Russia 24 Febbraio 2024 – Memorie e pensieri di guerra di un italiano a Mosca.
Sono affacciato alla finestra del mio ampio appartamento al diciottesimo di un palazzo di 24 piani, davanti ho uno spettacolare panorama con a sinistra la gigantesca torre televisiva di Ostankino , costruita durante l’unione sovietica, la più alta struttura in cemento autoportante d’Europa e a destra la vasta distesa della grande foresta urbana dell’Ostankino Park, attraversata da una dorsale di laghetti oblunghi navigabili con barche a remi, canoe e pedalò che si possono affittare, e costellati da ristoranti stabilimenti e bar, e che si trasforma, nella sua fine, prima del fronte dei grattacieli che si vedono in miniatura in lontananza, in parco botanico. Una sorta di Central Park moscovita, manutenuto da un esercito di giardinieri che la tengono come un gioiello, pieno di strutture sportive fra cui una gigantesca costruzione in acciaio e corde, alta 30 metri su cui bambini e ragazzi, sfidando le vertigini su una specie di ragnatela di funi, camminano o si arrampicano sul vuoto tenuti in sicurezza da imbracature legate con moschettoni alle corde, altrove ci sono radure attrezzate con un centinaio di barbecue urbani con relativi tavoli annessi, dove la domenica le famiglie vanno a farsi dei pic nic favolosi. Nel folto della vegetazione, battuta da sentieri serpentiformi pavimentati di legno, a tratti selvatica, e a tratti curata come un giardino reale, e dove non incapperete assolutamente mai in situazioni di degrado e pericolo come nei parchi romani, sorgono ampi bagni pubblici, sempre pulitissimi, attrezzati anche con sala cambio per i bambini, che a Mosca sono tantissimi grazie alle politiche di enorme sostegno all’infanzia del governo, di cui posso testimoniare direttamente, avendo appena avuto una bambina; 7000 euro di assegno di maternità, più vari altri regali in denaro dal comune, e da altre istituzioni, sostegni che non solo non sono diminuiti ma sono aumentati quest’anno, più visita pediatrica quotidiana gratuita a domicilio per un mese dopo la nascita. Ogni ristorante o bar o ufficio pubblico qui in Russia, generalmente, ha sempre un angolo per i bambini, con tavolini sedie e giochi.
Sono uno dei tanti europei, credo qualche decina di migliaia di membri, con una famiglia Euro-russa, con figli euro russi. Mia moglie, Natalia Pavlova, è una cantante di Opera Lirica, trisnipote da parte di padre del Poeta Alexander Puskin.
Ricordo molto bene l’angoscia dei primi giorni di guerra, oggi due anni precisi, quando decidemmo di venire a Mosca per non lasciare sola la nonna di mia moglie. Tutto era oscuro e incerto. Erano i giorni in cui l’Europa faceva, doveva fare, le sue scelte tragiche di schierarsi militarmente per alimentare il conflitto invece che cercare di neutralizzarlo diplomaticamente. I cieli d’Europa andavano chiudendosi uno dopo l’altro. Noi dovevamo partire e non sapevamo cosa sarebbe successo. La mia PostePay e tutte le altre carte di credito divennero inutilizzabili in una Russia scollegata dal sistema swift, e con essa io europeo, membro di una famiglia euro russa, restai nella indisponibilità della mia proprietà privata, del mio denaro.
I nostri viaggi divennero simili ai viaggi dei tempi della guerra Fredda. I primi di questi viaggi li facemmo tramite Estonia, che raggiungevamo in aereo. Passavamo una notte in albergo e poi ripartivamo in autobus per San Pietroburgo, 6 ore di viaggio, poi passati uno o due giorni da amici di San Pietroburgo arrivavamo di notte a Mosca con il treno veloce.
