Venerdì 19 maggio si terranno le elezioni presidenziali nella Repubblica Islamica dell’Iran. A concorrere per la seconda carica più importante del Paese (il capo di stato è, infatti, l’ayatollah Ali Khamenei) saranno quattro candidati, compreso il presidente uscente Hassan Rouhani, che a breve vedrà esaurirsi il suo primo mandato di quattro anni sui due ammessi dalla costituzione del Paese. In contemporanea con le presidenziali, avrà luogo anche una tornata di elezioni locali.
HASSAN ROUHANI VERSO LA RICONFERMA
Eletto nel 2013 come successore di Mahmoud Ahmadinejad, Hassan Rouhani sembra essere il grande favorito anche per queste elezioni. Il sessantottenne è infatti accreditato da tutti i sondaggi di percentuali che oscillano tra il 50% ed il 60%, e dunque non sembrano esserci grandi dubbi sulla sua riconferma. Rouhani è l’esponente di spicco del Partito della Moderazione e dello Sviluppo (Hezb-e E’tedāl va Towse’eh), forza che si autoproclama centrista, moderata ed esponente della cosiddetta democrazia islamica. Nel complesso, però, sono quasi una ventina i partiti politici che hanno appoggiato esplicitamente Rouhani, compreso il Fronte Unito Curdo.
In questo quadriennato in cui ha ricoperto la carica presidenziale, Rouhani ha raccolto consensi che sono tra i più alti mai registrati per un leader politico iraniano. Il suo governo si è impegnato nella promozione di uno sviluppo a lungo termine rispettoso dell’ambiente, nonché alla promozione di uno stato sociale. Le misure prese hanno permesso un controllo dell’inflazione, una riduzione della disoccupazione ed un aumento del potere d’acquisto della popolazione. Nell’ultimo anno, ad esempio, il PIL dell’Iran è cresciuto del 7.4%, anche se gli analisti più fini non mancano di sottolineare come tutti i settori non collegati al petrolio facciano registrare in realtà tassi inferiori al punto percentuale.
Per quanto riguarda la politica estera, invece, il presidente uscente ha tentato un riavvicinamento con gli Stati Uniti durante la presidenza di Barack Obama, ma i primi mesi della presidenza di Donald Trump hanno nuovamente alzato una barriera tra Washington e Tehrān. Rouhani ha visitato sia gli Stati Uniti, recandosi a New York che la Gran Bretagna, incontrando David Cameron a Londra, fatto mai accaduto per un presidente iraniano. Al contempo, l’Iran si è imposto come uno dei maggiori sostenitori di Bashar al-Assad nel conflitto siriano, ed ha dimostrato una certa fermezza nel confermare il sostegno alla causa palestinese contro “il governo occupante ed usurpatore” di Israele.
GLI ALTRI CANDIDATI
Saranno tre i candidati che proveranno ad imporsi contro il favorito Rouhani. Il principale avversario del presidente uscente sembra essere il cinquantaseienne Ebrahim Raisi, rappresentante dell’Associazione dei Chierici Militanti (Jame’e-ye Rowḥāniyat-e Mobārez), forza da molti considerata come appartenente al variegato universo del fondamentalismo islamico, ma con connotati decisamente differenti da ciò che si intende generalmente con questa espressione, fondata dall’ayatollah Khamenei e dalla quale proviene lo stesso Rouhani, che ha però successivamente optato per posizioni più moderate.
In competizione ci saranno anche Mostafa Hashemitaba, candidato del Partito dei Quadri della Costruzione (Hezb-e Kārgozārān-e Sāzandegi) e seguace dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, in carica dal 1989 al 1997 e recentemente deceduto, e Mostafa Mir-Salim, rappresentante del Partito della Coalizione Islamica (Ḥezb-e moʾtalefa-ye eslāmi), forza conservatrice ma fortemente liberista in economia. Pur mantenendo la propria candidatura, Hashemitaba ha in realtà fatto capire al proprio elettorato di voler sostenere Rouhani.
Alla competizione elettorale erano stati ammessi anche altri due candidati, che hanno però rinunciato a concorrere. Mohammad Bagher Ghalibaf, già sconfitto alle elezioni presidenziali del 2013 ed attuale sindaco della capitale Tehrān, ha deciso di appoggiare Raisi nel tentativo di compattare le opposizioni ed aumentare le possibilità di battere Rouhani, mentre il vicepresidente Eshaq Jahangiri ha voluto appoggiare proprio il presidente uscente, probabilmente con la speranza di essere riconfermato al suo posto.
L’APPELLO DELL’AYATOLLAH KHAMENEI
A quarantotto ore dalle votazioni, ed in chiusura della campagna elettorale, che si concluderà ufficialmente quest’oggi alle ore 15:00 locali, la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha lanciato un appello al popolo, invitandolo a recarsi alle urne: “Il popolo ha dei nemici”, ha detto il capo di stato. “Contro di loro, il popolo deve mostrare un volto determinato e calmo. I responsabili europei, statunitensi e quelli del regime sionista sorvegliano le nostre elezioni per sapere quale sarà il livello di partecipazione. Se la partecipazione sarà importante, il loro giudizio sarà diverso”. Khamenei ha voluto sottolineare come, anche in momento di grande tensione nella regione mediorientale, l’Iran sia uno dei pochi Paesi in grado di organizzare regolarmente le elezioni, oltretutto senza incidenti.
A fargli eco è stato proprio il presidente uscente Rouhani, che ha ricordato la prossima visita del presidente statunitense Donald Trump in Arabia Saudita, affermando la necessità di dare un segnale importante all’inquilino della Casa Bianca con una massiccia partecipazione popolare al processo elettorale. Il suo rivale Raissi, ha invece accusato lo stesso Rouhani di aver fatto troppe concessioni nelle negoziazioni riguardanti l’accordo sul nucleare del 2015: “Abbiamo bisogno di una diplomazia forte se vogliamo ottenere un cambiamento di atteggiamento da parte degli Stati Uniti e la normalizzaizone delle relazioni bancarie tra Tehrān ed il resto del mondo”. Questa frase, riassume tutto il dibattito tra i due candidati principali: da un lato, Rouhani è considerato come il candidato della moderazione, del compromesso e del pragmatismo, che ha saputo riabilitare l’Iran agli occhi della comunità internazionale proprio grazie all’accorso sul nucleare; dall’altro, Raisi è un candidato più estremista e vuole riportare il Paese su una posizione di maggior opposizione al mondo occidentale, incarnando nel migliore dei modi le posizioni dell’ayatollah Khamenei e ricordato sotto certi punti di vista quella che era stata la politica estera di Ahmadinejad.