Festival di storia Genova 2001 :Una lettera rivelatasi profetica – scritta come testamento politico in caso di uccisione durante le giornate genovesi del 2001 e spedita al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 7 luglio del 2001- I documenti esclusi dal VI° festival di storia – Genova 2001 di Nuovo Cinema Palazzo a Roma
Ieri , venerdì 20 maggio 2016, si è aperto a Roma il VI° festival di Storia – Genova 2001, organizzato da e nel Nuovo Cinema Palazzo , in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio ( Alessandro Portelli) e il Seminario di Storia dei Movimenti, sulla vicenda di Genova 2001; a tal proposito pubblico in questa nuova rubrica dal titolo -Retrospezioni-, inaugurandola, aperta su Young proprio al fine di aprire una finestra su cose lontane, per poter pubblicare documenti o articoli su eventi passati, riprendere questioni che hanno ancora un interesse o semplicemente per poter riguardare sotto la lente del presente eventi dimenticati, una lettera che io spedii all’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e al Genoa Social Forum prima di andare a Genova con i disobbedienti e dove stetti dal 18 al 21 luglio vivendo tutte quelle drammatiche giornate di cui nel festival si tratterà a Cinema Palazzo, come testamento politico in caso fossi restato ucciso dalle forze dell’ordine durante una di quelle giornate . Questa lettera fu spedita con A/R e dunque acquisita con una ricevuta di ritorno dalla presidenza della repubblica, essa è dunque archiviata tra i documenti della Repubblica Italiana, nell’archivio delle lettere ai Presidenti della Repubblica.
Ma per un assurdo e osceno veto degli organizzatori del festival, in modo specifico la dirigenza di Nuovo Cinema Palazzo, a non farmi vedere mai più al Cinema Palazzo e di cui parlo in quest’altro articolo più dettagliatamente, non la troverete tra i documenti accessibili a chi in questo festival vorrebbe conoscere le cose su quelle drammatiche vicende: viste le intimidazioni che ho ricevuto a non farmi vedere a Cinema Palazzo e addirittura a cancellare anche i post sui miei profili social in cui parlo di questa cosa, ho deciso, come doveroso atto di “antifascismo” di renderla pubblica e accessibile sulle colonne di Young –del resto di un “fascismo” esistenziale nella sinistra parlava già Nicola Chiaromonte negli scritti giovanili, nulla di nuovo sotto al cielo insomma– testimoniando cosi da un parte quanto fu comunicato alla Presidenza della Repubblica da un esponente del movimento che scendeva in piazza a Genova e dall’altro invece testimoniando, denunciando pubblicamente questa violenza repressiva politica appena ricevuta, i paradossi interni di un movimento che a mio avviso ha da tempo fallito perché non ha saputo garantire una vera partecipazione diretta in maniera realmente democratica ai processi decisionali per motivi di potere e meschini interessi personali o di gruppi, e che fa delle belle parole che si leggono anche scritte in occasione del festival falsa moneta. E’ ovviamente la mia opinione questa, libera, liberamente espressa nonostante le pressioni, per il momento in via amichevole, come mi scrive il leader del Cinema Palazzo nel messaggio nella foto, e poi vedremo magari cercando di convincermene con ausilio di spranghe o caschi, a non osare parlare delle loro eminenze, insomma idea personale e confutabile.
Ricordo dunque che a proposito di questa intimidazione a sparire dagli orizzonti del festival, del Cinema Palazzo addirittura, esilio permanente, e di questa eliminazione dalla storia del movimento di una persona che come me è stata attrice e testimone delle giornate di Genova 2001, e dei processi che ad esse hanno portato, e che ha prodotto scritture, opere e testimonianze in quanto artista ed intellettuale “militante” dell’allora movimento No Global, ne scrivo dettagliatamente all’articolo appunto linkato, e ciò proprio come atto di storicizzazione soprattutto di una dissidenza interna al movimento, che si vorrebbe seppellire viva e invece quando sarà messa sotto al vaglio dello storico vero e imparziale si rivelerà essere stata, io la vedo proprio così, forse l’occasione mancata, l’occasione uccisa, e perché la mia storia personale è importante solo ed esclusivamente in quanto rappresentativa e paradigmatica di innumerevoli altre dissidenze, di cui sono stato testimone diretto, che si sono infrante una dopo l’altra contro le “lobby” o i gruppi di potere che hanno monopolizzato il movimento uccidendone la pluralità: cosa questa che dopo aver riflettuto per un quindicennio sono ormai intenzionato ad affrontare definitivamente attraverso la redazione di un libro a breve sulla mia storia di dissidenza nel movimento e che inizio proprio dalla redazione di questi articoli sulle colonne di young.
