Il gusto nella nutrizione ha una funzione penetrante. Deve piacere perché attraverso il piacere si schiudano le difese. L’organismo è selezionato permanentemente su una modalità difensiva, che però deve necessariamente schiudersi per approvigionarsi innanzi tutto di energie. Il gusto è un veicolo delle cose buone della terra che ci nutrono. Generalmente cose disgustose non sono commestibili. Quindi attraverso ciò che è gradevole può essere fatto bere o mangiare anche del veleno. Quanto meno il veleno deve avere necessariamente un non sapore o altrimenti non supererà la prima immediata difesa umana. Il disgusto.
Le bellezza gioca un fattore assolutamente mimetico di quello giocato da gusto e disgusto nella penetrazione di sostanze chimiche nel nostro corpo. Essa fa penetrare al posto delle sostanze delle idee, delle dimensioni, la bellezza tende a essere metabolizzata come verità. Come recita Keats in ode a un’urne greca. Nella natura avviene uno spettacolare uso della funzionalità della bellezza.
La bellezza in natura, nel regno animale, ovvero uno straordinario comporsi di forma e colore che si solleva, che si innalza sulla base del segno generico della natura, è segnaletica di pochissime cose. O meglio noi chiamiamo bellezza quel particolare momento della natura in cui la natura immette molta energia in forma e colori, producendo una sovrabbondanza che è funzionale a uno scopo più che a un ambiente, cosa questa che rappresenta già una prima importantissima lievitazione rispetto a un rapporto ipostatico tra forma e funzione: il rostro, la zampa uncinata o munita di ventose, la corazza cornuta, il labbro estroiettabile (delle larve degli odonati) e via discorrendo sono forme funzionali di un rapporto ipostatizzato con l’ambiente, mentre la coloratura che assumono determinate livree , i palchi delle corna, e via discorrendo, cioè appunto quel momento di sovrabbondanza in cui la natura spende sui corpi animali più dello stretto necessario rispetto alle necessità della vita del corpo nell’ambiente, sono un eccesso che serve non più al rapporto con l’ambiente ma al rapporto con il simile, un rapporto che nella natura è generalmente, temporalmente limitato -ovvero la stagione degli amori-.
Questo rapporto è il rapporto necessario alla riproduzione, la livrea eccezionale dei maschi, i colori infiammati, iridescenti e incandescenti, devono in duplice maniera attrarre e minacciare, eros e polemos, amore e guerra. Quindi sono colori che portano alla riproduzione attraverso un torneo di lotte furiose, dove non c’è mai la morte di quello specifico e concreto individuo sconfitto nella lotta, ma dove si apre la probabilità altissima della estinzione della sua linea genetica poiché non avrà modo di riprodursi ( da tutto ciò che ha governato per centinaia di migliaia di anni anche la nostra psicobiologia poi noi ci siamo emancipati, cosi come l’arte si è emancipata parallelamente da Dio, e non sappiamo se ci toccherà per ciò il mediocre e tragico destino che vediamo compiersi per l’arte).
Quindi la bellezza in natura, bellezza secondo il percetto umano, è appunto segnaletica e funzionale, sebbene laddove essa si insedia come mediazione nel rapporto tra due simili e sia inscritta in un rapporto di lotta dove ciò che determina la vittoria e la sconfitta dipende da fattori dinamici e non più statici come generalmente lo è l’ambiente, vediamo che si produce una distanza ontologica già sufficiente a l’instaurazione di un campo semantico, significativo, appunto ontologico, che invece nel rapporto di coincidenza tra le forme del corpo relazionate a un rapporto ipostatizzato con l’ambiente (la forma dell’apparato boccale, il rostro, le tromba suggente, la mandibola estensibile e prensile e via dicendo) sono di carattere ontico.
In questa distanza che si apre nella generazione di un fattore fisico destinato a uno scopo dall’esito incerto, la lotta e la riproduzione, si può però insediare il germe di un proto carattere.
Una lucertola meno dotata fisicamente di una altra lucertola, potrebbe sconfiggere l’avversario perché dotata di un proto-coraggio, ciò potrebbe essere determinato anche da un fattore neurologico più simile ad un difetto, come una minore velocità di trasmissione di dati nervosi, per cui la lucertola più “coraggiosa” sarebbe dal punto di vista neurologico semplicemente ostinata nella lotta perché ritardata nel percepire la sconfitta cosa che potrebbe disorientare le risposte della più forte che potrebbe leggere questo ritardo come maggior forza dunque pericolo e quindi abbandonare. Soprattutto perché la riproduzione è negli animali -presumibilmente- uno scopo che li domina e non uno scopo che è dominato, dunque essi sono programmati in questo senso e quindi non possono compiere atti eroici, non avendo uno scopo visibile in senso concettuale.
