità e le differenze tra gli stati-nazione che la compongono, senza mettere a repentaglio la loro identità individuale e la loro sovranità, ma dando vita a forme di collaborazione e di cooperazione che possano essere di giovamento per tutte le parti in causa.
Come quando si è impegnati in un viaggio in automobile e ci si rende conto di aver imboccato la strada sbagliata, la prima cosa da fare è quella di tornare indietro. Non è infatti possibile tagliare i campi coltivati per recuperare la strada giusta, soprattutto se l’errore è stato compiuto parecchi chilometri prima. L’unica soluzione plausibile è quella di ripercorrere la stessa strada in senso opposto, fino a ritornare al bivio ed imboccare dunque la via corretta. Ecco perché riteniamo il recupero della sovranità nazionale, soprattutto in campo economico e monetario, come il primo passo per la costruzione di un’Europa alternativa.
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Identificata la direzione da prendere, è ora necessario capire quali siano gli attori che possano dar vita a questo movimento. Non si tratta certamente della classe dominante, che nell’Europa del primato economico ci sguazza. Sono stati del resto costoro a disegnare il progetto dell’Unione Europea a propria immagine e somiglianza, a discapito delle classi dominate, e che ora cercano di riciclarsi in tribuni del popolo nei partiti di destra. Sono dunque proprio i dominati ad avere il compito di dar vita al movimento che ristabilisca la sovranità nazionale degli stati europei, con l’obiettivo ultimo di dar vita ad un’Europa degna di tale nome. Proprio come il ruolo rivoluzionario che il proletariato assume nella teoria di Karl Marx, anche in questo caso sono le classi subalterne a dover prender in mano le redini della situazione: la classe dominante è infatti sinonimo di mantenimento dello status quo, le classi dominate sono invece portatrici di cambiamento.
Detto questo, il recupero delle sovranità nazionali deve essere il fine a breve termine dei movimenti sovranisti di tipo alter-europeista, ma non il fine ultimo, come sarebbe invece nel caso di un sovranismo anti-europeista. L’obiettivo conclusivo è la costruzione di un’Europa che, come abbiamo detto in precedenza, tenga conto tanto delle affinità quanto delle differenze tra gli stati che la compongono. Come ammoniva Vladimir Lenin nel 1915, “gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico non possono che essere impossibili o reazionari”. Un’Europa progressista non può dunque che nascere dall’iniziativa delle classi dominate, come ricordava Leon Trostky: “Il fine del proletariato europeo non è la perpetuazione dei confini ma, al contrario, la loro abolizione rivoluzionaria, non lo status quo, bensì gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!”.
BIBLIOGRAFIA
LE DRÉAU, Christophe (2009), L’Alliance pour la souveraineté de la France et l’émergence du militantisme souverainiste (1997-2002)
LENIN, Vladimir (1915), Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa
REUNGOAT, Emmanuelle (2009), Les difficultés d’implantation d’un parti souverainiste en France (1992-2009)
REUNGOAT, Emmanuelle (2015), Et si les souverainistes de droite et de gauche se donnaient la main en France comme en Grèce, quel poids électoral?
TROTSKY, Lev (1937), La rivoluzione tradita