L’uomo contemporaneo non può prescindere da una costante riflessione su se stesso e sulle dinamiche sociali, comportamentali e relazionali nelle quali è quotidianamente inserito. In tali dinamiche la genitorialità, con tutte le sue complesse implicazioni, assurge a tematica di spicco. Oggi, alla luce di tanti cambiamenti avvenuti nel tempo e che continuano a verificarsi, la genitorialità va ripensata: vanno ripensati nello specifico il ruolo del nucleo familiare nel suo complesso, quello della donna nella famiglia e a fronte del suo ruolo nella società, e quello del padre, che va anche riscoperto.
Non è inusuale che il padre venga ancora visto come figura che comincia ad esercitare una sua funzione quando le competenze cognitive ed affettive di base del bambino si sono già strutturate. Il padre riveste invece una posizione fondamentale nella coppia, e conseguentemente nella costruzione della famiglia. La relazione tra i genitori è il primo fattore che contribuisce alla costituzione di quell’humus psicologico ed emotivo che consentirà lo sviluppo della personalità del bambino.
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Per questo, diventare genitori è ben diverso dal “saper fare i genitori” e a questo gioverebbe una specifica educazione alla genitorialità, tanto più necessaria quanto più i contesti che fanno da background sono a rischio. Separazioni impreviste, ancor peggio se inspiegabili, hanno strascichi importanti sulle menti immature dei bambini. E se questi distacchi sono generati da reati commessi da chi dovrebbe accudirli ed amarli, reati che li portano alla detenzione, il tutto assume connotati ancora più gravosi. La “perdita” improvvisa di un genitore, unita alla mancanza di risorse personali ed ambientali, genera sofferenza in una psiche ancora fragile.
Dal 30 giugno 2016 e per la prima volta al Sud, è attivo, all’interno del carcere di Secondigliano a Napoli, “Spazio Giallo”, la rete di accoglienza per i figli di detenuti. Il percorso di sostegno aiuta il bambino a orientarsi e ad attenuare l’impatto con un ambiente potenzialmente drammatico e traumatico.
Ne abbiamo parlato con l’artista Daniela Morante, coordinatrice dello Spazio Giallo.
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L’INTERVISTA
Stime mondiali parlano di 2 milioni di bambini che hanno un genitore in carcere. Solo in Italia, sono oltre centomila i minori che annualmente vanno a fargli visita. Premettendo che si pone in maniera crescente la necessità di un’attenta formazione alla genitorialità e di una ferma volontà politica e sociale di operare a sostegno delle famiglie, in che direzione si muove “Lo Spazio giallo”?
Lo Spazio Giallo è un progetto innovativo sostenuto dall’Associazione Bambini senza sbarre di Milano, in rete europea con Children of Prisoners Europe che difende i diritti dei bambini figli di genitori detenuti, già presente in diversi Istituti Penitenziari Italiani.
Sono onorata di essere la referente a Napoli di questa iniziativa, ora anche all’interno del Carcere di Secondigliano. Il progetto è stato sostenuto dall’Associazione Enel Cuore, dalla Fondazione Banco di Napoli e Fondazione Banca delle Comunicazioni. Tutti insieme affermiamo, giorno dopo giorno, l’impegno ad occuparsi di questi bambini in sintonia con la Campagna europea di informazione: “Non un mio crimine ma una mia condanna”.
Qual è il suo/vostro contributo nella costruzione di un rapporto sereno tra genitore e figlio in un complesso situazionale così delicato?
C’è molto da fare in proposito e forte dell’esperienza già rodata all’estero ci si propone di incidere sul benessere del bambino a vari livelli: non solo specificamente nella relazione col padre e nel contesto familiare, ma anche in quello scolastico dove i piccoli ancora oggi vengono discriminati e messi da parte. Il beneficio di un corretto legame affettivo genitore detenuto/figlio migliora il clima emotivo del padre, attiva la sua funzione genitoriale sviluppando nello stesso la responsabilità e la volontà di migliorare il proprio percorso di rieducazione, in linea con le normative penitenziarie europee che prevedono sempre più il carcere come uno spazio di rieducazione e non solo di punizione.
La sofferenza di questi bambini che vivono una colpa non loro è immane. Per la prima volta a Napoli si è trovato un accordo con il Personale Penitenziario per poter disegnare missive da poter consegnare ai padri durante la visita: un piccolo grande tassello di contentezza e di comunicazione diversa.
Paure, desideri, emozioni: l’universo infantile è straordinariamente grande e multisfaccettato. Come si sposa l’Arte con questo mondo, quando nel caso di una detenzione carceraria, come da lei sottolineato, la sofferenza diventa parte determinante del vissuto tanto del detenuto quanto dei figli?
Si invitano i piccoli ad esprimere le proprie emozioni su un foglio. Il bisogno è così impellente che non bisogna spronarli: si affollano ai tavoli di disegno e ciascuno con brevi frasi di amore arricchite da cuori, soli, figure, fiori, case esprimono di getto un amore fortissimo per il genitore detenuto.
Noi consideriamo generalmente il detenuto un delinquente che merita di trovarsi recluso, ma per un figlio è il Padre, figura di riferimento importantissima necessaria nel suo percorso di crescita e nello sviluppo della personalità. Per tutta l’infanzia, dai primi anni fino all’adolescenza, non possono i figli dei detenuti comprendere altro. Auspichiamo col nostro intervento di attivare nel padre una maggior consapevolezza dell’importanza del legame con il figlio, un senso di responsabilità nella solidità del rapporto affettivo che possa innescare magari un cambiamento: essere all’altezza delle aspettative di suo figlio. L’arte vive della forza rigenerante dell’utopia sperimentata sul campo. Vive per me, nelle dinamiche affettive, nell’immaginazione attiva, nell’offerta di accoglienza e comprensione. Come piccoli fiori ora, nello Spazio Giallo, tra la calca di una moltitudine in attesa di colloqui, sbocciano aperture alle emozioni, slanci e miracoli di conferma che nulla è mai del tutto perso e c’è ancora uno spazio colorato dove poter reinventare la vita.