Vera Pavlova in copertina
NOTE PRELIMINARI SULLA STORIA DELL’OTTAVA
- Nella liturgia cattolica, periodo di una settimana che segue a una solennità, di cui costituisce un prolungamento: l’ottava di Pasqua.
- Nella metrica, è una strofa di otto versi endecasillabi, di cui i primi sei, sono a rima alternata e i due ultimi, a rima baciata: tipica della poesia narrativa.
La usarono i cantari trecentisti e lo stesso Boccaccio, in “Notte fiesolana e Filostrato”.
Fu poi perfezionata da Pulci, Boiardo, Tasso, Ariosto, con lo schema dell’ottava toscana: ABABABCC, in sostituzione della terzina dantesca.
Ebbe fortuna anche all’estero, soprattutto in Gran Bretagna, con poeti quali Edmund Spenser, che inventò la “Stanza spenseriana”, consistente in otto pentametri giambici, (decasillabi) e un alessandrino.
Fu adottata anche da John Milton, da Wordsworth, da Byron, “Don Juan e Beppo”, da Shelley, “Ode to the West wind”, da John Keats, “The eve of Saint Agnes”, da Tennyson, da Yeats e altri.
In Spagna si chiamava Octava Real e fu usata da Garsilaso De La Vega e da Juan Boscan.
- In musica rappresenta l’intervallo di otto note posizionate a frequenza diversa nella scala musicale. Nella scala diatonica, le frequenze sono altre sei note. L’ intervallo, contando le estremità, è composto da otto note, da cui il nome ottava.
TOCCO IN SETTE OTTAVE, SETTE POESIE DAL LIBRO “IF THERE IS SOMETHING TO DESIRE“
Traduzione dal russo all’inglese, di Steven Seymour, traduzione dall’inglese all’italiano, di Biagio Propato
A light touch with a slant
like a first- grand’s hadwriting, with a tilt:
you brush away a hair from my cheek
with a motion vaguely tender, stretching
my face slightly upward and to the left,
turning me like a doe-eyed geisha.
With a slant, yet in a straight line:
the shortest and the quickest path.
I
Un tocco leggero con un’inclinazione
come la grafia di un principiante, con una curvatura:
mi spazzoli via un capello dalla guancia,
simulando un movimento vagamente tenero, allungando
leggermente il mio viso verso l’alto e sulla sinistra,
trasformandomi in una geisha dagli occhi di cerbiatta:
usando ancora una variante, ma in linea retta:
il percorso più breve e più veloce.
II
The trick is in the suffixes, diminutive and endearing:
to diminish first, then to caress,
and by caressing to reduce to naught,
and then to search in panic, where can you be?
Have I dropped you into the gap
between the body and the soul?
And all the while you are right here,
in my arms. So heavy, so enormous!
II
Il trucco è nei suffissi, minuscoli e accattivanti:
per diminuire prima, poi per carezzare
e carezzando ridurre a nulla,
e quindi per cercare in preda al panico, dove puoi essere?
Ti ho lasciato cadere nel vuoto
tra il corpo e l’anima?
E per tutto il tempo, mentre sei proprio qui,
nelle mie braccia. Così pesante, così enorme!
III
First, cursory caresses, on the surface,
light a kind of coloratura: crumbs of
pizzicato in spots which seemingly require
a brusque, tempestuous treatment,
then with a bow across the secret strings,
the ones that were not touched at the beginning,
then across the non- existent strings or, more exactly,
the ones we have never suspected of existing.
III
Prima, carezze a fior di pelle, in superficie,
leggere, una sorta di coloratura: briciole di
pizzicato in punti che apparentemente richiedono
un brusco, tempestoso trattamento,
poi con un arco sulle corde segrete,
quelle che non sono state toccate all’inizio,
dunque attraverso le stringhe inesistenti o, più esattamente,
quelle che non abbiamo mai sospettato che esistessero.
IV
Are my palms rubbing your shoulders,
or are your smooth shoulders rubbing my palms,
making them drier, sharper, more perfect?
The more repetitive a caress, the more healing it is.
Water slowly grinds stone, caresses
making the body light, chiseled, compact,
the way it wants to be
the way it once had been.
IV
Stanno i miei palmi sfregando le tue spalle
o stanno le tue spalle lisce sfregando i miei palmi,
rendendoli più secchi, più acuti, più perfetti?
Più una carezza è ripetitiva, più è curativa.
L ‘acqua macina lentamente la pietra, le carezze
modellando il corpo leggero, cesellato, compatto,
nel modo in cui vuole essere amato
nel modo in cui una volta era stato donato.
V
Who plays blind man’s buff with those aged twenty,
Hide – and seek with those aged thirty?
Love does.ah, the silky belts,
the simple rules, the witless stakes!
Is it easy at twenty-five to say goodbye to love?