A Narva c’era la frontiera sul fiume Narva, alle due estremità del ponte ci sono due castelli che si fronteggiano, ove su uno svetta il tricolore russo e sull’altro quello bianco nero e blu a bande orizzontali estone, uno è la fortezza di Ivangorod del 1492, l’altro il castello di Hermann costruito dai danesi alla fine del 1200 e poi comprato dai cavalieri Teutonici nel 1345. Mentre il bus transitava sul ponte per attraversava la frontiera, vedevo pescatori russi immersi con stivaloni fino al ventre a pesca nel fiume gelido e lunghe alghe color verde vescica danzanti sott’acqua, nella corrente vigorosa che va verso il baltico.
Nel Bus, in quei primi giorni di guerra, regnava un silenzio ovattato, sospeso, pieno di pensieri come in quella iconica scena della metro nel film il cielo sopra Berlino. Anche a me pareva sentire le voci di quei pensieri che pensavano alle cose più umanamente semplici e profonde.
Io e mia moglie, che avevamo urgenza di andare a sostenere la nonna che stava sola a Mosca in quei giorni, fummo fra i primi a testare le nuove vie di comunicazione a cieli chiusi, molti amici, altre famiglie come noi euro russe, ci chiamavano per chiederci come era la situazione. Io segretamente pensavo che se doveva avvenire la catastrofe, beh allora avrei preferito trovarmi a Mosca invece che a Roma.
A Tallin tutti parlavano tranquillamente il russo con mia moglie, nei ristoranti e nei bar si sentiva parlare russo, tranquillamente, il personale dell’albergo era sempre gentilissimo, impeccabile, cosa che avevo temuto non sarebbe accaduta quando avessero visto il passaporto russo di mia moglie, invece solo negli sguardi non di tutti ma di qualcuno, c’erano, a volte, fugaci sguardi misteriosi, in cui si intravvedeva solo lontanamente come tutto sarebbe potuto crollare umanamente. Fu una delle prime impressioni che mi diede la sensazione del gap fra realtà reale e percezione collettiva della realtà, mi dissi che gli individui erano molto migliori dei propri stati, in quei giorni i governi dei paesi baltici alimentavano la tensione in maniera sconsiderata.
Al posto di frontiera estone, con una faccia neutra ma negativa, già più rappresentativa della balordaggine guerrafondaia del proprio governo, entrava un ufficiale di frontiera, di solito una giovane donna, pistola sul fianco assicurata dal filo a spirale d’acciaio ricoperto di plastica e fissato alla cinta, pesante giacca a vento, pettorina fluorescente gialla, enorme distintivo sulla spalla con lo stemma di Narva, in perfetto russo, spezzando il raggio del sole che attraversava il bus, passeggero dopo passeggero chiedeva i passaporti che apriva velocemente per un primo confronto visivo con la foto, per poi portarli in un ampio gabbiotto che noi passeggeri vedevamo dai finestrini in cui, attraverso i tripli cristalli, vedevamo un altro funzionario, sempre una donna, che, china davanti a un computer, li poneva davanti a se per cominciarli a verificare, uno per uno, e attraverso i vetri del bus e di questo gabbiotto vedevamo un altro gabbiotto che faceva lo stesso lavoro con un Bus in uscita dalla Russia. Il tutto durava circa un’ora per ogni Bus. Un’ora fermi nel bus sul ponte sul fiume Narva, fra le due fortezze che sembravano due cavalieri medioevali pesantemente bardati in attesa di lanciarsi uno contro l’altro per il duello all’ultimo sangue.
Quando la guardia di frontiera estone arrivava a me gli sollevavo il mio bel passaporto Italiano, proprio davanti al nasino, la guardia per un istante perdeva il suo aplomb severo, per un veloce sguardo confuso, poi andava oltre.
