Inaugura oggi a Roma, con un spettacolo che sarà ripetuto solo domani, la monumentale opera dell’artista sudafricano William Kentridge, Triumphs and Laments. Trionfi e lamenti sulla storia di Roma attraverso una lunga panoramica popolata da circa ottanta figure che emergono dallo smog dell’argine destro del Tevere, sul muraglione tra Ponte Mazzini e Ponte Sisto.
È un’opera tanto grandiosa quanto effimera che, secondo gli stessi calcoli dell’artista, scomparirà nell’arco di circa sei o sette anni. Le figure e i personaggi rappresentati da Kentridge, infatti, sono stati realizzati con il solo uso dell’idropulitrice sul nobile e romanissimo travertino bianco, dove la tecnica dello stencil, tanto cara alla street art, fa comparire questo moderno affresco dalla patina grigia di muffa e smog che ricopre l’intero lungotevere, un’opera di rinnovamento urbano e di arte pubblica prende vita da un luogo spesso dimenticato addirittura dagli stessi abitanti di Roma.
Il mondo dell’arte di Kentridge è un mondo di oggetti e persone comuni in continua metamorfosi, un universo in bianco e nero. Un teatro di ombre. Una narrazione sinfonica mista a drammi privati, che trovano nella tecnica antiquata dell’animazione un mezzo espressivo di rara carica emotiva e straordinaria capacità introspettiva.
I personaggi che popolano questa nuova narrazione romana rappresentano personalità legate al Novecento romano, non necessariamente celebri e gloriose. Tante sono le figure anonime, quelle che non compaiono nella Storia raccontata, ma che quella Storia l’hanno fatta. Tante altre invece sono legate a fatti di cronaca sia rosa che nera, ma che comunque hanno avuto un ruolo per la cultura della città; dall’assassinio di Pasolini, a quello di Aldo Moro, fino ai rappresentati della Dolce Vita. A questo va aggiunto che la forma che assumono queste raffigurazioni deriva in parte da immagini e simboli dalla cultura artistica romana e non solo, come la colonna Traiana, la lupa, l’arte di Goya e Mantegna e tutti i riferimenti naturali per William Kentridge. Ciò rispecchia una chiave narrativa tipica dell’artista sudafricano.
In linea con la visione frammentaria e disomogenea della Storia, tipica della concezione Postmoderna, l’arte di Kentridge si basa sul principio che non è la narrazione a catturare, ma il tempo della narrazione. In tutta la sua produzione (dai film animati realizzati con disegni a carboncino fino alle serigrafie, alle installazioni e alle opere multimediali), Kentridge riflette sulle meccaniche non lineari del tempo, sulle infinite variabili probabilistiche e possibilistiche sottese al prima-durante-dopo. L’artista rifiuta le false certezze del tempo convenzionale (il tempo cronologico e lineare scandito a uso e consumo dell’uomo metropolitano) e sceglie di indagare un tempo dilatato, elastico, slabbrato, dove il presente non è che un’oscillazione tra passato e futuro. Lungi dal risolversi in un’operazione nostalgia (nessun vagheggiamento romantico sul tempo perduto) la sua ricerca si concretizza in visualizzazioni del tempo delle possibilità, quelle infinite potenziali variabili cui sono soggette le azioni; nell’opera Triumphs and Laments viene così a palesarsi il conflitto tra compiutezza e incompiutezza, in un continuo avvicendarsi di affermazioni e ritrattazioni, sottolineature e cancellature, strato su strato, metafora della molteplicità degli eventi di cui è fatta la storia tutta.
In questa occasione, attraverso un’opera “consapevole” della propria essenza effimera, in una sorta di anti-monumento, che esprime la piena consapevolezza da parte dell’artista dell’ineluttabilità del tempo. Il Kronos greco che sbrana senza pietà i sui figli e che condanna senza possibilità di replica qualsiasi traccia umana.
Tuttavia nel tempo delle possibilità di Kentridge tutto avviene, è già avvenuto e avverrà secondo modalità plurime. Tutto è temporaneo, quindi tutto può essere salvato e può risorgere. Il cattivo può diventare buono. Tutte le possibilità sono aperte.