It is, not for the reasons of great shame involved,
but because there is no spot more tender, rosier,
more concealed than a scar.
V
Chi gioca a mosca cieca con quelle di vent’anni,
a nascondino con quelle di trenta?
L’ amore lo fa. Ah, le cinture di seta,
le semplici regole, senza stupidi paletti!
È facile a trentacinque anni dire addio all’amore?
Lo è, non per motivi di grande vergogna inclusa,
ma perché non c’è posto più tenero, più roseo,
più nascosto di una cicatrice.
VI
Within a hand’s reach for the foreskin
is fleshlessness, dense, resonant, boundless.
touching, because of its nature, takes part
in the mystery of disembodiment.
I am rid of the body, but the shiver stays,
and so do the pain, the joy.
The shiver, the pain, the joy have no fear
that the skin might never reappear..
VI
A portata di mano per il prepuzio
è l’assenza di carne, densa, risonante, senza limiti.
toccante, per sua natura, prende parte
del mistero della disincarnazione.
Mi sono sbarazzata del corpo, ma il brivido rimane,
e cosi fanno il dolore, la gioia.
Il brivido, il dolore, la gioia non hanno paura
che la pelle potrebbe non riapparire mai dura.
VII
How tender the sensation of ants racing,
how many shivers in a slow progression.
Some take no less than full five minutes
to get from one vertebra to the next.
For years a gentle hand has been the trainer
coaxing them to run from one tiny hair
to the next, until the finishing line,
until it is madness, until…hey, are you sleeping?
VII
Quanto è tenera la sensazione delle formiche in corsa,
quanti brividi in una lenta progressione!
Alcune impiegano non meno di cinque interi minuti
per passare da una vertebra alla prossima.
Per anni una mano gentile è stata l’allenatore
che le ha fatte spostare da un sottile capello
all’altro, fino al traguardo finale,
finché non è follia, finché… Hey, stai dormendo?
TOCCO IN SETTE OTTAVE
Approccio di analisi semantico-formale su un campione tra opere e poetica di Vera Pavlova
Nella sua meticolosa e geniale azione creativa, nella sua composizione bizzarramente equilibrata e ibridamente armoniosa, la poetessa russa Vera Pavlova, tiene conto di tutte le singolari accezioni e applicazioni dell’ottava, nei vari ambiti: della religione, della poesia, della musica, rispettandone le caratteristiche, nelle loro particolarità.
Le sette ottave, anche se connesse da un leggero filo sottile, ipogeo, ma unitario, appaiono sempre libere, autonome e indipendenti da un punto di vista semantico.
Si potrebbe dire: sette arie, sette movimenti, sette diversità in un insieme.
I continui richiami strutturali al tempo musicale, poetico, spirituale, sono sempre sintonizzati in una cassa armonica diacronica che spruzza i versi con un humus percepibile soprattutto nell’economia e nell’uso certosino del lessico, sempre adottato in modo pertinente ed essenziale.
Bisogna cercare nelle profondità delle sue allusioni, appena sussurrate, per trovare argomenti personali e universali, che conducono alla cosmogonia Elohista alla genesi Yavistica dell’anthropos: tutto contemplato e scritto nell’esperienza concreta e visionaria contenuta nella vita terrena giudaica dentro e fino alla Rivelazione ultimale.
Procedendo motu proprio, mattone su mattone, nessuna abbondanza di orpelli barocchi, nessuna sovrabbondanza di pesanti ornamenti rococò, nessuna affettazione eufuista, manierista, Vera Pavlova, si addentra nel terreno paludoso dell’ignoto, lasciandosi attrarre dalle fiamme del sacro roveto, senza mai perdere i legami con la realtà contingente della materia, per svelare, e poi ri-velare, di nuovo.
La eco del mondo ebraico è sempre sottile e viva. Bisogna cercare nelle profondità delle sue allusioni, appena sussurrate, per trovare argomenti personali e universali.
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Nella prima ottava, significativamente, viene performata una scena che vede coinvolti tutti i sensi in un contatto erotico, che inizia con la semplice carezza, divenendo subito un crogiuolo, il moto iniziale e finale dell’esplorazione corporale, come momento di piacere, non solo cinetico, ma anche catastematico e infine, momento di Conoscenza.
Il sesto verso della prima ottava: “trasformandomi in una geisha dagli occhi di cerbiatta.”, sinuoso, delicato, metamorfico, rimanda a tutta la pura e naturale fisicità e all’accarezzata spiritualità di valore ossimorico dell’insuperabile “Cantico dei cantici”, nonostante il riferimento contaminante, alla “geisha”, figura particolare di donna nell’antico e nell’odierno Giappone, intrattenitrice in banchetti di aristocratici e arricchiti e grassi epuloni, con danze, musiche e canti, come i nostrani giullari di corte o una moderna Salomè.
