Salvare gli animali e perdere l’anima
Guardo su Facebook la pagina di Animal Equality, improvvisamente mi è apparso un loro post. La prima cosa che penso di questi esseri umani che lottano per gli animali è che rappresentano qualcosa di veramente straordinario nella storia sociale umana. Nel vedere apparirmi il post mi sono ricordato di un breve filmato , che vidi tempo fa; c’èra un camion di trasporto di maiali fermo –forse fermato da loro stessi– sotto al sole in un torrido caldo , le telecamerine insinuate dagli attivisti tra le roventi sbarre di alluminio del camion ci mostravano la indicibile agonia di queste creature viventi, di cui alcune, con occhi sprofondati nel terrore, meno resistenti al supplizio, erano riverse ansimanti a terra in preda a un dolore biologico terribile. Le fauci secche, e, suppongo, con una fortissima tachicardia, stavano soffrendo insieme al terrore di quello che succedeva loro, una sete atroce. Quello che stavano subendo i loro corpi, le loro biologie –volendo tralasciare altro– solo una volta era stato inferto, in massa, sugli esseri umani, dai nazisti su persone, soprattutto, ma non solo, di religione ebraica nei treni e nei campi di concentramento. Questo disprezzo del sentire con il corredo morale ed emotivo dell’intelletto il dolore del corpo biologico altrui, questo infierire, questo algido inebriarsi, questo gelido orgoglio della competenza nello strutturare una inappuntabile macchina di sterminio, è cosa loro. Bisogna pagare al nazismo tutti i diritti d’autore e citarli ogni volta che ci si trova davanti alla organizzanizzazione della morte, l’infliggere-morte-come-industria, è di questo che sto parlando, Non importa di quale specie. C’è poco da dire.
Ad un certo punto di questo filmato, che purtroppo non sono riuscito a rintracciare in rete, si vede una giovanissima ragazza che, il braccio infilato tra le sbarre, accarezzando un maiale che non poteva salvare da quell’orrore, piangeva delle lacrime che non dimenticherò mai più.
C’era la vergogna di appartenere ai seviziatori, di essere figlia di quella specie che stava sottoponendo quelle bestie a quel supplizio e c’era la compassione, una pietà impotente. Si vedevano alcuni animali che bevevano avidamente alle bottiglie che lei ed altri ragazzi stavano rovesciando tra le sbarre di questo trasporto bestiame, era l’unica e l’ultima volta, avevo pensato guardando, che nella loro disgraziata vita, a parte i primi giorni in cui erano stati per qualche ora felici creature attaccate al seno di una madre, erano stati trattati come esseri da altri esseri. La mano di quella ragazza piangente è appoggiata sulla pelle dell’animale seviziato. Lo accarezza. Non so esprimere bene la forza di questa pietà tra due esseri al tempo stesso profondamente uguali e profondamente diversi.
Ogni volta che mi capita di osservare queste persone che lottano per difendere delle creature animali dalle sevizie, irrinunciabili per l’industria a causa dell’ideologia del perseguimento della massimizzazione dei guadagni -poiché evitare la sevizia permanente negli allevamenti rappresenterebbe costi- inflitte loro dalla industria della morte, che però vorrebbe ideologicamente essere giustificata a sua volta dalla necessità di sfamare le popolazioni, e che si scontra anche con una tradizione inveterata di diverse centinaia di migliaia di anni di cultura carnivora, rimango attonito e stupefatto dal loro cammino che è al tempo stesso proveniente da una origine ancestrale e comune di ogni creatura e invece proiettato verso una civiltà lontanissima da venire, ma che è l’unica forma di compimento dell’umanità. La concessione dei propri diritti non solo a tutti gli uomini, traguardo questo nemmeno teoricamente raggiunto sulla terra, ma a tutte le creature che l’uomo riesce a percepire appunto creatura. Purtroppo mi sovviene che inversamente solo gli esseri umani rischiano la disumanità.
essere a conoscenza della sevizia di creature, senza parlare dell’esperienza del terrore che la scienza ci dice essere una esperienza perfettamente uguale in noi e nei mammiferi ad esempio, con la consapevolezza e con la coscienza che la vertigine del dolore anche solo biologico dei loro corpi, è uguale alla vertigine del dolore di qualsiasi torturato umano a cui vengano strappate le unghie o che venga sgozzato vivo, fa di chiunque questa conoscenza la digerisca e se la lasci alle spalle come l’oggetto di una indifferenza, un fallito. La maggior parte di noi è, speso suo malgrado o non accorgendosene, questo fallimento, siamo questa grettezza, questa barbarie, la maggior parte di noi vedrà i meravigliosi ceselli d’oro della propria anima, della propria intellettualità o della propria arte, declinazioni dell’umanità, divorate, butterate e marcite da questa ruggine interiore.