A bordo nessun passeggero parlava o se parlava lo faceva a bassissima voce come in chiesa. Ansia trattenuta, ansia con la museruola. Nel bus c’era sempre una macchinetta di bevande calde gratuita a cui ogni oretta circa andavo a consolarmi con un cioccolato caldo dolce. Noi passeggeri, quelli che non stavano su internet dai propri cellulari tramite l’ottimo wireless del bus, osservavamo il lavoro del doganiere che controllava i passaporti. Infine una agente riportava i passaporti li distribuiva ai passeggeri e l’autobus si muoveva lentamente oltrepassando il fiume per fermarsi dopo poche decine di metri al posto di frontiera russo. Li si doveva scendere, scaricare i bagagli ed entrare in un edificio di costruzione sovietica. Un salto indietro nel tempo, con ufficiali di frontiera russi nelle loro divise verdi petrolio, con le donne in tacchi alti e tailleur attillati intorno ai culi, con grossi cappelli fondamentalmente invariati dai tempi sovietici. Li bisognava prima passare il controllo passaporti, passato quello, infilare i bagagli nei raggi X. Era Marzo 2022 la prima volta che la attraversammo quella frontiera , fuori faceva ancora un freddo polare. Il passaggio dal presente dissolto in pochi giorni di viaggi in moderni aeroporti a quella frontiera terrestre attraversata in un principio di neo guerra fredda fu notevole dal punto di vista emotivo e ontologico. Nella stessa fila ora si ritrovavano russi che si erano sociologicamente separati da anni, russi molto ricchi che i viaggiatori molto popolari non avrebbero mai incontrato altrimenti perché avrebbero viaggiato in prima classe sugli aerei, ebbene ora erano li, così conobbi degli importanti primari di oftalmologia che vivevano ed esercitavano negli USA, ora in fila a quella frontiera neo-sovietica, pazientemente in fila al freddo di marzo che sferzava il volto, con la valigia al fianco, e gli orologi d’oro al polso. Un afro russo stava davanti a noi nerissimo, alto, solenne e nervoso, ricordo che redarguì abbastanza duramente la lentezza dei funzionari di frontiera in perfetto russo.
Una volta mentre uscivamo dalla Russia, fecero scendere una donna di circa 70 anni che stava andando da sua figlia in Svezia. La vedemmo in lacrime davanti a una incrollabile donna estone in divisa che le imponeva di restare. Gli autisti scesero e tentarono di mediare, ma non ci fu nulla da fare, l’Estonia guerrafondaia e isterica, russofobica, aveva stretto le regole di attraversamento unilateralemente il giorno prima, poiché non in possesso di un visto Schengen, ma di un semplice visto turistico, non poteva più entrare in Europa da sola, sua figlia sarebbe dovuta venire dalla Svezia a prenderla alla frontiera, la donna non aveva nemmeno modo di chiamare la figlia. Sembrava un film del nazismo, tipo Schindler list. L’autobus dopo ore di negoziati degli autisti, un alto con grosse mani e uno più basso vagamente somigliante a Gorbacev, ripartì senza la povera donna, la vidi scomparire nella notte ancora davanti agli agenti di frontiera estoni nel gabbiotto coi cristalli blindati, provando una immensa sensazione di schifo, quasi di odio feroce per quegli agenti di frontiera al cui arbitrio erano state date tali possibilità.
Passata anche la seconda frontiera russa, i viaggiiatori sopravvissuti alle due frontiere finalmente si scioglievano un po’, si sentiva un volume più allegro e alto nelle conversazioni, ci si presentava con il vicino di avventura, si sentivano le varie telefonate ai parenti. Dopo altre ore di campagne, innevate o meno a seconda della stagione, intarsiate da fronti di betulle, si arrivava finalmente a San Pietroburgo, piena di vita, di eleganza, di intelligenza e singolarità, nella sua meravigliosa architettura in gran parte italiana, li in taxi andavamo dalla nostra amica che ci ospitava in una casa vuota sopra casa sua, di russi immigrati negli USA di cui aveva le chiavi, dentro c’era tutto integro un arredamento sovietico originale, su una mensola varie tessere di una coppia di mezza età, con le loro foto bianco e nero sbiadite, piene di timbri della terribile burocrazia sovietica, una scatoletta affianco piena di medaglie di guerra e del lavoro. Era come stare in un racconto scritto in inglese nel periodo dell’esilio americano da Josip Brodskij, come quello intitolato “Masha non è più” pubblicato in Italia da Adelphi. Sul parquet scricchiolante in un silenzio ovattato e metafisico, restato come imprigionato nell’ambra dai tempi sovietici, alla cui fine i proprietari erano andati via, bellissimi tappeti su cui cadevano le luci soffuse dal cielo biancastro. Fuori dalle finestre dai doppi vetri prondamente incassate nei muri spessi, si affacciavano danzanti le fronde di maestosi ippocastani mosse dal vento e che sembravano bussare per entrare. A pochi isolati da noi, c’erano le case sia di Brodsky che di Anna Acmatova, quel clima di guerra fredda ne ravvivava enormemente il senso vitale.