Mi limito per adesso qui, nella rubrica retrospezioni, alla nuda pubblicazione di questa lettera come documento politico di Genova 2001. Avrei voluto certo che questa lettera fosse stata acquisita come documento da accorpare per la difesa degli imputati del processo di Genova convinto che avrebbe prodotto una qualche differenza. Purtroppo la mancanza di possibilità di dialettica reale all’interno del movimento, chiedendo ostinatamente la quale mi sono procurato questi feroci odi testimoniati dal messaggio del dirigente di Cinema Palazzo, è il mio punto di vista, non ha reso possibile questo importante contributo anche sul piano giudiziario oltre che storico. Aggiungo la considerazione che se una pallottola avesse ucciso allora il sottoscritto, che manifestava nello stesso momento in cui fu ucciso Giuliani e a poche decine di metri di distanza, ovviamente oggi questa lettera per un fenomeno di spettacolarizzazione e mercificazione sarebbe già a tutti nota. Invece è restata oscura negli archivi del Quirinale, negli schedari della digos e bloccata dalla cecità politica e dall’infantilità culturale dei paralizzanti gangli di potere sparsi lungo il corpo fluido del movimento di cui Cinema Palazzo, ha appena dato, scagliandomi addosso la fatwa a non farmi vedere mai più nei suoi spazi, -quasi una allegoria di un territorio isis interdetto al cane infedele al Dio unico- un esempio scientifico.
Al lettore che voglia arrivare fino in fondo a questo testo e alla luce dei contenuti in esso espressi chiedo solo di trovare un brandello di razionalità nei comportamenti di queste aeree del movimento che invece di includere le differenze , omettono, che vogliono la monocoltura al posto della vitale biodiversità, e che omettendo scientemente, con volontà e consapevolezza documenti come questo di fatto violano il diritto alla conoscenza , alla pluralità e alla partecipazione diretta: esattamente il contrario di quanto scrivono nel manifesto del festival. Tutto ciò avviene poi in un paese disperatamente regresso, culturalmente decaduto, e so benissimo che questi scritti non produrranno nemmeno un incremento di noia, già saturante ogni ambiente, nelle essiccate intellighenzie statali e/o spettacolari. Figuriamoci una presa di posizione dagli artisti, tra cui tanti cari amici, che in questi luoghi poi trovano quegli spazi per esibirsi che altrove il sistema spettacolare gli nega, per eccedenza di produzione, o gli rende difficile avere: tranquilli signori artisti, continuate a fare tranquillamente finta di nulla, non è richiesto il vostro sacrificio.
Gramscianamente, dall’eccesso di tempo delle invisibile carceri culturali, nelle segrete dell’ignavia Italiana, –tempo eccedente si ma brodskianamente controbilanciato dalla mancanza di uno spazio/azione politica negato dalla prepotenza “muscolare” delle organizzazioni monopolizzanti la cittadinanza politica e la politica dal basso– scrivo solo per un utopico altrove e soprattutto per la Storia. Senza demordere. Guardando per attingere respiro alle forze di resistenza morale di uomini come Gandhi , Mandela, Pertini, e quant’altri, quali numi tutelari di tutti i gracili e fragili lottatori dell’impossibile. Ecco il Documento.
DEL RAPPORTO DELLA MIA LIBERTA’ POLITICA CON L’ESSENZA DELLA REPUBBLICA E DEL RAPPORTO DI QUESTA CON IL VERTICE DEL G8
LETTERA APERTA DI UN GIOVANE ITALIANO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E AL MOVIMENTO DEL GENOA SOCIAL FORUM.
Roma 7 luglio 2001
Sono un giovane uomo italiano. Desidero esprimere al Presidente della Repubblica Italiana, se non vado errato ex combattente partigiano, e al movimento del Genoa Social Forum le mie idee a proposito della mia libertà politica e della sua relazione con il fondamento della Repubblica e della relazione di questa con il vertice del G8. Non sono un teorico della politica, né un filosofo, non sono niente se non un cittadino della Repubblica Italiana, il che è un titolo più che sufficiente per parlare. È proprio quello che c’è scritto sopra i miei documenti: Repubblica Italiana.
In questa lettera vi saranno soventi ripetizioni di alcuni concetti fondamentali. Ripetizioni tanto più importanti quanto più la propaganda di certa stampa e dei mass media è martellante e ossessiva con i suoi di concetti diffusi con mezzi di comunicazione di massa. Queste mie idee possono certamente essere confutate con quegli strumenti raffinati che la demagogia avvezza ad una lunga tradizione storica ha a disposizione; esse rimangono comunque i princìpi che mi porteranno all’azione politica, cioè a recarmi a Genova e contro il G8. È bene che si conoscano. Specialmente dopo che i fatti svedesi mi possono far temere per la mia vita. Se dovessi rimanere ucciso da “qualcuno” che perde la testa ma non l’arma automatica che ha in mano, nessuno, conoscendomi, e sapendo perché ero in quel posto, potrà affermare che ero un teppista, una canaglia, una piuma dell’ala violenta, o un neohooligans, nessuno potrà, dopo avermi sommariamente giustiziato, tacciarmi di delinquenza. Il tema della libertà politica meriterebbe certamente un trattato, i trattati del resto su questo tema sono gia stati scritti e sono serviti anche per fondare le repubbliche moderne, io li ho in parte letti trasformando la mia disoccupazione in ozio produttivo. Da Aristotele a Montesquieu, da Toqueville a Hannah Arendt, tutto in questi tempi è in profondità contro le idee di Giustizia e Liberta (ideali molto cari, se non sono ancora in errore, alla gioventù del Presidente) e dell’eguaglianza e della virtù. A tutto sembra coincidere, nel profondo, non sempre in superficie, questo Stato italiano, nelle descrizioni dei trattati sulla repubblica e sulla libertà politica, tranne che ad una vera Repubblica; questo Stato nella sua essenza e nella sua tendenza – stando ai fatti che accadono- corrisponde piuttosto, nella teoria politica che mi è nota, a forme statuali orribili e tradisce, di fatto, la volontà popolare del referendum del 46, la Resistenza e la Costituzione. L’educazione civica e quella politica sottratte alle generazioni dal dopoguerra – avremmo saputo cose che ci avrebbero indotto a non ritenere liberazione e libertà coincidenti, e ci saremmo perciò dati da fare- hanno gettato, crimine premeditato, sul popolo, che fiduciosamente ha delegato l’educazione dei propri figli ai governi, la tenebra dell’ignoranza e della superficialità; la memoria non ha cantato nelle orecchie delle generazioni a venire. Creando con ciò le favorevoli condizioni di un gravissimo reato, l’abuso della credulità popolare. Nonostante ciò non tutto è andato perduto, quand’anche nell’incapacità di articolarlo dialetticamente, alcuni, per mancanza di mezzi culturali che gli sono stati deliberatamente sottratti negli anni della formazione, il popolo, una parte importante di esso, non ha smesso di sapere intimamente cosa è che deve conquistare e cos’è che non può più accettare. Questo è anche il popolo del Genoa Social Forum.