Noi rovistanti sugli scaffali di un supermercato tra le membra di questa carneficina di incredule creature che solo per essere nate tra di noi hanno alzato, da noi uccise, un urlo di dolore verso il cosmo più intenso di un vento stellare e che fa di questo pianeta azzurro, il luogo di un permanente orrore, siamo queste schiere plumbee incatenate una all’altra dalle nostre illibertà su disneyniane circonvallazioni di montagne russe attraversanti l’inferno. Atroci da vedere se riuscissimo a vederci.
La ragazza piangente non il maiale ma insieme al maiale perché è destino comune l’essere sulla terra, piangendo lui il suo andare al patibolo di un mattatoio lei il suo vivere testimone di questa atrocità, resterà nella trasparenza del mio sguardo un capolavoro raffigurato della chiesa umana nel mistero dell’universo, uni-verso che se è uno appunto ci condanna senza appello come mostri.
Ci sfugge di mano la vita. Ci sfugge di mano tutto. Questo ci comprende gli uomini e le donne che si costituiscono come istituzione. Come cultura, come civiltà.
L’industrialismo ci ha costretti anche alla industria della morte. Alla industrializzazione della tortura e della sevizie sui corpi e sulle vite di creature viventi che è vero non esperiscono linguaggi astratti ma che sappiamo senza ombra di dubbio essere dotate di uno spettro complesso delle emozioni e dei sentimenti. Abbiamo interrotto i rapporti che avevamo stretto profondi anche con gli animali di cui ci nutrivamo, abbiamo interrotto ogni possibilità di dialogo tra le nostre differenze e quindi abbiamo perso le differenze, nutrirci è diventato crimine contro l’umanità perché ci disumanizza e perché ci ha coinvolti in una colpa non emendabile, colpa dalla cui punizione ci protegge, o la cui punizione attenua questa fragile catena umana di eroi che sanno lottare per le vittime dell’olocausto animale senza arrendersi al correre senza muoversi come in incubo che è sfidare miliardi di esseri umani di cui la maggior parte affamati come demoni, morenti di fame, una fame accecante ogni voce spirituale e ai quali ormai non si bada altrimenti che gettando loro in pasto i corpi di queste creature straziate negli allevamenti lager e sgozzate vive nei megamattatoi delle megalopoli. Sono cosi pieno di questa colpa e soprattutto di questa inedia aberrante, che scriverne è come vedere suppurare una ulcera profonda. Mi dispiace.
Io , persona a bassissimo reddito, cosa questa che mi rende vulnerabile alla complicità con una serie di misfatti ,e qualche orrore, sociali, perché l’innocenza e la purezza in un sistema sociale altamente integrato e integrante costa anche parecchi soldi, non ho ancora, sebbene stia cercando ricostruirmi in questo senso, la forza morale ne intellettuale di dissociarmi in maniera integrale e definitiva da questo nutrirmi anche di esseri che son stati innanzi tutto fatti nascere in stato di sevizia, che sono vissuti in stato di sevizia e che sono stati assassinati a mezzo di sevizia, sebbene i miei accessi al network della loro distribuzione sia rappresentabile con un diagramma continuamente discendente. E forse queste parole oggi vergate mi faranno fare un quantico salto in questa emancipazione, cosi sia.
Ma non volevo affatto, anche se è stato impossibile non farlo, all’apparizione del post di animal equality, scrivere questa confessione, no, volevo invece registrare l’appena percettibile movimento, come dell’ago di un sismografo nella mia coscienza, nei riguardi di tutto ciò, di una scossa percepita proveniente come da una frattura abissale, lontana ancora dallo scatenare in superficie la forza distruttiva della sua onda, nella bellezza umana degli individui che hanno cosi limpido nello spirito il da farsi di questa lotta disperata per la liberazione di miliardi di animali dalla sevizia come unica dimensione di esistenza innanzi tutto.
Ed è questa percezione il vedere come anche queste persone spiritualmente cosi alte stiano subendo una
metamorfosi, per il momento a livello di istituzione, ovvero nella propria organizzazione, che nel ricevere l’aggressione ambientale dei codici dominanti vi reagiscono con un principio di processo di ipostatizzazione, di fanatismo, di estetizzazione propagandistica percepibile nella confezione dei loro messaggi di reclutamento e di autofinanziamento, nella struttura dei linguaggi anche visivi ( testimonial molto carini, penetranti nel consenso spettacolare, modalità standard delle tecnologie della persuasione pubblicitaria nelle strutture semantiche dei messaggi con cui si può vendere il dentifricio come promuovere appunto l’animalismo) che mi abbagliano gli occhi di un ulteriore incubo anche più incandescente, e cauterizzante.