Ormai ci ho fatto l’abitudine, mi sembra tutto normale. Noi esseri umani siamo altamente adattabili, specie alle guerre, ma l’impatto con queste frontiere della guerra fredda che si sono come risvegliate da un lungo letargo di trent’anni è stato estremamente intenso.
Dopo diversi viaggi tramite la rotta di Tallin, abbiamo cominciato a usare la tratta via aereo Roma Yerevan Mosca, tutto in un giorno, dieci ore di viaggio abbastanza sfiancante, si arriva a Mosca di notte, se d’inverno nel gelo. Oggi leggo che l’Armenia è in fibrillazione. Temo che questa rotta potrebbe cessare di essere utilizzabile.
I primi tempi del conflitto a Mosca guardavo il cielo, per avvistare droni ucraini, i primi tempi, ero sinceramente teso, io e mia moglie abbiamo fatto un po’ da apri pista per tutti quelli che conosciamo, abbiamo testato le rotte, le situazioni. Ero a Mosca anche quando Prighozin stava marciando su Mosca. Centinaia di chiamate dall’Italia di amici che guardavano la TV che mi dicevano che Mosca era circondata dai carri armati, io mandavo dirette su Fb di una domenica moscovita piena di famiglie a spasso per il centro con il gelato. Una Mosca assolutamente serena e tranquilla, senza la minima scena di panico. Qualche parente russo dall’estero ci ha chiamato dicendo di fare scorte di cibo gli ho risposto che era il modo migliore per accendere la scintilla del panico e che non avrei mai fatto una cazzata del genere, fortunatamente tutti gli altri moscoviti hanno risposto esattamente la stessa cosa a telefonate simili che hanno ricevuto dai parenti all’estero.
La tenuta psicologica e morale della Russia in questi due anni, a parte i primi due mesi, forse, di una qualche angoscia che del resto non è stata tenuta nascosta nemmeno da Putin data l’enorme quantità di profondi sospiri che avevano rotto il suo discorso con cui aveva avviato l’operazione speciale militare, è andata via via rapidamente stabilizzandosi. Già l’estate scorsa l’umore della capitale era perfettamente normalizzato. Io facevo dirette seguite da migliaia di persone sulla mia pagina per far vedere i supermercati russi, ricolmi di tutto. Alcuni mi scrivevano nei commenti che erano solo le scorte che sarebbero finite a breve. A oggi qui non è mai mancato nulla. La vita civile scorre imperturbabile.
I russi hanno imparato a fare un parmigiano formidabile nei caseifici intorno a Mosca, me lo ha fatto scoprire un amico violinista che ce lo ha portato un giorno a casa, si spezza esattamente in scaglie in cui dentro c’è esattamente quella grana a volte biancastra di sale, lo fanno con diverse stagionature fino a 36 mesi. Ne sono diventato ghiotto. Anche il Parmigiano falso che ci mandano gli argentini, sebbene di molto inferiore come qualità a quello russo non è affatto male. Hanno anche un’ottima mozzarella. Si trovano ottimi olii pregiati italiani ma sono di nicchia, l’olio extra vergine spagnolo italiano e turco si trova tranquillamente anche a 7 euro al litro, ovviamente non è biologico. I vini italiani ci sono tutti. Un Chianti DOCG si trova anche a 6 euro.