Amici e Presidente vengo alla questione.
È ormai chiaro che quella che doveva essere una manifestazione di dissenso alle politiche economico-ambientali (e non vi sarà spazio in questa lettera per articolare l’imperativo categorico dell’ecologia per garantire futuro al mondo) che si vorrebbero in qualche modo ratificare nel vertice del G8, organismo questo che si vorrebbe presentare come uno spazio politico entro i cui ambiti discutere ma che manca di quella legittimazione elettiva del popolo che istituirebbe appunto la rappresentatività dello stesso, come è per il parlamento, e che non diventa tale, in una Repubblica, per la semplice presenza di persone legittimamente elette per altri mandati, è dunque chiaro dicevo che quella che poteva, più che doveva, essere una forma dialettica tra il vertice e il controvertice, quest’ultimo nella forma della petizione portata con la manifestazione del dissenso, non ha più motivo alcuno di essere. Di fatto, il dissenso si è o si deve trasformare in una necessaria e drammatica affermazione di qualcosa che è la precondizione a qualsiasi consenso o dissenso stessi, cioè alla dialettica democratica.
La militarizzazione della città e la sottrazione di ampie sue parti alle leggi e alla natura della Repubblica (ben diversa cosa da un ordine prefettizio) che affermano la libertà politica (diritto di riunione, diritto di manifestazione, diritto di parola, diritto all’azione entro gli ambiti della sfera pubblica) e i diritti civili (diritto di libera circolazione); l’omissione, al momento di questa scrittura, di servizio logistico per l’assistenza e l’accoglienza delle decine di migliaia di cittadini anche contribuenti; il terrorismo di ampia parte della stampa che ha diffamato, di fatto, la società civile ventilando anche un progetto violento ed eversivo (la famosa ala violenta) nel Genoa Social Forum; il preventivo, sempre su certa stampa, di migliaia di feriti a cui si starebbero preparando gli ospedali dell’intera regione; il gravissimo tradimento dei patti stipulati dai governi in nome dei popoli europei che si sono costituiti in una unione senza frontiere con lo strumento di democrazia partecipativa referendario, la sospensione cioè del trattato di Schengen; tutto ciò fa’ compiere uno scarto enorme al senso del controvertice.
Qualcosa di drammatico si profila all’orizzonte.
Quello che (è di poche ora la tragedia del giovane cittadino colpito dal fuoco della pubblica (?) sicurezza in Svezia -nazione che mi chiedo come potrà mai più conferire premi nobel per la pace) è in gioco oggi in Italia, a Genova, e in Europa, non è più il dissenso, cruciale e vitale esso stesso per le sorti del mondo, dai progetti economico-politici dei governi in sede G8, (dissenso, tra le tante cose, della stessa natura politica di quel consenso che tramite le elezioni, pur attuate da un popolo a cui è stato selvaggiamente devastato il deposito del sapere, legittima i governi stessi e per il quale i candidati politici spendono fatiche loro e denari pubblici) quello che è in gioco, e che è la condizione senza la quale non vi può essere alcuna dialettica tra rappresentanti politici e rappresentati politicamente, a meno della servitù di questi ultimi, cioè di chi votando da autorità e potere alla classe politica, è la libertà politica stessa; questa cosa. La più alta, la più importante, la vera libertà dell’uomo, in senso di umanità, quella libertà che determina col suo esserci o meno la condizione dell’uomo stesso, schiavo o libero, cosa animata o essere umano, instrumentum vocalis o zoon politikon: senza vie di mezzo. Libertà positiva fatta di azione, pacifica dove essa sia effettivamente istituita, e parola entro gli ambiti della sfera pubblica, non entro quella privata dove questa libertà sarebbe evidentemente altro, ma specificatamente nella sfera pubblica, sotto gli occhi degli altri, sia essa nel parlamento, sia nelle piazze (l’agorà, il foro), che sono l’eidos originario del parlamento stesso. Libertà che gli uomini agiscono per stabilire i termini della loro convivenza nel mondo, nel paese o nella città. Libertà politica che è consustanziale alla natura della forma statuale che si chiama Repubblica, libertà politica che fa di tutti i cittadini della repubblica essenza e corpo dello Stato stesso. Libertà istituita in Italia, quanto meno come fine da perseguire, è quanto ci avrebbe dovuto dire l’educazione civica che non ricevemmo, con l’atto della fondazione della Repubblica Italiana e sancita dalla Costituzione. Libertà politica le cui radici sono state irrorate dal sangue dei caduti della resistenza, sacra e inviolabile.
