Ho letto quasi tutte le recensioni su Sole Cuore Amore di Daniele Vicari, prodotto da Fandango film , che ho visto ieri nella sala Petrassi presentato alla Festa del Cinema di Roma . Le recensioni si dividono tra le compiacenti, o semplicemente descrittive, quelle dei grandi giornali di massa, e quelle che cercano di analizzare il film criticandolo nello specifico, i giornali che trattano di cinema.
“Sole cuore amore di Daniele Vicari è il primo dei film italiani che fanno parte della selezione ufficiale. Il regista rietino racconta la storia della vita di tutti noi, della difficoltà di vivere in una metropoli e dover fare i conti costantemente con la precarietà lavorativa” da la Stampa
A me il film, interpretato da Isabella Ragonese, bravissima, Francesco montanari , bravo in se, ma sbagliando il tipo psicologico, dalla esordiente e convincente Eva Grieco, decisamente brava, e dalla giovane Giulia Anchisi, non è piaciuto. zero. Mi dispiace.
L’ho trovato pesante nei tempi, lunghissimo senza un perché, disarticolato,, ma soprattutto non mi è piaciuto perché a mio avviso manca di una scrittura all’altezza dell’arte chiamata Cinema come Arte appunto. E anche di narrare non la verità ma una verità; non è un film neo neo realista come a molti è sembrato o potrà sembrare, è un film al contrario che mistifica. Ovviamente è solo la mia opinione questa, ma tant’è. Tecnicamente è sicuramente un bel film , che usa determinati mezzi che lo fanno essere tale ( ottimi professionisti e artisti). Ma lo accuso di una certa falsità ideologica. Anzi mi ha fatto decisamente incazzare. Spiego.
Nel film La protagonista ha 4 figli e un marito che non lavora. Guadagna 700 euro al mese che diviso 6 persone, tante sono le persone di questa famiglia fa poco più di 100 euro a persona. E il marito disoccupato aspetta goliardicamente questa donna che deve sfamare 5 persone con il suo lavoro, la sera sul terrazzino di casa per fumarsi una canna e dire che non trova lavoro e che, si evince dai gesti, ( colpa dell’attore che vuole essere cool e del regista che glielo permette) si sente cosi sicuro di se stesso come potrebbe sentirsi sicuro colui che rende possibile la vita degli altri con il suo lavoro che non è affatto il suo caso. Io credo che un uomo in una situazione del genere dovrebbe avere una tale mole di peso morale addosso da non riuscire nemmeno a guardare in faccia se stesso allo specchio, invece il nostro eroe disoccupato si permette di fare il tipo di via con il vento con Rossella O’hara con la moglie tornata dal suo massacro quotidiano facendole una carezza in perfetto stile casablanca, io mi dico, anzi la mia mente dice al me che guarda, mentre guardo il film che se fossi quel marito non avrei nemmeno il coraggio di guardarla mia moglie. I due poi hanno una casa, anche decisamente carina, ( chi la paga ? e di proprietà? E in affitto? Quanto costa l’affitto? Qualche spettatore anche al cinema si pone delle domande sulla coerenza narrativa di quello che vede) ed è una casa serena dove non si avverte un minimo di questa verità di una famiglia di 6 persone che vivrebbe con poco più di 100 euro a persona al mese- altro che soglia di povertà estrema- come capiamo dalla busta paga di 680 euro che prende la barista.
Non si vedono soldi, non si vede una sola volta per esempio il problema di trovare da mangiare, non c’è rapporto cinematografico con la ricerca del cibo simbolo della sopravvivenza, della fame , della povertà che ci faccia capire il perchè di tutto ciò, tranne una fugace citazione di un buon piatto di lenticchie fatto dal marito. Ma con 100 euro a testa in una famiglia di 6 persone si fa la fame nera, si va in denutrizione, e allora devi scegliere se comprare il cibo o farti tagliare la luce o il gas o tutti e due o pagare l’affitto, oppure devi trovare i soldi a tutti costi devi attaccarti al telefono e umiliarti , pregare, chiedere soldi in giro che non potrai ridare e probabilmente avrai difficoltà a trovare perché presumibilmente il tuo sistema di vita con 100 euro al mese a persona con 4 figli piccoli è basato su tanti irrinunciabili debiti nella cerchia delle tue conoscenze che poi ad un certo punto ti cominciano ad emarginare perché non sanno come fare nemmeno loro ovvio a dirti di no ma nemmeno come aiutarti e allora cominci a diventare solo, isolato e quindi inizia anche una sofferenza sociale, perdi pezzi e amici, è il disastro. Devi vestire 4 bambini scarpe giacche guanti, come li compra questa famiglia? Magari il marito va alla caritas qualche volta a prendere dei vestiti ? glieli regalano gli amici? Ci sono dei nonni che sostengono? Di tutto ciò in questo film nemmeno l’ombra, nemmeno la più pallida idea. Siamo in una casa mulino bianco appena appena anomala.
