È facile prevedere che la continua serie di attentati terroristici targati ISIS possa fomentare il fenomeno dell’islamofobia ormai presente da tempo sul continente europeo e non solo. Ma l’Islam, come d’altra parte il Cristianesimo, l’Ebraismo e il buddismo, sono fenomeni religiosi e culturali complessi e chi cerca di semplificarli rischia posizioni ottuse e, alla fin fine, fondamentaliste.
È anche importante non sottovalutare i meccanismi politici e socio-economici che fanno da sfondo da un lato all’estremismo terrorista e non, e dall’altro all’islamofobia. Non a tutti è chiaro che l’ISIS non rappresenta di per sé l’Islam e che, al tempo stesso, ci sono degli specifici meccanismi, appunto politico ed economico-sociali, che possono spiegare la sua esistenza, ma anche l’incapacità, almeno finora, di sconfiggerlo.
Parla di tutto questo a YOUng Massimo Campanini, orientalista e uno dei più apprezzati storici del Vicino Oriente arabo contemporaneo e attualmente professore associato di Storia dei paesi islamici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.
INTERVISTA:
Di fronte al pericolo di recrudescenza dell’islamofobia qual è il miglior modo per affrontarla?
Innanzitutto la conoscenza: capire cosa è l’Islam e capire anche che c’è un fenomeno di strumentalizzazione politica che può sconfinare nell’islamofobia allo scopo di eccitare l’opinione pubblica.
Quindi evitare l’associazione tra Islam e violenza?
Sì, bisogna guardare indietro alla storia dell’Islam per evitare quest’associazione.
Ci sono comunque stati non pochi momenti di conflitto tra Islam e Occidente.
Sì, bisogna però tenere a mente che anche l’Occidente ha mostrato la sua aggressività: basti pensare alla guerra in Iraq. Bisogna in partica uscire da questo automatismo mentale.
E la violenza non è un monopolio solo dell’Islam e dell’Occidente.
Certo: c’è stato il fenomeno dei Tamil nello Sri Lanka e tutt’oggi gli stessi buddisti sono capaci di violenza.
D’altra parte si nota che l’Islam moderato non fa abbastanza per dissociarsi dall’ISIS.
In realtà non ne ha grande bisogno. La cultura islamica conta un miliardo e seicentomila persone e quindi l’ISIS ne rappresenta un’infima minoranza. E ci si dimentica che l’Islam è, nella stragrande maggioranza, rappresentato da serie istituzioni di diritto e teologiche, come quella che andrà a visitare Papa Francesco in Egitto.
Senza dimenticare che il fenomeno dell’ISIS nasce con l’interventismo Occidentale in Medio Oriente.
Sì, dall’Afghanistan all’Iraq l’Occidente ha compiuto un sacco di sciocchezze in quel teatro. Ma bisogna aggiungere anche l’esistenza di certi fattori locali che hanno facilitato la nascita di questo fenomeno terroristico.
Quali?
La crisi economica e l’autoritarismo legati alla presenza di un certo tipo di regimi in Medio Oriente. A una forma di violenza presente nella società, certi elementi rispondono con la violenza.
Il professor Massimo Cacciari ha parlato infatti di un fenomeno di “proletarizzazione del Medio Oriente”, indipendente dall’interventismo occidentale.
Sì, il Medio Oriente non ha conosciuto uno sviluppo economico tale da permettere l’innalzamento del livello di vita della maggior parte della popolazione, per cui, di fatto, c’è stato un impoverimento delle classi medie, un abbassamento del welfare, con moltissimi giovani che non trovano lavoro e che non possono crearsi una famiglia.
Lei sta spiegando l’origine del jihadismo violento tra i giovani?
Sì e la conferma la troviamo analizzando anche l’origine dei foreign fighters: si tratta di giovani disadattati provenienti dalle banlieu nelle società occidentali.
Indipendemente dai foreign fighters, come interpreta il fenomeno di conversione all’islam di certi elementi nati e cresciuti in una cultura cristiana?
Innanzitutto i neofiti all’Islam tendono ad essere, in partenza, dei fondamentalisti radicali, proprio perché la conversione implica un’adesione molto intensa a nuovi valori.
Ma ci sono anche degli elementi specifici che attraggono certi occidentali all’Islam?
Sì, prima di tutto l’Islam è una religione semplice, che non richiede di credere a misteri metafisici come l’incarnazione e la Trinità che possono esser visti come razionalmente assurdi, ma poi l’Islam è una religione molto pratica che richiede anche di agire e non solo di credere. Si tratta di una semplicità operativa che ha, al tempo stesso, una forte valenza spirituale.
L’Islam stesso ha anche mostrato, nel tempo, una sua capacità di tolleranza: basti pensare alla Spagna sotto la dominazione mussulmana dove vivevano tranquillamente cristiani ed ebrei.