Libertà politica senza la quale l’uomo diventa un animale capace solo di parlare nel buio della propria dimensione privata ma immancabilmente muto nella sfera pubblica, parola (e azione) che soltanto nel suo essere pubblica, inter homine esse, diventa azione politica. Libertà politica senza la quale la condizione antipolitica della violenza torna ad essere il deus ex machina di ogni cosa.
Ecco il bivio a cui siamo arrivati, la posta in gioco. Difendere la libertà politica. E con ciò arrestare il regresso in atto a Genova ma in potenza in tutta Italia e in Europa che vede una ormai conclamata tendenza degli uomini di governo a trasformare la Repubblica in dispotismo seppur edulcorato in superficie dalle varie glasse dei diritti civili: piombo dorato.
Perché dispotismo? Lo spiego nel più breve modo che mi è concesso dal tema e dai limiti delle mie capacità, ahìme, di autodidatta: la giustificazione (la doratura del piombo, la excusatio non paetita) della militarizzazione della città di Genova e la sottomissione di vaste parti del suo territorio, che prima di tutto è territorio della Repubblica, a misure eccezionali e militari come il coprifuoco o divieto di accesso e transito come dir si voglia, è quella della necessità di garantire la sicurezza dei primi ministri riuniti in vertice (senza mandato popolare per farlo, vertice che perciò, come direbbe Seneca, è un luogo dove è lecito (per non violare la legittimità) non andare ma da cui non è lecito (senza averla compromessa) tornare.
Questa operazione di sicurezza nel suo ipertrofismo, nel suo gigantismo di dodicimila agenti più i vari reparti dell’esercito addestrati alla guerriglia, si trasforma concretamente in una occupazione militare che sottrae di il territorio da essi presieduto alla legge della Repubblica che sancisce la libertà politica del popolo; ora, come dice Montesquieu, “quando in un governo popolare, le leggi hanno cessato di essere poste in esecuzione, siccome ciò non può dipendere che dalla corruzione della Repubblica, lo Stato è gia perduto“. È chiaro che Montesquieu parla della legge costitutiva della Repubblica stessa, e non di possibili decreti o ordinamenti prefettizi di varia natura, parla di leggi che sanciscono il principio della Repubblica stessa, per questo ci dice che corrotta questa, lo Stato è perduto. Ora quale sarà mai quella legge che tutela il principio costitutivo della forma statuale qualsiasi essa sia? Forse in primo luogo della conservazione del corpo dello Stato stesso; e quale è il corpo dello Stato di una Repubblica? Il capo del governo? Se cosi fosse questo Stato sarebbe dispotico, il parlamento soltanto? Avremmo uno Stato aristocratico. Il capo dello Stato più il parlamento?ma questo assomiglia fin troppo a una monarchia. Soltanto il parlamento, più il capo dello Stato più alcuni potenti signori? Sarebbe una oligarchia. Qual è dunque il corpo dello Stato in una Repubblica, che significa (in latino res) cosa (pubblicae) di tutti? Non è forse, articolato anche nelle proprie istituzioni, il popolo ? Ora violare la libertà politica del popolo è più chiaro che significa innanzi tutto corrompere la Repubblica, perdere lo Stato; la libertà politica del popolo del resto non è un principio a cui si possa applicare il concetto di maggioranza o minoranza, essa è violata, e con ciò è corrotto lo Stato, quando si viola anche solo la libertà politica di uno; cioè di agire e parlare nella sfera pubblica entro gli ambiti costituzionali. In che modo dunque l’apparato di sicurezza del G8, coincidendo con lo spazio pubblico in cui il popolo vuole, e deve, esercitare la libertà politica, la violerebbe in modo dispotico piuttosto che eventualmente sospenderla senza distruggerla? Semplicemente per due fatti: il primo che in una Repubblica nessuno incarna in se stesso lo Stato e la Legge, cosa che appunto accade nella forma statuale del dispotismo dove morto il despota muore lo Stato stesso, dove la legge è la legge del despota e nessun magistrato potrebbe applicarla ne interpretarla nell’impossibilità di conoscere la sua volontà intima. Solo in questa forma di Stato, senza limite alcuno che la volontà stessa del despota, difendere a tutti i costi l’uomo despota significherebbe difendere lo Stato stesso, solo in questo caso è giustificata l’occupazione armata, e l’instaurazione del principio di sicurezza, come legge assoluta, della città ove il despota si recasse, in base al proprio capriccio, al fine di garantirne con la sua sicurezza la sicurezza dello Stato stesso, solo in questo caso l’occupazione armata della città non violerebbe la legge dello Stato poiché questa coincide con la sua volontà: “La conservazione dello stato, non è che la conservazione del principe o piuttosto quella del palazzo dove è rinchiuso“. Il secondo fatto è che una operazione di sicurezza compatibile con la eventuale sospensione della libertà politica del popolo senza distruggerla, in una Repubblica, può essere solo in due casi precisi: il primo è in una cessione da parte del popolo dello spazio pubblico della Repubblica a una forma istituzionale in cui questa libertà politica sia esercitata in rappresentanza proprio di quella libertà politica del popolo e in quel luogo delegata ai rappresentanti al fine di farne un organo politico esecutivo, ed è il caso questo del Parlamento, ad esempio, che non mi sembra mai essere