Sono oramai passate oltre due settimane dalle elezioni legislative del 6 ottobre, ma la Lettonia non ha ancora un governo.
A condurre le contrattazioni tra le forze politiche in campo è stato fino ad ora il Nuovo Partito Conservatore (Jaunā konservatīvā partija – JKP) dell’ex Ministro della Giustizia, Jānis Bordāns. Le proposte, tuttavia, sono state respinte soprattutto dalla compagine denominata A chi appartiene lo Stato? (Kam pieder valsts? – KPV LV), la nuova forza populista anti-establishment e parzialmente antieuropeista nata nel 2016. Il segretario Artuss Kaimiņš ed il candidato premier Aldis Gobzems hanno addirittura lamentato il fatto che i conservatori avrebbero mandato le proprie proposte unicamente via e-mail, senza prevedere incontri dal vivo.
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A tirarsi fuori dalle contrattazioni guidate dai conservatori è stato anche il partito Attīstībai/Par!, che, con i suoi tredici seggi, sarebbe fondamentale per la formazione del governo di coalizione proposto da Bordāns, che, oltre alle tre forze citate, vorrebbe includere Nuova Unità (Jaunā Vienotība) ed Alleanza Nazionale (Nacionālā Apvienība – NA). A spaccare la potenziale coalizione pentapartitica sarebbe stata la proposta di spartizione dei ministeri formulata dal Nuovo Partito Conservatore, che avrebbe reclamato per il proprio candidato Bordāns il ruolo di primo ministro, nonostante KPV LV abbia ottenuto qualche migliaio di voti in più.
Il mancato accordo tra le cinque formazioni politiche coinvolte in questa prima tornata di colloqui potrebbe far tornare in ballo il Partito Socialdemocratico “Armonia” (in lettone Sociāldemokrātiskā Partija “Saskaņa”, in russo Социал-демократическая партия «Согласие»). Primo partito sia nel 2014 che quest’anno, la forza guidata da Vjačeslavs Dombrovskis paga soprattutto il proprio orientamento filorusso, visto che “Armonia” ha la sua base elettorale proprio nella popolazione di etnia russa (circa un quarto dei due milioni di abitanti della Lettonia). Il pregiudizio nei confronti dei russi è stato fino ad oggi ancora troppo forte nella politica lettone, anche perché gli altri partiti hanno annunciato la propria intenzione di mantenere un orientamento di politica estera filoeuropeista e filostatunitense (la Lettonia è anche membro della NATO, oltre che dell’UE).
Questo pregiudizio ha fino ad ora tenuto “Armonia” fuori dai colloqui per la formazione del nuovo governo, ma i socialdemocratici potrebbero tornare clamorosamente in ballo per permettere la formazione di una maggioranza. Con i propri ventitré seggi, infatti, rappresentano il partito con più scranni all’interno della Saeima, e potrebbero risultare fondamentali per preservare la governabilità della piccola repubblica baltica. Il partito ha fatto sapere di essere disponibile a formare un governo di coalizione “libero dal potere degli oligarchi e dall’influenza del Cremilino”, invitando gli altri partiti a rendere possibile “questo storico cambiamento”.
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Altro partito escluso dalla potenziale coalizione, l’Unione dei Verdi e dei Contadini (Zaļo un Zemnieku savienība – ZZS), sembra invece destinato a rimanere all’opposizione. Il partito del primo ministro uscente Māris Kučinskis, è infatti uscito con le ossa rotte dalle urne, perdendo dieci punti percentuali ed altrettanti seggi. La ZZS è stata a sua volta accusata di simpatie filorusse, e di aver rappresentato negli ultimi anni l’agente del Cremilino all’interno del governo lettone, accuse respinte da Kučinskis.
Nel frattempo, il Presidente della Repubblica, Raimonds Vējonis, ha annunciato l’intenzione di proporre un’emendamento costituzionale, per cancellare l’elezione diretta del capo di Stato. Approvata dalla Saeima lo scorso 4 ottobre, questa entrerebbe in vigore per la prima volta il prossimo anno, ma il provvedimento ha trovato appunto l’opposizione di Vējonis. L’inizio della nuova legislatura potrebbe dunque essere decisivo per la questione.
Immagine: Jānis Bordāns, leader del Nuovo Partito Conservatore.