ALCUNE RIFLESSIONI FINALI PERSONALI E DEL TUTTO MARGINALI
In un mio libro uscito il maggio 2022 e intitolato Ucraina 2022 la Minaccia strategica perfetta, ho raccontato come la catastrofe ucraina, a mio modo di vedere, sia stata completamente pilotata dalla ingerenza del Pentagono a partire dal 2014. A fine marzo uscirà un mio nuovo libro per Arianna Editrice, in cui risalgo questa ingerenza fino al 1993, dunque non dirò nulla di ciò che ho scritto nel primo libro e nel secondo di prossima uscita.
Diro invece che:
La Russia è una superpotenza nucleare mondiale, anzi è la prima superpotenza nucleare mondiale. È un paese smisuratamente ricco di energia e materie, altamente tecnologico, ha un popolo consapevole come nessun altro popolo della terra della sua forza di volontà, tale consapevolezza è data dalla vittoria della seconda guerra mondiale a un prezzo inimmaginabile per altri popoli, tranne forse che per quello cinese. Non potrà mai essere sconfitta strategicamente, se non perendo insieme ai suoi propri nemici in un olocausto nucleare.
La Russia sta combattendo una guerra esistenziale, non tanto per il territorio ma soprattutto per la tenuta della propria coesione federativa, che è ciò che l’espansione della NATO ha messo sotto minaccia da decenni, minando continuamente con tale espansione prima di tutto la centralità e stabilità del potere statuale russo.
L’occidente civile in questa guerra che si è manifestata platealmente ormai da due anni ma che in realtà è iniziata nel 1992 a partire dalle ingerenze del Pentagono nella vita dello Stato ucraino, è coinvolto in una situazione di cui non ha ancora capito assolutamente nulla. I politici Europei che conducono la politica estera europea lo fanno alla cieca, solo per mantenere se stessi a galla nel potere sempre più liquido e instabile della politica civile.
Questi politici sanno intuitivamente che se vogliono restare al potere devono seguire i diktat dell’unica istituzione occidentale che si è solidificata nella liquefazione generale delle istituzioni civili, ovvero quella del potere militare.
L’occidente, come ho teorizzato nel mio libro sul potere militare Lineamenti Generali del Trattato sulla Classe Armata, è ormai del tutto simile al Pakistan, ovvero è una stratocrazia, che significa governo dei generali, nemmeno tanto occulta, ove i militari, come in Pakistan, hanno solidificato il controllo assoluto del potere decisionale di politica estera.
I politici civili per arrivare al potere possono usare indistintamente qualsiasi tipo di slogan e di agenda, ma una volta entrati, non nella stanza dei bottoni, che i civili ormai non ci possono più entrare, ma in quella delle ratifiche dell’agenda del potere militare, essi devono pedissequamente mettersi agli ordini del Pentagono.
Giorgia Meloni che è andata avanti a slogan contro le sanzioni alla Russia dal 2014 e oggi paladina della guerra alla Russia ad Oltranza ne è un clamoroso e grottesco esempio. Sa perfettamente che solo prostrandosi con uno zelo spettacolare ai piedi del Pentagono potrà essere protetta nel cabaret della politica civile. Il suo partito fondato con un uomo storico del complesso militare come Crosetto in questo senso è un vero e proprio partito di scopo, che sembra salito al potere con un tempismo perfetto per questo scenario di definitiva militarizzazione europea.
Il vero partito di governo del paese è in realtà un partito trasversale ai partiti, esso è composto da tutti gli ausiliari civili più coinvolti con la direzione politica del Pentagono, Crosetto e Minniti di opposti schieramenti , entrambi coinvolti con l’apparato militare, Minniti con la fondazione Med-Or di Leonardo, Crosetto con l’associazione difesa aerospazio, ne rappresentano i tipi emblematici.
La Russia a mio modo di vedere sta usando fino ad oggi la riserva della riserva delle sue capacità belliche. Perché? Beh perché riserva il suo vero potenziale semmai ci fosse una vera guerra con la NATO, è semplice, in quel caso vedremmo realmente il suo potenziale distruttivo.