stato oggetto di violenza da parte di nessuna delle pluralita’ del Gsf, le quali se volessero aggredire le istituzioni in quanto tali non avrebbero certo dovuto aspettare la non istituzione del G8; il secondo invece è rappresentato da fattori come calamita naturali o sanitari per cui la libertà politica che qualcuno eventualmente volesse esercitare in quella contingenza dovrebbe, senza esserne distrutta, temporaneamente essere sospesa per un fattore di oggettiva necessita’ indipendente dalle volontà personali di qualcuno e al preciso fine di proteggere il corpo dello Stato stesso dal pericolo, cioè quella parte di popolo in quel luogo minacciata dalla calamità stessa. Ora il vertice sedicente G8 non coincide né con il primo né con il secondo caso. Esso non è spazio politico ceduto e costituito in istituzione né dal popolo né dal Parlamento. Coloro che vi partecipano non sono inoltre incarnazioni dello Stato (la Costituzione è chiara: le cariche pubbliche non sono incarnazioni ma affidamenti e rappresentazioni) . E’ dunque uno spazio occupato dalle private volontà dei ministri che vi partecipano la cui carica istituzionale legittima non ha nulla a che vedere con la legittimità del vertice (come a dire che dal momento che otto pompieri si ritrovassero in un ristorante a parlare d’incendi dal quel momento ritenessero il ristorante una caserma e vi volessero istituire le regole del corpo, sarebbero delicatamente invitati ad una seduta dallo psicoanalista) Di fatto questi ministri hanno però dei poteri che, legittimi entro certe forme contemplate dalla costituzione, gli permettono, grazie ad un evidente annichilimento del meccanismo del bilanciamento dei poteri che garantiscono la Repubblica dalle derive autoritarie, di violare la legge. Non avendo carattere di necessità e non avendo carattere di legittimità, la sicurezza personale dei ministri in quel contesto non coincide né con la sicurezza dello Stato, che in una Repubblica è costituita dalla garanzia della libertà politica del popolo, né con la sicurezza dell’istituzione visto che il G8 non lo è una istituzione. A questo punto la sicurezza degli otto ministri è solo la sicurezza personale di chi, ritenendo che il principio della propria sicurezza possa violare la libertà politica del popolo, ritiene con ciò di incarnare lo Stato e che perciò identifica la propria volontà con la legge che così non viola. La sua sicurezza diventa la sicurezza dello Stato, il popolo scarnificato della sua statualità diventa il nemico potenziale. A mio avviso è un atto contro lo Stato. (l’articolo 16 della costituzione è ad esempio incisivo a tal riguardo:Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanita’ o sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche (…) , e a Genova mi pare che si tratti proprio di queste ultime (le ragioni politiche) che determinano il motivo reale delle limitazioni di circolazione e soggiorno e conseguentemente della distruzione dei diritti politici dei cittadini.
Nessuno può permettersi infatti in uno Stato repubblicano ai fini della propria sicurezza personale, quando questa non coincida con quelle necessità che coincidono con la conservazione del corpo dello Stato stesso di cui ho poc’anzi parlato, di privare il popolo della sua libertà politica e dei suoi diritti civili che sono l’essenza stessa di questa forma statuale che scegliemmo (che sceglieste anche) in Italia nel 1946 con il referendum, la Repubblica Italiana, senza con ciò portare una aggressione allo Stato stesso: inoltre la forza della Repubblica, ma questo è detto solo in eccesso di senso e entro gli ambiti della pura teoria politica, è anche nel fatto che se una istituzione viene attaccata nella persona di un ministro che viene ucciso, muore l’uomo e il cittadino ma non muore ne il ministero ne l’istituzione; essa in una vera Repubblica, in una Repubblica sana, è immortale proprio perché corpo dello Stato è il popolo tutto e la Legge, proprio per questo le armi del terrorismo sono vane contro una Repubblica, mentre invece rappresenta un pericolo mortale per essa la distruzione del deposito della Legge (la Costituzione) attuata da quel processo apparentemente minimale di quegli uomini politici che portano il senso delle forme statuali del dispotismo nel cuore della Repubblica (art 139-la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale), figuriamoci quindi oggetto di una revisione de facto, cioè coloro i quali tendono ad identificarsi col corpo dello Stato stesso, ad incarnarlo: più essi lo fanno, più si espongono ad apparire –e, come dice Hannah Arendt, apparire ed essere in politica sono la stessa cosa– come obiettivi strategici del terrorismo: più il popolo lo permette più perde la potenza invincibile, contro eventuali disegni di destabilizzazione, di essere esso stesso il corpo dello Stato. Nel modo di Genova i “capi” di governo, con il loro agire, che è l’agire libero da vincoli del despota, fanno allo Stato repubblicano, che è il popolo italiano con le sue legittime istituzioni, quello che essi, comportandosi come se incarnassero lo Stato, temono qualcuno potrebbe fare loro: lo stanno annientando devastandone la natura politica: come lo ebbe a dire ad Edipo che, maledicendolo, cercava l’assassino di suo padre, Tiresia potrebbe dire loro, con la calma della fatalità: quei terroristi che temete siete voi stessi.
