9LETTERA AI DIRETTORI DE L’ESPRESSO E DE IL FOGLIO
Caro Direttore Vicinanza
Sarò brevissimo. E’ uscito sul suo giornale pochissimi giorni or sono, un articolo di Roberto Saviano “In nome di Regeni, il reato di tortura“ che voglio anche linkare qui per l’importanza della questione, ovvero sia che la morte, anzi, che l’efferato assassinio di Giulio Regeni, deve essere l’occasione giusta affinché in Italia non si possa mai più venire ammazzati in quel modo, come è accaduto a molte,troppe persone. Abbiamo fatto petizioni popolari e raccolte di firme e lottato anni per questo e chi scrive è anche uno passato per Genova 2001, e insomma definirsi paese democratico dovrebbe avere al primo posto l’assunto che qui non si tortura, che torturare è un reato, che chi osa alzare la mano su un prigioniero, su un corpo in custodia pagherà pesantissime conseguenze.
Però le voglio scrivere anche per chiederle di spiegare al suo autore Roberto Saviano, che ha pubblicato il suo articolo dopo due mesi che ha ricevuto, da me spedito, come può bene vedere dalla schermata del twitter, il mio articolo “Giulio Regeni chiede il reato di tortura” , pubblicato il 15 febbraio del 2016, che non comprendere in una riflessione l’identità di chi quella riflessione l’ha fatta e resa pubblica, sebbene su una modesta rivista rispetto alla potenza dei mezzi dell’Espresso è un atto che culturalmente è più affine alla natura dei paesi dove le persone si eliminano e si fanno sparire che a una civiltà della democrazia dove l’altro ha diritto ad esistere e ad esprimersi .
La parola Plagio è una parola che a me sinceramente non interessa molto, ha troppo a che fare con la proprietà, mi interessa molto di più la
parola Eliminazione, che invece ha a che fare con l’identità, e mi interessa perché è sommamente più grave e politica del furto di una idea, di un pensiero. Appropriarsi , quando se ne è a conoscenza ovviamente, che poi può certamente capitare di pensare parallelamente le stesse cose senza saperlo, ma in questo caso abbiamo inconfutabili comunicazioni a disposizione, di una idea senza citare chi prima di noi l’ha espressa in un articolo, un saggio, o in un opera in genere, significa prima ancora che impossessarsi del suo pensiero, eliminarne l’autore dal presente.
L’Espresso è una testata nazionale e ha mezzi potenti per raggiungere i lettori ovunque. E’ dunque investito della responsabilità di costruire quella che potremmo chiamare la versione ufficiale del presente, definizione che prendo da Brodskij che l’aveva usata per farci comprendere cosa facevano i regimi quando impedivano che gli autori e il loro pensiero fosse conosciuto e diffuso. E lui che dello Stalinismo aveva vissuto gli ultimi colpi di coda a sua volta, questa definizione, la aveva ricevuta in eredità, da quegli autori come Nadezda Mandelstam, che io conosco proprio grazie al fatto che Brodskij la citi, questo per dire l’importanza della citazione come atto di riconoscimento politico tra autori, e come trasmissione di saperi, autori, dicevo, che avevano raccontano gli inferni patiti da poeti e scrittori sotto Stalin come, insieme a lei stessa, suo marito, morto a 37 anni nel Gulag di Voronez, il poeta Mandel’stam.
Perciò l’Espresso, come tutti coloro che hanno la responsabilità dei grandi mezzi, deve decidere che tipo di versione vuole cercare di dare del presente. Se vuole costruire un presente inclusivo o un presente dove si eliminano le identità culturali non dotate di mezzi di distribuzione potenti come quelli che l’Espresso mette a disposizione dei suoi autori. Deve decidere se questi mezzi sono armi di eliminazione o strumenti di coinvolgimento.
In un paese dove gli altri non si eliminano li si comprende, per quanto riguarda la sovranità, nella partecipazione democratica ai processi decisionali, cosa per cui si stanno battendo le persone ad esempio in Egitto e in altri paesi, e per quanto riguarda la sfera pubblica, se si ritiene che ciò che per primi gli altri hanno portato all’attenzione della collettività, in quanto idee, sia veramente importante, come parrebbe tanto da scrivere una copia di ciò che si è eliminato, allora li si coinvolge in un dibattito semplicemente riconoscendo il loro pensiero come loro , e a quel pensiero rispondendo o sviluppandolo o discutendolo, senza eliminare le loro tracce dalla questione che essi hanno posto per primi. Ovverosia facendo ciò che ogni persona di cultura apprende a fare, citare gli autori, che è una pratica che è immanenza stessa della cultura. Citare un autore significa non eliminarlo dalla versione ufficiale del presente. Rispondere ad un autore aprendo un dibattito, invece che eliminarlo dalla sfera pubblica appropriandosi antropofagicamente del suo pensiero , significa rendere il proprio presente un presente molto meno compatibile con le eliminazioni fisiche, come quella che ha assassinato Regeni, da parte di chi vuole controllarlo in maniera totalitaria.