Prenderei un approccio storico generale: quando una società sta avanzando ed è fiorente tende a mostrare maggiore tolleranza. Gli anglo-sassoni, per esempio, all’inizio del ‘900, ossia all’apice dell’Impero Britannico, mostravano grande tolleranza in giro per il mondo.
Quindi l’incapacità di accettare l’altro è sintomo di crisi in una società?
Infatti e, se vogliamo, la crisi stessa della società capitalista occidentale può spiegare fenomeni come la xenofobia, ma anche, specificatamente, l’islamofobia.
Si può parlare di crisi d’identità?
Sì, e questo è un fenomeno che coinvolge non solo la società mediorientale islamica, ma anche quella occidentale cristiana. Senza dimenticare che la cultura islamica è in qualche modo legata, fin dalle sue origini, a quella cristiana e ciò rende il fenomeno particolarmente acuto, proprio perché mette in discussione i fondamenti di una cultura comune, quella abramitica, mediterranea.
Uno dei più recenti fenomeni nel Medio Oriente è stato l’acuirsi del conflitto tra sunniti e sciiti, che però, per molti secoli andavano d’accordo. Cosa c’è dietro?
Sì, sotto l’Impero Ottomano non c’era questo conflitto e l’Impero Ottomano stesso, fondamentalmente sunnita, andava d’accordo con le dinastie sciite presenti in Iran. Dietro questa nuova opposizione c’è una forma di nazionalismo che si è appropriato di certi simboli religiosi. E a questo bisogna aggiungere certe variabili economiche come appunto quella del petrolio. Tutto questo crea una “tempesta perfetta”.
Quindi, in questo contesto, l’ISIS è più una “costruzione” strategico-politica che una realtà puramente ideologica.
L’ISIS è un falso califfato: non c’è alcuna fondamento di carattere teologico e giuridico che giustifichi la sua esistenza e quindi è un fenomeno totalmente surrettizio, almeno sulle basi del pensiero classico islamico. Sarebbe interessante scoprire esattamente cosa c’è dietro per spiegare la nascita di un fenomeno così sofisticato, nato alla fin fine dall’alleanza tra sbandati dell’esercito iracheno e pochi jihadisti seguaci di al-Zarqawi. Ma non credo lo sapremo nel breve termine.
Lei ha fatto notare che Saddam Hussein venne sconfitto in una settimana, mentre l’ISIS, in qualche maniera, è ancora tra noi a quattro anni dalla sua apparizione.
Beh, sappiamo cosa ci fu dietro l’intervento di Bush e di Blair in Iraq, accompagnato dalla bufala delle armi di distruzione di massa, che in realtà non esistevano. Sono convinto che l’ISIS sia una realtà che serve a qualcosa e a qualcuno. Quando non servirà più verrà annientato molton rapidamente.
Quindi anche il fatto che non ci sia chiarezza totale sul presunto recente attacco chimico di Assad in Siria ci dovrebbe dire qualcosa?
Lo vedo come un’altra pedina in un gioco molto più vasto e profondo che coinvolge superpotenze come USA e Russia e potenze regionali come Arabia Saudita, Iran e Turchia. Ognuno cerca di trarre il suo vantaggio dalla crisi che domina il Medio Oriente.
Si fa notare che, nel complesso, la Siria sotto Assad sia uno stato laico.
Non è mai stato nell’interesse della dinastia Assad, che appartiene alla minoranza awalita, spingere troppo per un approccio religioso. Al tempo stesso bisogna leggere il fenomeno Assad nell’ambito del fenomeno di decolonizzazione in Medio Oriente.
In che senso?
In Siria, come anche in Turchia, Egitto, Sudan e Iran, la decolonizzazione è stata portata avanti da élite militari islamiche, ma fondamentalmente secolari.
Si può dire che questo secolarismo non sia più di moda?
Questo tipo di secolarismo non è stato molto costruttivo, non solo a livello economico e sociale, ma anche perché imposto con l’autoritarismo dall’alto, e questo spiega come, a partire dagli anni ’70 ci sia stato un fenomeno di re-islamizzazione nel Medio Oriente, che vediamo, per esempio, nella Turchia di Erdogan.
Re-islamizzazione come ritorno alle origini?
Sì, attraverso la ricerca di un’identità: sarebbe come se noi italiani ritornassimo ai valori, e ai fasti, dell’Impero Romano.
Come vede la nuova legislazione europea sui limiti nell’uso del velo?
Vedo la questione del velo come, in parte, una nostra ossessione. Esiste quasi un elemento di fondamentalismo nel nostro laicismo: una specie di religione rovesciata. E questa ossessione è, come dicevo, uno dei risultati della crisi che la nostra società occidentale sta attraversando: una crisi di transizione e d’identità in cui certi conflitti vengono esacerbati.