In una Repubblica, a mio avviso, l’eguaglianza del popolo non è tanto nelle condizioni sociali, certamente anche queste importanti e obiettivo da perseguire, ma nella libertà politica, solo questo è il vero senso, sempre secondo la mia ragione, del motto – la legge è uguale per tutti-; è proprio l’appartenenza di tutti alla libertà politica che crea le condizioni di una Legge che è la Legge del principio della Repubblica, il suo nomos costitutivo, l’essere cioè cosa di tutti, e questa deve essere considerata sacra e inviolabile. L’esigenza di sicurezza di chi non ha nessuna legittimità costituzionale e democratica come il famigerato vertice di Genova, non può e non deve mai entrare in contraddizione con la sicurezza della Repubblica stessa e con l’essenza del suo principio fondamentale; che il corpo dello Stato è il popolo e la sua libertà politica il bene supremo. Tra le due sicurezze, quella del vertice e quella del corpo dello Stato, poste in termini di contraddizione, va certamente sospesa la prima con la semplice rinuncia della messa in atto delle condizioni di creazione del pericolo e di una conseguente esposizione ad esso, che a sua volta minaccerebbe la libertà politica del corpo dello Stato. Se il vertice, ammesso in teoria, rappresenta un pericolo per chi lo fa. Il vertice, non essendo una necessità oggettiva e generando condizioni distruttive per la libertà politica del corpo dello Stato, va o sospeso o subordinato alla libertà politica del corpo dello Stato stesso . Lo stesso discorso vale per il tradimento (chiamato sospensione), del trattato di Schengen, che anche in questo caso soltanto in uno stato dispotico “uno solo, senza legge e senza regola, trascina tutto con la sua volontà e i suoi capricci“. Anche qui la classe dirigente politica europea, i massimi vertici di essa, educano subdolamente i popoli alla mancanza di legge, dunque al dispotismo, la quale è tradita perché vengono meno i vantaggi ambientali per cui essa corrispondeva soltanto al vantaggio di particolari interessi, e con tale tradimento si attenta al principio stesso della legge: che essa è un patto che una volta preso determina i fatti e non è determinato più da essi. Ma attenzione : scrive Montesquieu “in un governo in cui non bisogna avere altro sentimento che la paura tutto conduce di colpo, e senza che lo si possa prevedere, alle rivoluzioni“: io dico che la paura sorge dove la legge, specie quella costituzionale, tramonta .
Aggiungo poche ultime considerazioni di carattere secondario prima di chiudere.
Impiegando le forze pubbliche dell’ordine, che sono popolo che dovrebbe difendere il popolo, che probabilmente obbediscono senza comprendere che stanno agendo contro il corpo dello Stato che insieme a essi stessi è il resto del popolo che deve realizzare la propria libertà politica, perché hanno fiducia in chi li comanda senza accorgersi di essere i primi ad esser traditi in questo senso, per scopi politici invece che di reale pubblica sicurezza ( ricordo l’art. 16 della cost.) -i dodicimila agenti sono intanto sottratti alle reali necessità di lotta alla criminalità, cioè al pericolo oggettivo mentre quello del vertice è una proiezione soggettiva dei vertenti- si provoca sentimento di ostilità popolare verso il proprio stesso corpo, si getta il seme della discordia civile, si mette in crisi (crisis in greco significa scelta) il popolo intero, cosa ignobile, perché sono nel giusto essi che obbediscono all’istituzione; sono nel giusto essi che esercitano e difendono la libertà politica: manifestare, prendersi cura della cosa pubblica, agire da Stato è nella natura dello Stato che è ovunque sia agita libertà politica di popolo: civile quando nessuno con la violenza gliela impedisce. Ciò rappresenta esattamente la virtù repubblicana (art 54). L’ordine prefettizio che imporrà la zona rossa e la zona gialla, veri e propri stati dispotici all’interno della Repubblica Italiana , è un ordine che va contro il principio costituzionale che sancisce che l’Italia sia una Repubblica . E il popolo che manifesta è la Repubblica; è Costituzione in atto di libertà politica; il vertice , illegittimo e perciò privata volontà, è invece il despota.
