L’aspetto forse più agghiacciante e ripugnante della triste vicenda che ha coinvolto il comune di Vasto, con il 21enne Italo D’Elisa ucciso a colpi di pistola dal 36ienne vedovo Fabio Di Lello, è che al posto del giovane ucciso poteva esserci chi vi sta scrivendo. Poteva esserci vostro figlio. Potevate esserci voi indignati da tastiera, lobotomizzati dall’emotività isterica che vi fa regredire ad uno stato primordiale, primitivo e spaventoso, dove l’umanità si perde per far spazio ai più bassi istinti animalesco/forcaioli (qui alcuni esempi).
Al momento dell’incidente che ha portato via la povera 34enne Roberta Smargiassi, infatti, il giovane D’Elisa non era ubriaco né sotto l’effetto di droga e non superava i 50km/h. Il suo unico, grave errore è stato quello di passare con il rosso, travolgendo così lo scooter della ragazza ed uccidendola sul colpo. Dopo lo choc, sebbene ferito, il ragazzo non è fuggito ed anzi ha chiamato il 118, attendendo l’arrivo dei soccorsi e di fatto costituendosi. Nulla di “eroico”, chiariamoci, ma abbastanza per farsi un’idea della personalità del ragazzo.
Il dramma è accaduto a luglio, appena 7 mesi fa ed in tanti (troppi) hanno da subito parlato (a caso) di “giustizia troppo lenta”, quando i fatti e non le sensazioni dicono l’esatto contrario, ovvero che in questo caso tutto il processo d’indagine ed accertamento è proceduto spedito e senza intoppi, a ritmi record.
CHIUNQUE DI NOI POTEVA TROVARSI AL POSTO DEL GIOVANE ITALO
Ma perché, evitando di giudicare il disperato Di Lello ed il suo folle gesto, ci tengo a ribadire che al posto di Italo poteva esserci chiunque di noi? Lui è passato con il rosso, ma quante volte voi indignati cronici, con il cervello incancrenito ed imbarbarito dalla frustrazione e dalla regressione perpetua, avete abbassato lo sguardo per controllare il cellulare? Non dato la precedenza ad un pedone, attraverso con il rosso appena scattato, non dato la precedenza ad una rotonda (dalle mie parti è la regola, praticamente). Quante volte siete stati semplicemente distratti quanto fortunati? Quante volte, al posto dell’auto che avete tamponato senza conseguenze, poteva esserci una persona mandata in coma, sulla seria a rotelle o appunto uccisa? Magari siete usciti da un parcheggio senza prestare attenzione e, per puro caso, non vi si è schiantato sulla fiancata uno scooter con a bordo un diciottenne, morto sul colpo? Oppure avete letto un messaggio su WhatsApp mentre eravate in autostrada, ma per fortuna avete evitato di tamponare a 130Km/h l’utilitaria davanti a voi e così via all’infinito.
Sul serio la vostra ottusità è così radicata da non farvi concepire l’idea che, purtroppo, uccidere qualcuno in auto è un attimo e, in centinaia di ore di guida l’anno, una tragedia simile può capitare praticamente a chiunque? E che per questo tipo di accadimenti esistono già leggi, procedimenti e pene che non prevedono il linciaggio pubblico?
Preciso per gli analfabeti funzionali: non sto dicendo le infrazioni al codice della strada siano giustificabili. Non lo sono, per niente. Sto solo dicendo che sono un fenomeno incredibilmente diffuso sul quale dovremmo riflettere tutti, guardandoci allo specchio.
UNA SOLA DOMANDA DA FARSI, PRIMA DI ESIGERE IL SANGUE
A questo punto dovete farvi una sola domanda: lo stesso integralismo ottuso con il quale giudicate il prossimo e lo volete morto per un reato che non prevede la sedia elettrica, lo riservereste a voi stessi o ai vostri cari? Se quel 21nne fosse stato vostro figlio, avreste applaudito per il suo omicidio a colpi di rivoltella? Magari lo avreste ammazzato voi stessi per omaggio al vedovo?
Ovvio che no, così come nei panni del povero 36ienne nessuno di noi sa come avrebbe reagito. Ma proprio per questo esiste il sistema giuridico. Proprio per questo esiste la legge e proprio per questo esistono gli imperfetti e talvolta deprimenti ed ingiusti tribunali. Perché non conta ciò che faremmo io o voi “nei panni” di qualcuno. Non importa il giudizio individuale su fatti e persone, fondato magari su propri pregiudizi e proprie sensibilità/emotività. Conta lo stato di diritto, insieme alla società civile che lo ha concepito e che grazie ad esso evita di tornare indietro di millenni.