La Russia, solo per fare una osservazione superficiale, ha riserve strategiche di carri armati di classe sovietica valutate fino a 30.000 pezzi. Cosi come ha circa 5000 aerei da combattimento. Certamente non li brucia in Ucraina rischiando di restare vulnerabile a una guerra mondiale. Ecco perché è cosi parca di mezzi in Ucraina e fa affidamento soprattutto sulla pressione costante di poco più di un mezzo milione di uomini che avanzano lentamente come uno schiacciasassi con una pressione costante che farà crollare un giorno il fronte per fatica strutturale, mentre in Europa cedono ovunque le volte delle strutture politiche consolidate nel dopo guerra del benessere.
La sostituzione della sorgente del potere decisionale primario in occidente, con il potere militare al posto di quello civile, specialmente nella politica estera, ha cambiato il paradigma selettivo delle classi politiche civili, i civili avendo perso potere decisionale, non essendo più chiamati a prendere decisioni che vengono ormai prese da decenni entro gli ambiti del potere militare. Dunque il processo selettivo delle classi politiche civili ha iniziato a selezionare gli stupidi al posto dei capaci, la capacità intellettuale nei politici, che non hanno più potere, è divenuta una appendice, in tali classi dirigenti civili, non solo inutile, ma contro producente ai fini della loro sopravvivenza nella politica gregaria del potere militare, e dunque nell’arco di una generazione si è completamente atrofizzata, esattamente come farebbero i muscoli in un paraplegico.
È la famosa idiocrazia della commedia catastrofica Idiocracy, che fu celebre qualche anno fa. Le qualità necessarie nella politica sono divenute quelle della capacità prostituzionale, dello zelo servile, della prontezza al fanatismo e all’estremismo bellico, la capacità di menzogna, e stop. Ciò è particolarmente vero nelle classi politiche di piccoli e impotenti Stati, vedi i baltici, che trovano nel servizio servile al potere militare del Pentagono la maggior garanzia di funzione nel consesso internazionale.
I politici attuali e le élite, anche in senso popolare, dal cui seno essi provengono, sono tutti regrediti o evoluti, a seconda che li si guardi dalla prospettiva dei bisogni nazionali o privati, in questo senso. Sono geneticamente mutati e non sanno fare altro che lottare per servire uno meglio dell’altro il potere militare, la massima espressione di ciò che dico la vedete nelle figure civili dei segretari della NATO. A tali classi politiche completamente inutili perché private del potere decisionale dal potere militare, il potere militare ha lasciato libero il campo nella persecuzione politica sessuale controintuitiva o se possibile il ruolo di secondini negli stati di sicurezza sanitaria. Ecco perché le questioni di sessualità sociale sono apparentemente divenute cruciali nella politica civile, è la riserva indiana che il potere militare gli ha disegnato dove fare esercizio politico.
Nel viaggio verso lo zero entropico fra Russia e Occidente, chi cede energia è l’occidente.
L’occidente è attualmente guidato da un processo automatico invece che da un processo politico. È il processo di espansione automatica del potere militare occidentale, guidato da bisogni di apparato e di classe intrinseci, e non da agende politiche specifiche, come ho vanamente tentato di spiegare a una sfera pubblica purtroppo in cancrena con il mio libro sulla Classe Armata, il quale militarizza continuamente lo spazio geopolitico come suo modo di riproduzione del potere. Per questo motivo, guidati da una sorta di metabolismo cieco che insegue solo l’odore del suo cibo, ma è il metabolismo di un parassita che ha preso il controllo decisionale dell’ospite di cui si nutre (spese militari), e cosi condotti da questo cieco impulso, stiamo andando a sfracellarci contro una catastrofe.
E io, a quanto pare, guarderò l’Europa morire di agonia dalla Russia.
Il destino, cosi sembra, pare avermi riservato questo terribile privilegio.
Spero tuttavia di sbagliarmi. Spero che la specie animale europea ripristini il paradigma dei processi selettivi della propria classe dirigente, mandando urgentemente al potere degli individui capaci di salvarla.
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