Tra il dispiegamento di questa immensa macchina repressiva (il cui dichiarato scopo di impianto di sicurezza mi sembra ormai aver chiarito essere falso e perciò illegittimo ,nella misura in cui questo è uno Stato la cui forma è la Repubblica) da una parte e tra la campagna mass mediatica dall’altra (e io credo che quasi tutti agiscano in buona fede senza essersi resi conto di aver preso una strada diabolica, ma lascio questo ottimismo al tempo che trova) si stabilisce poi, e purtroppo, un rapporto preciso, questo rapporto diventa una legge che è ciò che consegue in base alla natura delle cose poste in relazione: questa legge è la legge del terrore, che invade l’intera repubblica. La stessa legge che presiedeva come la sfinge di Tebe ai regni moderni del male, il nazismo e lo stalinismo. Legge del terrore che è il principio assoluto del despota, il quale teme tutti e da tutti e temuto. In una Repubblica questo non dovrebbe mai accadere: che tale legge venga istigata da parte del governo il quale non la dovrebbe mai deliberatamente instaurare, perché questa legge distrugge il principio della fiducia che tiene coeso e forte lo Stato, cioè il popolo dal cui seno soltanto verranno i presidenti , i parlamentari, i cittadini di domani.
Infine la tanto sbandierata violenza dei giovani del movimento credo che sia in ampia parte predeterminata da chi illegalmente abusa e adopera strumenti democratici come la pubblica sicurezza per compiti di repressione della liberà politica istituendo territori di senso via via incostituzionali e profondamente antirepubblicani, istigando con ciò al rancore reciproco società civile e forza pubblica, i quali alla fine rimangono impressionati più dalla conseguenza degli scontri piuttosto che dalle cause, le quali, se non gli sfuggissero nel loro senso profondo, è cioè che qualcuno forse potrebbe speculare sul loro rancore, dovrebbe indurli a intraprendere un dialogo, un reciproco patto di rispetto, a ritessere tra di essi quel tessuto civile che qualcuno ha lacerato. Non sfugge ad una tranquilla riflessione che possa anche essere gradita la speranza degli scontri di piazza, del rancore tra le parti del popolo, a chi sa di essere fuori dalla legittimità, cosi parrebbe purtroppo, come l’organo del vertice, il quale ritrova un barlume di apparenza legittima (ricordiamo sempre la Arendt: in politica apparire ed essere sono la stessa cosa) facendosi coincidere, soltanto a posteriori, quando la violenza si è effettivamente scatenata -tra l’altro, dispiace dirlo ma va ricordato, la storia è piena di provocatori di regime che hanno lavorato, mischiati ai manifestanti, per innalzare i livelli di scontro al fine di giustificare la repressione- all’oggetto reale della pubblica sicurezza: essi cioè adoperano a propria legittimazione la repressione spettacolare, o la spettacolarizzazione di essa , di quella stessa violenza di cui essi stessi hanno posto le condizioni necessarie violando la libertà politica entro gli ambiti di uno spazio incostituzionalmente militarizzato e con ciò precipitando il corpo dello Stato nella condizione antipolitica che è appunto quella della violenza, quantomeno della sua possibilità. La costruzione, direi, questa di un vero e proprio detonatore la cui polvere è certamente rappresentata dalla frustrazione della libertà politica del popolo. Vero che vi è violenza e violenza, e certissimo che vi è sempre violenza dove si nega la libertà politica, che è sempre civile, perché la libertà politica è l’antitesi della violenza stessa o altrimenti non è, e che perciò essendo questa libertà politica una conquista che va mantenuta, sempre nella storia vi è stata piuttosto violenza che parola; vi fu la violenza nazifascista e vi fu la violenza partigiana, vi fu la violenza dei bombardamenti alleati sulle città italiane, fu esercitata si disse per riportare la civiltà e la pace in Europa; vi fu la violenza di Milosevic e quella di Saddam e vi fu la violenza dei bombardamenti NATO che fecero le loro migliaia di vittime innocenti, tra cui donne e bambini, necessarie si disse alla causa della pace e della giustizia. Insomma certo è che la violenza rimane un problema non dei giovani, semmai, del movimento, ma del mondo da cui fin da bambini la hanno prepotentemente avuta sempre a modello, anche culturale e preminente in quella televisione pubblica e privata, dove il sangue scorre in continuazione, di cui tanto si e discusso ultimamente, tanto che sempre Montesquieu amava dire ” non sono le nascenti generazioni che si degenerano; esse si perdono soltanto quando gli uomini fatti sono già corrotti“.
La violenza, realmente , fuori della demagogia e dalla speculazione mass mediatica, rimane un problema della condizione dell’uomo e forse anche il suo enigma ma sicura è una cosa: che tra tutte le forme statuali la Repubblica è certo una delle migliori risposte che gli uomini gli abbiano mai dato e perciò essa è ancora più sacra.