Solo di mezzi che la protagonista prende per andare a lavorare se ne vanno almeno cinquanta euro al mese, mi tengo basso, ma il marito che non lavora ha la macchina, ha la macchina e si fa le canne. Ma una macchina costa, assicurazione, bollo, benzina, manutenzione? Ma come fai man? Spacci e non lo dici a tua moglie forse o gli prendi i soldi dalla borsetta quando cade addormentata fatta di lavoro? Io spettatore me lo chiedo mentre vedo queste cose, è la mia mente che mi pone queste questioni, la mia incredulità non ce la fa a sospendersi di fronte a questa struttura narrativa, alle cose che mi vengono mostrate, e se non si sospende perché il film non nutre il mio senso del possibile, l’arte non può avvenire come miracolo tra me spettatore e opera. Quest’uomo , il marito, non lo vediamo andare cantiere per cantiere alle cinque di mattina a cercare di essere assunto come manovale, non lo vediamo litigarsi con gli immigrati la possibilità di scaricare ai mercati generali, non vediamo una sola volta questo uomo alle prese con la vita, non lo vediamo chiedere un prestito, non lo vediamo essere tentato di rubare una bottiglia di latte per il figlio piccolo nel supermercato, nulla , non vediamo nulla che giustifichi il perché sua moglie -nel film– non solo lo ami ancora un idiota del genere ma perché lo rispetti: sa solo fare il figo voce calda suadente e la moglie a questo pappone smidollato gli bacia pure la mano, ma per cortesia, mi sembra quello dei biscotti di mulino bianco che parla alle massaie italiane, come si chiama Banderas?
Questo non è un film sulla povertà chiedo scusa, non è un film sociologico, questo è un film un po da regime nord coreano ( esagero ovvio) che ci fa vedere quella che dovrebbe essere una povertà insostenibile virata in versione mulino bianco anche se poi alla fine la protagonista muore. I bambini poi – nel film, che è preso da una storia vera – non hanno mai fame, il piccolo non strilla, non ha le coliche, i suoi fratelli e sorelle non li vediamo fare una sola colazione, che visto il reddito di 100 euro a persona al mese della famiglia dovrebbe essere di pane e acqua, non li vediamo chiedere mai insistentemente che i genitori gli comprino qualcosa che i compagni magari hanno, ma avete mai visto 3, 4 bambini sani fare colazione? Si mangiano anche il tavolo, vogliono le merendine, le crocchette e quant’altro, e poi pranzano pure e dopo non contenti fanno merenda, poi cenano e poi hanno ancora fame prima di dormire e noi non li vediamo mai con le loro richieste di cibo mettere in crisi i genitori, gettare nel panico il marito fighetto“ho la macchina mi faccio la canna ma nemmeno ti accompagno una volta la lavoro” che se ci penso tra i due personaggi maschili il vero “pappone” sostanziale –nel film- è lui non quello che picchia la ballerina ( ma poi che animale sociale sarebbe quello che picchia la ballerina che esce con una pistola ad un certo punto? Me lo spiegate? Le due ragazze sono ballerine o puttane scusate mi sono un po’ confuso a causa di questo personaggio impresario-criminale), e ancora: hai 4 figli lavori al nero e non vai ai sindacati a farti regolarizzare ? Allora come recita quella canzone di De Andre verrebbe da dirgli –stavolta sia nel film che nella vita reale- “ signora lei è una madre molto distratta” si perché ciò significa che la tua parola d’onore con il padrone barista è più importante di assicurarti i tuoi diritti necessari alla certezza di sopravvivenza dei tuoi figli. Ma io madre di 4 figli che hanno fame me ne fotto della parola che ti ho dato caro padrone e corro ai sindacati, poco ma sicuro, a farti il culo e a farmi dare i miei giorni malattia, e la mia tredicesima e quattordicesima, io ti fotto caro padrone barista, altro che ti ho dato la parola che mi sta bene il nero. Questo sarebbe un film di impegno civile? Solo a prima vista. Questo è un film che educa ( perché alla fine ogni film produce un modello di mondo e Vicari mastica Debord se non sbaglio) a morire di lavoro in un modo glamour, chiedo perdono, senza difendere –nel film, e anche nella vita vera se fosse- non solo la propria vita, con la salute, ma la propria vita di madre di quattro figli; anche “Einstein” , la barista straniera , che si sta laureando – nel film- anche lei non sa ricorrere agli strumenti di lotta che ancora ci sono in Italia quando viene oltraggiata in maniera