Quanto scritto sopra, saluto anche lei Caro direttore Cerasa, dicasi anche per Il Foglio a cui, all’account dello stesso direttore è pervenuto il mio articolo, dove rivolgendomi al presidente della repubblica lanciavo l’idea di chiamare la legge contro la tortura Legge Regeni, quotidiano Il Foglio, su cui 4 giorni dopo l’invio al suo direttore del mio intervento, usciva l’articolo di Sofri che, 19 Febbraio, propone di fare una legge e chiamarla Legge Regeni . Anche egli eliminandomi dal presente, e facendosi padre di una idea che invece era già nata
Ora poteva anche accadere un sincero non conoscere, un non sapere ma dal momento che questi articoli sono stati inviati alle signorie vostre da me stesso , sono autorizzato a protestare contro la vostre pratiche eliminatorie e di alterazione del presente politico e culturale della nazione pratiche che giustificano culturalmente la mancanza in Italia di leggi contro la Tortura. Si tratta proprio di una coerenza lampante tra politica e cultura ufficiale purtroppo.
La grande Stampa, cioè voi, avete ignorato il mio testo, completamente, ignorato in quanto mio ovviamente, e probabilmente, se questo è il metodo, anche tutti gli altri testi, che non a me ma a voi potrebbero essere pervenuti, che hanno magari preceduto me e sicuramente voi, testo il mio, che, tra l’altro, ha espresso in maniera più esplicita di tutti gli altri che ho letto concetti importantissimi a sostegno dell’urgenza di un reato di tortura che non sono invece stati posti sufficientemente in essere da altri articoli, vi prego di verificare e comparare voi stessi. Inoltre solo ora che vi siete anche voi appropriati del corpo di queste idee, la sfera pubblica, che è sotto la vostra egemonia, una egemonia data dai mezzi, non conquistata con il valore delle idee, dispone, si accorge e si interessa di ciò che avrebbe potuto elaborare e discutere già mesi fa se aveste degnato, è solo un esempio, l’invio del mio articolo e magari anche di altri, di una vostra risposta invece che di una azione di eliminazione e possesso, insomma avete di fatto ritardato con l’ostracizzare, o con l’eliminare dalla versione ufficiale del presente diciamo meglio, il mio intervento, per poi rilanciarlo voi invece, il dibattito nazionale su questo punto. Dovreste capire che, proprio con la potenza dei vostri mezzi, potreste essere punto di riferimento di una pluralità di pensieri e di una costellazione di collettività intellettuali che invece ora cancellate dalla versione ufficiale del presente; dei leaders intellettuali invece che degli oppressori culturali; potreste essere a capo di un movimento di rinascita culturale, aprendo il “das publikum” kantiano alle idee –che ora sono represse da questo ostracismo che non possiamo chiamare censura ma che di fatto funziona come una censura– invece che finire come sicari il lavoro di neutralizzazione della cultura iniziato anni or sono nelle nostre società. Guardate dovrebbe esserci un piccolo commutatore da qualche parte lì nel vostro essere, capace di quel piccolo magico click in grado di scatenare i Rinascimenti, quando al posto della negazione dell’altro si accende il desiderio di conoscerlo. Fateci caso, magari lo trovate . Sarebbe un grande bene per tutta la collettività.
Restando fermo il punto che è una ottima cosa che tutta la stampa e gli intellettuali premano adesso per il reato di tortura che è quello che ci preme, vi invito un’ultima volta prima di salutarvi a riflettere seriamente sull’affinità ontologica tra eliminazioni culturali e fisiche, innanzi tutto come espressione sempre di una prepotenza verso una debolezza. Eliminazioni che desertificano il paesaggio culturale che potrebbe invece prosperare se cessassero i certi “ostracismi” verso gli indipendenti, facendo riguadagnare a questo paese la sua vitalità culturale da cui poi discenderebbero molte altre strategiche vitalità.
Ritengo che le questioni aperte su questa circostanza siano questioni di grande importanza culturale, che travalicano le nostre anagrafi, e per questo ho deciso di metterle per iscritto in questa brevissima lettera. Voglio testimoniare anche il bisogno di difendere le proprie identità culturali come se fossero quelle altrui, cioè strenuamente, perché un autore, qualsiasi autore, è sempre in parte patrimonio della collettività, come un dovere innanzi tutto politico.
Vi saluto.