Quindi se il governo che appunto non è il corpo dello Stato, anzi , la maggioranza di governo, che non è nemmeno il parlamento nella sua interezza, anzi se il capo della maggioranza del governo che non è nemmeno la maggioranza stessa ( governo che è fatto infine di uomini che possono corrompersi, pervertire, impazzire, degenerare, delinquere o soltanto sbagliare ma anche in maniera drammatica per il paese) dunque se questa parte del governo non riesce a persuadere il popolo che sequestrare una città con un apparato poliziesco e militare, privandolo con ciò della sua libertà politica, è secondo la Legge, perché la Legge, che fortunatamente non è in loro, è anche sotto gli occhi del popolo stesso (la legge, la Costituzione, e non gli ordini prefettizi che possono avere senso solo se non sono in contraddizione con la Costituzione, altrimenti diviene solo un ordine dispotico esercitato con l’uso degli strumenti di violenza), se il governo compie dunque questa azione contro il principio dello Stato repubblicano e se il popolo di conseguenza insorge, sebbene con la disobbedienza civile pacifica ma ferma, a difesa dello Stato, che è consustanziale alla garanzia della libertà politica del popolo, ove non vi siano i termini di Legge stessa che la possano sospendere senza distruggerla, se perciò insorge per difendere la Legge che ,come dice Montesquieu, “deve, in tutti i tempi, mortificare l’orgoglio del dominio” e se per questo è pronto anche all’abnegazione della propria incolumità fisica, di chi si dirà che ha determinato le condizioni dello scatenamento della violenza? Di chi difende la Repubblica dalla minaccia di dispotismo o di chi con “l’orgoglio del dominio” viola la libertà politica del paese?
Del resto siamo abituati: non furono forse chiamati criminali i Partigiani dal nazifascismo e tutti coloro che lottarono contro le dittature in tutto il mondo? Si dirà che il popolo che manifesterà a Genova non è tutto il popolo? il popolo è sempre tutto laddove esso lotta per la libertà politica dell’uomo. Ma se si dirà questo si sarà detto che anche i Partigiani non erano tutto il popolo. Resta il fatto che la Liberazione scarcerò moralmente, e anche fisicamente, l’intero paese dal nazifascismo. Resta il fatto che la Resistenza -combattuta da una minoranza- è il valore e il principio della fondazione della Repubblica Italiana e il fattore prepolitico, direbbe la Arendt, che costituisce il principio a cui la nostra Costituzione attinge la sua autorità.
E se in Italia fu il fascismo, esso fu anche perché, come dice il Carlo Rosselli in Socialismo Liberale, nessuno si mosse per tempo, per il retaggio forse di servitù secolari a cui l’Italia aveva abdicato la propria dignità politica, perché gli aventiniani non seppero agire, perché soltanto uno tra essi continuava a dire che ogni quarto d’ora che passava era un tradimento alla patria.
Un’ultima cosa: giungono notizie dal vertice. Pare che il vertice sia disposto al dialogo con il popolo. Una puntualizzazione: il popolo nella sua forma di manifestazione costituzionale e nel suo esercizio della libertà politica, nel suo essere cioè il corpo dello Stato, ha tutto il diritto di parola. Il vertice, organismo illegittimo e dispotico, non può in nessun caso parlare al popolo adoperando i mezzi della violenza seppur mascherata da idee di pubblica sicurezza per imporgli regole che non ha il diritto di emanare. Tra popolo e vertice chi può permettersi di concedere parola è soltanto il primo (i tribunali, ricordiamo, aprono i dibattimenti ed emettono sentenze in Italia con la formula “in nome del popolo italiano” e non del governo)
Il vertice viola la costituzione, viola la libertà politica del popolo, usa gli strumenti democratici come le forze dell’ordine pubblico per scopi di repressione politica, attentando con ciò al principio trascendente che rende legittimo il parlamento stesso e perciò attenta allo Stato e alla Repubblica.
Perciò io non ho nessuna intenzione di dialogare con esso: esso semplicemente non ha le carte in regola per essere.
Per questo a Genova vi andrò innanzi tutto per affermare la Repubblica stessa, prima ancora che per affrontarvi quei problemi che in origine, se nessuno avesse attentato alla mia libertà politica, avrei voluto affrontarvi. Perché è soltanto in una libera Repubblica, nel pieno della mia libertà politica, che io posso con gli altri occuparmi dei termini in cui noi uomini vogliamo convivere nel mondo stesso in nome della Giustizia e della Libertà e della conservazione della terra per le generazioni a venire.
E vi andrò con la bandiera della Repubblica Italiana, Repubblica di cui cittadino -sovrano e suddito al tempo stesso- ne porto la piena responsabilità, Repubblica, torno a ripetere per una ultima volta, di cui il più intimo fondamento costitutivo è la libertà politica del popolo.
Vi saluto amici del Genoa social forum. Restando ferma la mia volontà pacifica ma anche la mia ferma volontà di non rinunciare giammai alla libertà politica, saluto anche lei Presidente con la speranza di vederla attivamente dalla parte di quelli che il 20 luglio difenderanno, insieme al mondo e al suo futuro, anche quella Repubblica, ideale dimora della Giustizia e della Libertà, che lei stesso ha contribuito a fondare e oggi presiede e per la quale in gioventù scelse la via della resistenza e della disobbedienza al regime, e con essa la libertà politica senza la quale non si possono affrontare né i grandi temi del presente e futuro né la civile convivenza di oggi.
David Colantoni –
Ps.Art 54 della costituzione: tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la costituzione e le leggi.I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (…).