QUANDO AVREI POTUTO INVESTIRE UN BAMBINO
Tornando al discorso del “potrebbe succedere a chiunque”, voglio condividere la mia esperienza personale in tal senso. Un paio d’anni fa, mi è capitato infatti di sfiorare il viso di un bambino con il paraurti anteriore della mia auto, perché mentre guidavo in città (andavo a 40km/h scarsi) ho sentito vibrare il telefono messo sul sedile passeggero e per due secondi mi sono distratto per capire chi mi stesse chiamando. In quei due attimi il bimbo è sfuggito dalla mano della mamma ed ha attraversato la strada, in una tipica scena da film. La coda del mio occhio, l’abs, le pasticche dei freni appena cambiate, miei riflessi e tanta fortuna hanno evitato che diventassi anche io un omicida. Avrei meritato processo e condanna, senza alcun dubbio. Avrei meritato la galera ed il rimorso, per essermi distratto e per aver spezzato una giovane vita innocente. Anche la mia, di vita, sarebbe finita e questa è solitamente la pena più grande da sopportare per chi uccide senza volerlo.
Ma in ogni caso non è prevista, nel nostro ordinamento, la pena di morte. Non è prevista per nessun reato, quindi nemmeno per l’omicidio stradale. Figuriamoci come dovremmo giudicare, quindi, da esseri pensanti, evoluti e civili, la vendetta portata avanti dopo neppure 7 mesi dall’accaduto.
“MA IL RAGAZZO NON SI ERA PENTITO”
Per l’omicidio stradale, ovviamente, non è previsto neppure il processo di piazza per direttissima in meno di 24 ore e, in merito alla presunta scarsa rapidità di inquirenti e magistratura, avremmo fatto a meno dei deliri del ben poco misericordioso ed ancor meno cristiano Monsignor Bruno Forte, Arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto. “Una giustizia lenta è un’ingiustizia”, ha ammonito, dopo aver chiesto “pena severa e rapida” per il 21enne ed aver condannato senza misura il gesto del vedovo disperato. Una frase ad effetto quanto pericolosa, quella di Forte, perché di sicuro si può altrettanto dire che una giustizia rapida è 9 volte su 10 anche sommaria e quindi a sua volta ingiusta.
In uno stato di diritto sano, non sbatti in galera preventiva un giovane incensurato, che non guidava drogato né ubriaco e non correva. Che non ha omesso il proprio soccorso e che ha di sicuro commesso un errore reso madornale anche dalla fatalità. Sempre in uno stato di diritto, non ha alcun senso dire “voglio vedere te al posto del vedovo”, perché io al posto del 36ienne avrei anche potuto commettere una strage, ma ciò non fa altro che rafforzare il valore di un sistema giuridico e e legale sicuramente imperfetto e spesso farraginoso, ma senza alcun dubbio migliore della (presunta) giustizia fai da te.
Altro punto, è stato sollevato intorno al presunto mancato pentimento del ragazzo, che stando alla versione di Di Lello, avrebbe mostrato strafottenza perché, come riferisce il suo avvocato, quando il 21nne era sulla sua moto e vedeva di Lello, chinava il capo ed accelerava.
Da questa ricostruzione, fornita tra l’altro da una persona palesemente devastata e resa per nulla lucida da un dolor immenso, il “popolo” ha condannato il giovane prima di ogni processo e tribunale: ha ucciso una ragazza, ha distrutto una coppia felice, non si è pentito e doveva quindi morire.
Il mio pensiero sui giustizieri da tastiera, da salotto e da bar, è che a queste persone non è mai importato nulla della povera Roberta e di suo marito Fabio. Non c’è umanità né empatia, né reale capacità di immedesimazione in questi individui, ma solo una radicata ed incurabile frustrazione che ricerca disperatamente capri espiatori verso i quali riversarsi con violenza.
L’indignazione popolare è talvolta la forma più feroce ed al contempo deprimente di involuzione antropologica. Ci svuota di ogni nostra contraddizione complessa ed affascinante e mostra solo l’ipocrisia gretta e la meschinità vigliacca di chi non ha abbastanza cuore per ascoltare anche la propria testa.
Un pensiero ed una preghiera alle tre vittime di questa storia, è l’unico pensiero finale che mi sento di condividere.