xenofoba dal proprio datore di lavoro; anche lei che si sta laureando accetta questa umiliazione bestiale non sapendo che in Italia puoi sporgere denuncia per un comportamento simile? Mica ha dei figli a casa lei, è una studentessa lavoratrice e magari sa anche farli valere i suoi diritti, magari sa che esiste una legge? No? No! Non ne è capace, e invece la madre di quattro figli che non rischia il licenziamento per i propri diritti – nel film- che poi sono dall’altra parte i suoi doveri di madre di 4 figli, rischia invece il licenziamento, rischiando con ciò di gettare sul lastrico i propri i figli quando non lo ha fatto per se stessa per difendere la sua collega di lavoro? Ma che pianeta è – nel film- questo? Insomma potremmo continuare molto, e parlare poi dell’altra storia parallela della amica ballerina e di queste danze che non si sa che sta succedendo con questa folla da discoteca che improvvisamente diventa una folla educata silenziosa , noia-resistente, stile pubblico di Marina Abramovic, invece che gente che si impasticca, come mi sembra di capire dal passaggio in macchina che prendono le due ballerine da due ragazzi del proprio pubblico. Si potremmo, ma insomma mi sembra inutile, e si trovano pubblicate ottime critiche che analizzano più tecnicamente le carenze generali del film.
Gli attori sono bravi, anche se appunto da regista avrei imposto a Montanari di non fare il figo in quel personaggio, di non fare il tipo che se la sente calda, ( cosa che invece ha mandato in giuggiole la stampa di massa che ritiene la miglior cosa del film le scene tra moglie e marito) perché poco credibile nella sua posizione di mantenuto che non si sbatte sul serio se non a chiacchiere per la vita dei figli, per il resto tutte le maestranze ottime, bella la fotografia di Gherardo Gossi , il suono , i costumi azzeccatissimi delle sorelle Vecchi, le musiche alla nouvelle vague di Stefano Di Battista, tutto bello, anche la regia è bella dal punto di vista delle immagini e dei movimenti. E belli sono i personaggi secondari.
Ma qui manca una cosa che si chiama scrittura, sceneggiatura, i dialoghi sono inconsistenti, senza profondità , senza ontologia soprattutto, ovvero non essenti, come dimenticando che i linguaggi elementari del popolo non colto non sono però incapaci di pensare ed esprimere in maniera profonda e poetica le proprie vicissitudini; pensiamo ai pensieri del popolo nella metro de “Il cielo sopra Berlino”; li tra il popolo, nei frammenti di pensieri e nei dialoghi de “Il cielo sopra Berlino” ci sono individui nella loro pienezza ontologica, qui in Sole Cuore Amore sono delle macchiette, delle caricature. I mezzi dove viaggia – e dove muore infine- la protagonista di Sole Cuore Amore sono dei musei delle cere senza vita interiore, senza un’io interiore narrante che ci narri qualcosa dell’essenza umana, del suo sè più profondo . A me i dialoghi di Sole Cuore Amore mi hanno ricordato quelli dei fotoromanzi anni 70. E prima ancora forse manca proprio un soggetto che si regga realmente in piedi, qui c’è una idea di storia intorno ad un fatto di cronaca che è rimasta dal punto di vista dell’arte narrativa alla stato di idea senza sufficiente verifica di coerenza del testo, senza sufficiente lavoro di scrittura. E su questo si è fatto il film. Allora forse era meglio un documentario su questo fatto realmente accaduto da cui prende spunto il film.
Forse Vicari dovrebbe cominciare a lavorare con degli scrittori, anche, invece di voler fare tutto da solo quello che non sa fare a mio avviso molto bene: Scrivere. Ricordandosi che il cinema è anche parola , e lavoro corale anche nella fase di scrittura. Scrivere a più mani è cosa che hanno spessissimo fatto i giganti del cinema, come Wim Wenders per l’appunto in collaborazione con Peter Handke, con risultati straordinari, e perché mai lo hanno fatto ? Forse perché è una cosa necessaria? Certo, mi si dirà, si può anche vivere di un cinema medio-barra-mediocre, è una scelta rispettabile anche quella, sono d’accordo, ma si può anche decidere, avendone i mezzi e le qualità , di cambiare passo, di crescere dal punto di vista artistico e di decidere di portare se stessi a un nuovo livello più intenso e più complesso lasciando intervenire nella propria opera altre creatività. Vicari per questo salto avrebbe tutte le carte in regola.
Ad meliora et maiora semper