Parrebbe che lo spirito della natura abbia estetizzato ogni scontro come soluzione all’estinzione che sarebbe derivata se gli animali avessero dovuto uccidersi per ogni questione. Il morto in natura serve solo allo scopo di garantire la vita come nutrimento. Per il resto ogni conflitto è stato sublimato in rituale, in danza, in agonismo coreografico, dove ci si può ammaccare ma non si viene sacrificati. la vita animale ha catturato la violenza nel teatro della natura, stilizzando e facendone rappresentazione.
Questi scontri animali per la riproduzione, che la natura poteva tranquillamente regolare in altri modi , cosi come è stata in grado di programmare e determinare le complessità neuronali del cervello umano, sono temporanee interruzioni legislative che guardano al momento costituente dello scontro tra due poteri per l’accesso alla riproduzione della vita trasmettendovi alcuni dati della propria esistenza.
Sono un crepitare veloce, un’infestazione di microscopici stati di eccezione, che corrono e guizzano come un carica elettrostatica su tutta la superficie della terra, dove la riproduzione animale mettendosi in gioco con la mimesis della guerra, o meglio con la lotta rituale( che a differenza della guerra non elargisce inutile e superflua crudeltà) modifica l’esistente stesso lasciando agire su di esso una misteriosa forza ontologica che assomiglia, per poterla un attimo concettualizzare, alla flebile radiazione emessa dall’idrogeno nel cosmo e che ne rappresenta un arcano basso continuo, praticamente impercettibile che tuttavia rispetto alle energie dirompenti, come la luce per dirne una, è presente in maniera coincidente alla totalità del cosmo stesso, è immanenza.
Nella lotta e nell’amore, di cui la bellezza è un momento necessario indispensabile e determinante, dunque la materia, la vita e conseguentemente la conservazione delle leggi che la regolano, qualcosa che non possiamo determinare nemmeno con le scienze più avanzate determina un regno dell’essere sul regno della materia, e insieme, indicativamente, determina un carattere e dunque una “personalità” in creature che non dovrebbero essere dotate di strumenti come la mente. Poiché in una lotta per l’accesso alla riproduzione del proprio patrimonio genetico, nell’attrazione verso colori ipersaturi e dalle forme grafiche iperboliche, entrano in gioco delle scelte, delle decisioni che sono di giurisdizione del carattere, ovvero della personalità di quel determinato vivente.
Nel regno animale il carattere o la personalità, sono la testimonianza e il luogo dell’essere che nell’umano è dispiegato nel linguistico, e nella lotta per la riproduzione che sono sotto il dominio della bellezza (la guerra omerica e paradigmatica di questo rapporto Lotta-riproduzione di cui è scintilla una sfida di Afrodite dunque il dominio della bellezza) il mondo si rimette a infinite micro-negoziazioni che per quanto microscopiche siano rappresentano il continuum dell’esistente e dunque come i processi batterici sono stati in grado di fornire ossigeno alla terra essi determinano la continua riscrittura dell’esistente (il darwinismo sarebbe appunto la supervalutazione culturale di questo particolare segmento dell’esistente).
Le livree che si accendono sui corpi degli animali sono mezzi per uno scopo che non può essere raggiunto semplicemente con il sussistere di questi mezzi, cosi come è invece per quelle parti-forma che sono in rapporto con una azione ipostatizzata (la forma della bocca, o del piede secondo il tipo di habitat dell’animale). La livrea non determina l’accoppiamento. Solo la vittoria sugli altri maschi determinerà l’accoppiamento. Dunque la livrea non coincide esattamente con lo scopo. Vi è una eccedenza, un resto non spendibile nell’economia dello scopo. Un residuo incombustibile.
Qui già l’arte depone una prima traccia terrestre dimostrandosi una creatura divina, una entità divina, cioè che esiste prima della coscienza che gli uomini hanno di se stessi, indipendentemente dalla loro esistenza. Capace di abitare un pianeta popolato di creature che non la percepiscono, che sono dunque interamente sue cosi come noi ci immaginiamo di essere interamente di un Dio che non possiamo concretamente conoscere ma solo immaginare, pensare, presentire.
