Favorito secondo tutti i sondaggi per le elezioni presidenziali in Brasile, Luiz Inácio Lula è stato costretto a rinunciare alla candidatura a causa dell’accanimento giudiziario nei suoi confronti.
Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente operaio che ha guidato il Brasile dal 2003 al 2011 non potrà concorrere alle prossime elezioni per il rinnovo della carica di capo di Stato nel Paese sudamericano. Tutti i sondaggi registrati dal 2016 lo davano per favorito e vincitore rispetto a qualsiasi altro candidato, ma Lula, alla fine ha dovuto alzare bandiera bianca, perseguitato da quella stessa giustizia che ha fornito l’assist alla destra per la destituzione di Dilma Rousseff nell’agosto del 2016, in concomitanza – tanto per dare la maggior eco mediatica possibile – con i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro.
Secondo la legge brasiliana, lo status di detenuto al quale è attualmente sottoposto Lula, non permette ad un cittadino di candidarsi alle elezioni, dunque il leader carismatico e fondatore del Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores, PT) non potrà prendere parte alla competizione elettorale. Come abbiamo avuto modo di sottolineare in passato, in Brasile ha avuto luogo un doppio golpe giudiziario, sia con la destituzione di Dilma Rousseff, accusata di corruzione ma sostituita con il pluri-indagato e già condannato uomo dell’élite borghese Michel Temer, che con l’arresto di Lula, privando di fatto il popolo brasiliano della possibilità di votare per l’uomo politico più amato nella storia recente del Paese. Sull’argomento si è espresso anche il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il cui appello, però, è rimasto inascoltato: secondo il Comitato, Lula, che non ha ancora subito una condanna definitiva, dovrebbe godere pienamente dei suoi diritti politici.
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Alla fine, dunque, il Partito dei Lavoratori è dovuto correre ai ripari, candidando alle presidenziali del prossimo 7 ottobre Fernando Haddad, cinquantottenne già sindaco di San Paolo (2013-2017) e ministro dell’Educazione (2005-2012), che guiderà dunque la coalizione di sinistra tra il PT ed il Partito Comunista del Brasile (Partido Comunista do Brasil, PCdoB), quello della candidata vicepresidente Manuela d’Ávila. Incassata la sconfitta giudiziaria, Lula ha passato ufficialmente il testimone ad Haddad, invitando i suoi sostenitori a votare per il candidato del PT e contro “il governo delle élite”. Le parole dell’ex presidente hanno permesso ad Haddad di guadagnare punti importanti nei sondaggi, passando in pochi giorni dal 5% al 10%, ancora distante però dal 35-36% attribuito in precedenza allo stesso Lula.
Haddad avrà tempo fino al 7 ottobre per convincere i brasiliani di essere il nuovo erede politico di Lula, ma al momento il grande favorito delle presidenziali sarebbe il sessantatreenne paulista Jair Bolsonaro, un ex militare candidato per il Partito Social-Liberale (Partido Social Liberal, PSL), forza che si caratterizza per un forte liberalismo economico, in coalizione con i nazionalisti di estrema destra del Partito Rinnovatore Laburista Brasiliano (Partido Renovador Trabalhista Brasileiro, PRTB). Al momento, i sondaggi danno Bolsonaro al 23%, vincente in un possibile ballottaggio con Marina Silva, già Ministro dell’Ambiente sotto Lula (2003-2008), candidata ambientalista della Rete della Sostenibilità (Rede Sustentabilidade) in coalizione con il Partito Verde (Partido Verde, PV).
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La situazione, a meno di un mese dalle votazioni, resta comunque molto fluida, e non mancano altri candidati che potrebbero ambire al ballottaggio, visto che appare scontato che nessuno riuscirà a superare la soglia del 50% al primo turno. Un altro ex ministro di Lula, Ciro Gomes, sarà della partita per il Partito Democratico Laburista (Partido Democrático Trabalhista, PDT), così come l’ex governatore dello Stato di San Paolo, Geraldo Alckmin, in corsa per il Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (Partido da Social Democracia Brasileira, PSDB).
Al contrario, chi non dovrebbe essere un fattore nelle elezioni presidenziali è Henrique Meirelles, candidato del Movimento Democratico Brasiliano (Movimento Democrático Brasileiro, MDB), la forza politica della quale fa parte il presidente uscente Michel Temer. Per due anni ministro delle Finanze di Temer, Meirelles dovrebbe fare fatica a superare il 2-3%, pagando naturalmente i disastrosi due anni del governo liberista autoproclamatosi dopo il golpe contro Dilma Rousseff.
Ricordiamo che il 7 ottobre, oltre alle elezioni presidenziali, si terranno anche quelle legislative per il Congresso Nazionale (Congresso Nacional do Brasil), il parlamento bicamerale composto dal Senato Federale e dalla Camera dei Deputati, e quelle amministrative per il rinnovamento dei governatori e delle Assemblee Legislative degli stati federati.