Nella seconda ottava permane il concetto ancipite, inteso come unicità indissolubile del connubio corpo-anima e le anafore sintattico- grammaticali inizianti con la congiunzione e, dei versi tre, quattro e sette: “e carezzando/ e quindi/ e tutto/”, contribuiscono a dare all’ intera struttura un senso di ampiezza, che apre, come nella musica, in levare, a un’atmosfera mista di assopimenti e di risvegli nel niente, nel tutto, nel salto immaginifico e misterico, nello spazio e nel vuoto.
“Ti ho lasciato cadere nel vuoto tra il corpo e l’anima?”
La terza ottava si muove in un clima tutto metaforico e simbolico, anche se l’uso di figure retoriche è poco praticato, nella scrittura della poetessa russa che, con i suoi versi cerca di colpire immediatamente le capacità del lettore.
I termini : coloratura, pizzicato, arco, corde, indicano con chiarezza un ambito musicale, uno strumento a corde, che sottintende uno strumento più particolare, lo stesso corpo umano, l’abilita e il virtuosismo del musicista o il gorgheggio canoro degli esecutori di un concerto sui generis incastonato nell’ incontro tra femminile e maschile dove poesia, musica, danza e arte, come “Ars gratia artis”, trovano il luogo sano, dove ritrarsi, darsi il respiro che coinvolga ogni sorta di crescita, siderale o terrestre.
Anche qui, i parallelismi dei versi cinque e sette: “quindi con un arco”, “quindi attraverso” e i versi: “quelle che non sono state”, “quelle che non abbiamo”, contribuiscono a rafforzare e ad allargare la visione, facendo sì che il segno linguistico, per sua stessa natura, ambiguo e arbitrario, come risultanza tra significante e significato, corrobori il dettato di ogni grammatica naturale, creativa, divenendo miracolosamente diretto ed esplicito.
La continua decostruzione dell’ Io, porta la poetessa a singolari immersioni nel campo della psiche, a sprofondamenti individuali e universali nell’esperienza della materia involucrale, recipiente di qualcosa di più nobile, rispondendo all’istintiva Inclinazione e indole dell’ uomo sin dagli inizi: la curiosità, il germe della conoscenza, disseminato a priori del codice genetico, curiosità e stupore per gli alieni, per le miriadi di eoni, monadi, atomi, angeli e demoni, che guazzano nell’universo frapposti tra il pleroma e gli esseri umani, per compiere il bene o incitare al male.
In una elegante maniera acmeista: chiara, semplice, concisa diretta, senza l’ausilio di simboli e tortuose metafore, Vera Pavlova, si dirige verso l’apice, il culmine, penetrando le viscere del segreto delle cose, per incarnare e disincarnare la Verità, in tutte le sue uniche e irripetibili epifanie.
Nella quarta stanza, compare la prima timida e stentata rima appena baciata, nell’ultimo distico, almeno nella traduzione inglese, con due tempi verbali, un infinito (to be) “the way it wants to be”e un trapassato prossimo e remoto (had been), “the way it once had been.”che nella traduzione in italiano, – i versi -, si sono dovuti allungare, con un doppio participio passato di due verbi: amato e donato, “il modo in cui vuole essere amato”, “il modo in cui una volta era stato donato.”
In qualsivoglia traduzione di un’opera si perde sempre qualcosa, spesso si sacrifica il senso per la rima o si sacrifica la rima per il senso, insomma, ne scaturisce una seconda opera, il testo due, equivalente all’originale, ma non uguale.
La quasi ossessiva reiterazione del termine “carezza”, riporta l’attenzione sul gesto primario che prelude a navigazioni più profonde, divenendo così, una ritualità con risultati ed esiti Apotropaici:
“piu una carezza è ripetitiva, più è curativa.”
Altra presenza costante è rappresentata dai parallelismi sempre rafforzativi.
La dicotomia uomo-donna, appannata da un inconscio desiderio di dimostrare tutta la forza per entrare nel legame ancestrale dei corpi, sembra riapparire, anche se un invisibile dualismo, un “dualismo gnoseologico” spinoziano, permane tra i due esseri, nello stesso essere.
La versificazione, sempre precisa, curata e intrigante, melica e mai narrativa, come vorrebbe il ritmo intrinseco dell’ottava rima, addentra i denti acuti del suo aratro nei campi e nei solchi del terreno Imperscrutabile dell’adolescenza, adoperandosi a descrivere, in modo aperto, ma pudicamente spregiudicato, le sensazioni dell’immenso mare della giovane età, dove ogni cosa è ancora da essere scoperta.
Delusioni, attese disattese, il cambiamento della weltanshauung, verso la maturità, la consapevolezza di essere vista e considerata solo come un “mero oggetto” e non come parte importante e inseparabile nell’equilibrio della natura, rendono necessaria una nuova insurrezione dalle zolle primitive della creazione, per divenire consapevole della specificità dell’essere Donna e lasciar scaturire libera e gioiosa la propria forza, la propria dolcezza, nell’universo.
