“Dalì è un surrealista.
La più surrealista fra tutte le sue creazioni, tuttavia, è lui stesso.
Non so cosa lo abbia reso più famoso, se i suoi dipinti
o la leggenda che egli stesso contribuì a creare attorno a sé“.
(Philippe Halsman, Dali’s Mustache)
La citazione di Halsman ben si presta a fare da apertura ad una figura, storicamente e per natura intrinseca, controversa come Salvador Dalì, uno degli artisti più conosciuti e complessi del XX secolo. Non si può non rimanerne affascinati. Istrionico, sopra le righe, sui generis, vocato all’esibizionismo, ma al contempo profondo, capace di subire l’influenza di diverse personalità, per farle proprie, rimodellarle e riproporle mistificate e valorizzate.
Un creatore nell’accezione più ampia del termine, dal momento che Dalì contempla campi che vanno oltre la pittura, al pari dei maestri del Rinascimento che egli tanto ammirava.
La Mostra “Io Dalì” al PAN (Palazzo delle arti Napoli, via dei Mille 60) conduce i visitatori nella Vita segreta del genio poliedrico. L’artista catalano fu anche scrittore, scenografo, costumista, creatore di gioielli, scrittore, designer, ma soprattutto un pensatore. Lungo tutto il percorso, sono dipinti, disegni, video, fotografie e riviste a svelarci particolari sempre diversi, mentre citazioni sparse ovunque sui muri ci fanno vedere ancora più da vicino “il pittore che divenne opera d’arte“.
[riproduzione degli abiti disegnati da Dalì e realizzati dalla Casa Dior per il ballo in maschera ospitato da Charles de Beistegui a Venezia nel 1951]
“Non c’è nessuno al mondo che non riconosca che ho una grandissima importanza. […] Io ho intrattenuto il pubblico per quarant’anni, senza interruzione, in una società mostruosamente cinica e ingenuamente incosciente che gioca il gioco della serietà per nascondere meglio la sua follia.
[…] Rimarrò un genio integrale del mio tempo. E la pittura, la scrittura e tutto il resto sono arti infinitesimali del mio enorme talento“.
(Salvador Dalì)
A questo suo genio caleidoscopico fa da sfondo la sua consapevolezza della crescente importanza della cultura di massa, che lo spinse in direzione della realizzazione di opere sempre più avanguardiste, tra installazioni, performance e happening. L’uso dei media, per Dalì, poteva produrre risultati altissimi. Erano il perfetto canale di svelamento per una personalità così marcatamente narcisista, uno strumento potentissimo per mettere in scena se stesso, per raccontarsi sì, ma soprattutto per pubblicizzarsi.
“Adoro la pubblicità
e, se per mia fortuna i giornalisti mi conosceranno e si occuperanno di me,
offrirò loro il mio pane, come San Francesco agli uccelli“.
(Salvador Dalì)
Tutti conoscono il “personaggio” Dalí, forse di più e a dispetto del Dalì persona, ma come affermò egli stesso, “il mito di Dalí è falso […]. Il fatto è che sono una persona fortunata. Qualsiasi cosa io faccia, per un motivo o per un altro, riceve un’attenzione straordinaria“.
Ma no, non era semplice fortuna. Dietro il Dalì pubblico, quello alla costante ricerca del clamore mediatico e del riconoscimento che tanto assomiglia a pura venerazione, c’è l’uomo stacanovista, quello che lavora strenuamente anche 14 ore al giorno.
Nella prima fase della sua vita il suo eroe fu Sigmund Freud. Con la pittura Dalì esprimeva infatti le angosce e le visione nevrotiche che aveva in quel momento. Solo nel 1959 l’artista abbandonò i postulati freudiani per abbracciare entusiasticamente quelli di Werner Heisenberg, le cui teorie contribuirono allo sviluppo della meccanica quantistica. L’artista lo sentiva a lui più affine, dato che le idee del fisico riflettevano un maggior contatto con Dio e con l’unità cosmica.
I primi anni ’70 furono invece il periodo dei dipinti stereoscopici. Attraverso un gioco di specchi, che emula i vecchi visori della fotografia stereoscopica, il pittore offre allo spettatore l’illusione della tridimensionalità dello spazio pittorico.
Qualcosa di simile accadde con l’olografia.
In ultima battuta, non posso esimirmi dall’aprire una parentesi sul Teatro-Museo, al quale è dedicata una piccola area-video, dove ci si può sedere e goderne in tutta tranquillità. Il Teatro-Museo, situato a Figueres in Spagna dal 1974, è una sorta di Autoritratto in perenne mutamento, quello indotto dalle opere che si ha il privilegio di osservare di volta in volta. Creato attingendo a realtà vere e a realtà fittizie, anche il Museo è lo specchio fedele della polisemia e dell’eterogeneità daliniana, l’ultimo inestimabile capolavoro che ha avuto il potere di aprire una finestra definitiva sulla tanto anelata immortalità dell’artista e del personaggio.
N.B. La mostra durerà fino al 10 giugno 2018, con i seguenti giorni e orari: dal lunedì alla domenica dalle 9.30 alle 19.30 (martedì chiuso).