[sostieni]
La forza che dipinge le livree degli amori delle creature terrestri dei cieli e dei mari, è una forza artistica. Le sue opere servono a comunicare, ad esprimere, più che a attuare. Non sono le corna dei cervi che combattono la lotta, ma la forza e soprattutto la determinazione che ogni cervo ha di non arrendersi nella lotta, l’atto si compie li.
Ciò è soprattutto evidente nelle lotte animali mentre è invisibile nella guerra umana.
La guerra umana è letale, mortale, cieca. Distrugge ciò che la natura protegge con ogni mezzo ovvero i germi della vita stessa (i cuccioli , i semi etc). Dunque i combattenti delle guerre umane sono portati dalla struttura della guerra stessa alla ferocia preventiva.
In guerra si muore. Non si può come nel regno animale abbandonare -disertare è un atto che porta ad essere uccisi- la lotta senza essere morti e nemmeno gravemente feriti, solo per la convinzione che l’altro sia il più forte senza che ciò sia stato realmente dimostrato con la distruzione, come avviene nel mondo umano, del più debole.
Molti combattimenti animali, sono allo sguardo della razionalità bellica umana, degli accenni di danza, o tutt’al più dei match sportivi accaniti a cui mai la razionalità bellica umana ( contemporanea si badi bene) affiderebbe questioni che ritiene vitali come il dominio di un popolo straniero o su un popolo straniero , mentre gli antichi attestano invece una memoria di questa modalità incruenta di rinegoziare l’esistente tra due entità – Basti pensare ad Orazi e Curiazi, e prima dell’arrivo dei conquistadores le guerre combattute in Africa e America erano mimetiche della ritualità dei combattimenti nella natura, per cui morirvi era assai raro per chi le combatteva.
Quindi se nel combattimento guerriero umano il corredo delle armi è finalizzato alla reale distruzione dell’altro, e dunque l’investimento di energia nella loro costruzione e nella azione di procurarsene di massimamente potenti e funzionale a uno scopo esatto, nel regno delle lotte animali per la riproduzione questi mezzi non vengono usati che in minima parte rispetto alla loro potenziale letalità.
I combattimenti animali per la riproduzione (possiamo anche dire per ovvi motivi) (e questi ovvi motivi danno almeno una spiegazione a cosa serve la differenziazione delle specie) non sono mai combattimenti all’ultimo sangue.
Allora i mezzi che la natura offre spendendo riserve energetiche preziosissime per le funzioni vitali di base per vestire gli animali delle loro livree eccede lo scopo, e sconfina in una arte di cui sono enigmatici spettatori gli animali stessi.
Notiamo bene che i mezzi con cui gli animali predano usandoli per uccidere senza remore il vivente di cui hanno bisogno per nutrirsi non sono usati che in maniera rituale e formalizzata nei combattimenti per la riproduzione, che gli animali sono governati molto meglio degli uomini dal comandamento di non uccidere il proprio simile, e facciamo notare che questa riflessione è solo indicativa e suggestiva e che non ha nessuna pretesa di dirimere gli intelletti sulla verità di ciò di cui tratta. Mi sono interessato nel riflettere su queste cose, ad alcuni animali che accedono alla riproduzione tramite la lotta, Molti, e che si vestono nella stagione degli amori di particolari colori o appendici fisiche che poi vengono dismesse dopo la stagione riproduttiva.
Ma ci sono molti altri animali che non passano per un conflitto per accedere alla riproduzione del proprio patrimonio genetico. Dunque l’uso che si è fatto della descrizione di questi animali è metaforico.
Mi aveva colpito la mente questa riflessione partendo dalla considerazione non so come scaturita di ciò che è particolarmente distinto in natura e che noi chiamiamo solitamente bello. Il colore del fiore, la grandezza eccezionale, la forma iperbolica o complessa etc. rendendomi conto che in natura il bello è segnalazione.
Insetti velenosi sono molto visibili. Funghi letali sono straordinariamente visibili (cappuccio rosso e pois bianchi) , bacche velenose sono splendidamente colorate, hanno colori ipersaturi rispetto ai colori saturi in maniera equilibrata di molta frutta commestibile etc.
Nell’umano sembra che vi sia invece una inversione culturale totale dei segni, per cui Il brutto è realmente cattivo e il bello buono, e che non solo è buono ma vero mentre il brutto è anche il falso…. Ma qui mi fermo per un accenno di vertigine.