“Chi gioca a Mosca cieca con quelle di vent’anni
a nascondino con quelle di trent’anni?
L’amore lo fa…
È facile a trentacinque anni dire addio all’amore?
Lo è… ( V ottava)
Così, nella stupenda narrazione talmudica, viene rappresentata la creatura edenica:
“State molto attenti a non far piangere una donna: poi Dio conta le sue lacrime.! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi piedi perché debba essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale… un po’ più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata.” (Talmud)
Alla stregua di Anna Andreevna Achmatova, di Marina Ivanovna Cvetaeva e di Osip Emil’evic Mandel’stam, Vera Pavlova si può inserire in quella nicchia di poete e poeti della Russia, che hanno fatto della vita e dell’arte un personalissimo Modus Scribendi, un Modus Vivendi, tra le temperie letterarie e i movimenti, inseguenti solamente una moda e nulla più.
Il patto di Adonai con Abramo, che si concretizzò nella pratica della circoncisione di tutti i maschi, ossia, l’escissione del prepuzio, è sublimato in un ciclo di mutamenti: materia-non materia, corpo-non corpo, che anagogicamente adombra le sorti del Ben Adam sin dalla sua prima vicissitudine transeunte, verso una duratura Resurrectio Escatologica.
Sentire l’involucro carnale che avvince e volersene separare, per raggiungere un momento più alto, inarrivabile, diventa apice del proprio esperire e già il solo tentativo, diventa uno stadio profondo, di crescita, di perfezione nell’imperfezione.
“Mi sono sbarazzata del corpo, ma il brivido rimane,
e così fanno il dolore, la gioia.
Il brivido, il dolore, la gioia non hanno paura
che la pelle potrebbe non riapparire mai più dura.” (VI Ottava)
In questa sesta stanza, compare di nuovo la rima baciata, nell’ultimo distico in inglese, con “fear-reappear”, in italiano, con “dura- paura”, aggiungendo un termine all’ultimo verso.
Alla fine di questa precipua ed elegante Navigazione nella “Ciurma male – detta e indi-stinta di – versi e di-versi- fica-tori” (B.P), in mezzo a Morfemi, Fonemi, Sintagmi, Paradigmi, Sensi e non Sensi, Ritmi, Pause, Intervalli, Sinalefi e Dialefi, Apocopi e Sincopi, Dieresi e Sineresi, Ipotassi e Paratassi , Sinestesie e sineddochi, Significanti e Significati, giuste rotte e dirottamenti e sciabordii nefasti dell’ inarrivabile nave di Poesia, anche il secolare e passivo lettore è chiamato a remare, a intervenire con un personale coinvolgimento, per completare il lavoro, il costrutto poetico, l’opera d’arte: letteraria, musicale, pittorica, poiché quando la scrittura è colta, esige l’intervento di un lettore particolare, che remi verso un sicuro approdo. Se volete, chiamatelo Lettore Colto.
Le storie personali, intime, di un amore erotico, storgè, filia, escono dagli spazi e dagli scenari strettamente endemici del proprio io e si espandono nel collettivo, nell’universale, divenendo condizione umana, realtà in cui versa il flusso della materia, in cerca di Evoluzioni.
Le atmosfere in cui tutte le ottave si muovono e aleggiano, appaiono sempre concrete e coperte da un leggero manto di trascendenza, lasciando una linfa che scorre nell’alveo di sapore “Stoico”, tra realtà e visione, tra sonno-sogno e risveglio, tra esperienza e immaginazione e i versi finali della settima e ultima ottava, romanticamente raccolgono, forse in modo del tutto ignaro, il grande quesito hamletico shakepeariano, rimasto irrisolto, dell’essere e del non essere, dell’Essere Umano, semplicemente dall’osservazione dei movimenti di una formica sul terreno grigio e insidioso o sulla pelle liscia e rugosa:
“Per anni una mano gentile le ha
convinte a correre da un sottile capello
all’altro, fino al traguardo finale
finché non è follia, finché… Hey, stai dormendo?” ( VII ottava )
Roma, San Lorenzo
31 Ottobre 2020
NOTA
il compositore Messicano Venus Ray Jr ha musicato le sette poesie di tocco in sette ottave qui analizzate, in un’opera dal titolo Pavlova Songs, eseguite per la prima mondiale alla casa internazionale della musica di Mosca, dalla celebre orchestra russa “Musica Viva” diretta dal maestro Da Ros, concerto di cui è stato inciso un disco per la Da vinci classic, e poi alla Carnegie Hall di New York, in entrambi i casi cantate dal soprano lirico Natalia Pavlova, figlia della poetessa.