Il poter registrare l’attestarsi nei linguaggi della organizzazione dell’attivismo animalista della nascita di vero e proprio conformismo ai linguaggi spettacolari per produrre consenso mediatico come un principio di catastrofe di questo altissimo umanesimo, giustificato inconsciamente , io cosi penso, dal machiavellismo, creduto necessario per una causa suprema, è questo qualcosa che i miei sismografi percepiscono essersi rotto nella profondità di questo scopo.
Perché la distanza tra quella militante di cui parlavo del video, che magari ho solo sognato, estemporanea reincarnazione di San Francesco, nel suo piangere insieme ad una creatura animale in stato di inaudita sofferenza, e la emulsione linguistica, nella applicazione del principio della divisione del lavoro che ormai investe tutti i piani della nostra esistenza, prodotta dai reparti addetti alla comunicazione di un movimento come Animal Equality , che come tutti i movimenti ha anche una potenziale tara , o meglio una predisposizione genetica di poter sviluppare in qualsiasi momento anche una natura nazistoide, nazistoide nel senso di raccoglimento di grandi masse mobilitate dalla assolutezza totalitaria di un terribile ideale -creare la razza perfetta, istituire la dittatura proletaria o salvare tutti gli animali del mondo – esercito un diritto di paradosso in questa affermazione assurda-, tralasciando da questa salvezza ad esempio i 16.000 bambini,dico le stime ONU, che muoiono ogni giorno sulla terra, anche direttamente uccisi e seviziati, che sono completamente estromessi e dimenticati fosse anche solo per essere anche animali essi stessi, dalla teoria di salvezza degli animali, –altro diritto di scrivere l’ assurdo questo che mi arrogo di esercitare,- (e inoltre anche le salvezze divise come il lavoro, nelle sue varie specializzazioni invece che essere salvezza per tutte le vittime, dunque sono lavoro ); e scopo terribile perché invocante palingenesi, un ricominciamento; indica, questa distanza dicevamo, anche la trasformazione della coscienza in machina, automatismo che nel costituirsi non è in grado di comprendere il significato del suo stesso scopo per cui venne in essere mezzo per perseguirlo. Machina anche cominciante a drenare e canalizzare importanti – se non enormi- flussi di denaro e potere, e quindi improvvisamente illuminantesi come oggetto di desiderio agli occhi di potenti e possenti predatori sociali forniti degli adunchi artigli della scienza del dominio.
Guardo con un minimo shock estetico il linguaggio propaganda di questo movimento spirituale, assomigliante, il linguaggio estetico intendo, a codici di altri movimenti, perfezionati poi nell’essere stati , questi codici e altro, raccolti come armi ai vinti (Hannah Arendt Docet) dalla terza onda ( Perniola docet) del capitalismo trionfante, che si sono elevati teoricamente verso l’alto cosi tanto da perdere il baricentro e ribaltarsi poi sulla schiena come un mostruoso scarafaggio , mostruoso per la sua bellezza interiore di creatura senziente divenuta questa deformazione anelante a una presa sulla terra e sulle cose, perduta e irrecuperabile. Corpo visibile mostruoso e irrelato al proprio spirito. Un creatura kafkiana. Una aberrazione.
Ho letto questo nei post di equality stasera “Siamo pronti a rendere il 2016 un anno straordinario per gli animali. Ecco i progetti internazionali che abbiamo in serbo per loro” , rimugino, “che abbiamo in serbo per loro” “che abbiamo in serbo” ma che magnifica volontà di potenza.
Non posso non dire che questo tipo di linguaggio tossico, che non è pero che uno degli standard dei linguaggi della società dello spettacolo del feticismo della merce , questa splendida entrata in scena, questo andare in onda da programma televisivo anni 50 “..un anno straordinario per gli animali...” – che è linguaggio grottesco a fronte del tragico reale patito dalle mute vittime della industria della morte animale e della vita animale permanentemente seviziata nel suo essere irriducibile al divenire semplicemente merce per il nutrimento- che questa concrezione di slogan altamente patologizzante non genererà mai nessuna elevazione spirituale e nessuna evoluzione vere. Potrà solo mobilitare masse, masse tecnicamente pronte però anche a cambiare convinzioni e slogan come si cambiano le punte ad un trapano e in qualsiasi momento.
Mentre bisognerebbe invece resistere, non vi è altro modo, con ogni forza al conformismo ai linguaggi –anche visivi– mercantile- spettacolari e feticistici, bisognerebbe proteggere e praticare a tutti i costi i linguaggi che scendono nella profondità delle cose dolorosamente, i linguaggi difficili, faticosi e ardui, tanto quanto le lotte che si vorrebbero non solo intraprendere ma anche sostenere.
Salvare gli animali e perdere l’anima è una cosa che non si può fare.