Putin, inviando i Fanti di Marina in Siria, rimette al centro il paradigma dell’attore razionale e cerca di salvare Bashar al-Assad e Barack Obama
Vladimir Putin ha deciso di giocare pesante sul tavolo mediorientale, mandando ‘aiuti umanitari’ in Siria, per sostenere il governo legittimo di Bashar al-Assad e, allo stesso tempo, per cercare di salvare (con acume tecnico) capre, caproni (americani e dei Paesi del Golfo) e cavoli.
I Fanti di Marina sbarcati a Latakia per mettere un cordone di protezione attorno all’aeroporto indicano che la decisione di sostenere la Siria contro l’Isis, al-Nusra, i ribelli moderati e tutta la marmaglia jihadista di ogni estrazione e paranoia, è decisiva per rimettere in piedi un sistema internazionale che emargini le pulsioni transnazionali, ossia l’esercizio di poteri statuali in modo irresponsabile sotto il profilo politico, ma soprattutto irrazionale sotto il profilo istituzionale e sul piano bellico.
Quello russo è un intervento che in modo palese tende a salvare Bashar al-Assad, l’oculista prestato alla Storia del Medio Oriente; ma anche Barack Obama, il più fallimentare presidente statunitense in politica estera, tanto da essere considerato un ‘cazzaro’ (liar, bugiardo, come un ministro italiano dell’Interno qualsiasi) perfino dall’intelligence community, che ne ha recentemente contestato i toni ottimistici della campagna contro i jihadisti del sedicente (e autoproclamato) Stato Islamico dell’Iraq e di al-Sham (ISIS).
Allora ci si deve chiedere se la Russia di Vladimir Putin può giocare un ruolo di play maker nello scenario mediorientale e quali effetti si possano innescare. Un quadro che rende conseguente un ulteriore interrogativo: può scoppiare uno scontro Russia-NATO in Siria?
Da quanto registrato nelle ultime ore, la Russia sta cercando in tutti i modi di evitare ogni incidente: le incursioni aeree della Coalizione Internazionale contro l’Isis a guida Usa potrebbero ‘intrecciarsi’ con quelle russe contro lo stesso obiettivo (compresa al-Nusra, eccetera). Perché sia evitato ogni ‘incrocio pericoloso’, è indispensabile che Usa e Russia si parlino, concordino una prossemica militare tale da evitare ‘sgomitate’ pericolose.
Esattamente quel che Sergej Lavrov, valido ministro degli Esteri di Putin, ha invitato a fare nelle ultime ore, in attesa che l’opinione pubblica americana (e i germi sono più che evidenti) spinga l’Amministrazione Obama a involvere la Russia nella lotta contro il nemico comune (dell’Umanità).
Escluderemmo l’ipotesi che leadership russa sia stata presa da effluvi di buonismo internazionale: dietro questo atteggiamento di Putin ci sono almeno due motivi. Anzitutto lo sforzo di far tornare Mosca sulla scena internazionale come attore globale. In subordine, il tentativo di riportare il sistema internazionale a un funzionamento logico (per quanto mosso da interessi confliggenti) attorno al paradigma dell’attore razionale. Per questo quello russo è un tentativo neorealista delle relazioni internazionali.
La Russia è un attore globale per definizione, ma vive una realtà complessa per una molteplicità di cause, la prima delle quali la mancata transizione verso un sistema democratico compiuto. La ricchezza di materie prime del Paese è stata oggetto di accaparramento da parte della mafia della nomenklatura ex sovietica, che ha usato in ogni dimensione possibile il potere per arricchirsi.
La crisi ucraina, in un quadro di difficoltà russe, è scoppiata perché gli scienziati e gli apprendisti stregoni del Dipartimento di Stato sotto Obama e Kerry (e in precedenza sotto Rodham Clinton) avevano focalizzato un obiettivo: svilire la Russia a potenza regionale, spingendo sulla leva storica e andando letteralmente a pisciare nel giardino russo da 200 anni: appunto l’Ucraina.
Questo tentativo è al momento fallito e potrebbe avere successo se l’America – tradendo ogni valore e ruolo storico – ingaggiasse la Russia in un conflitto simmetrico in Europa, che diverrebbe la vittima sacrificale delle visioni folli dell’attuale establishment Usa.
Putin sa però che sventare un attacco incosciente non significa vincere la partita. Per questo motivo ha deciso di rilanciare la posta, aprendo il tavolo da gioco in Medio Oriente.
I mastodontici Antonov-12 da trasporto hanno sorvolato Grecia (Paese NATO) e Iran per portare ‘armi e bagagli’ in Siria. Ma il dispiegamento in Siria non è solo pro-Assad, ma anche di vera e propria stabilizzazione del quadro, perché coinvolge l’Iran, l’Iraq (influenzato dalla leadership sciita iraniana) e i Paesi del Golfo, che temono una supremazia strategica di Teheran sulla Regione. Anche per il ruolo russo di fornitore tecnico dell’Iran nella questione iraniana.
La mossa russa quindi tende a ridare ruolo allo Stato nazione (di marca europea) in Medio Oriente, contro ogni ipotesi di espansione di realtà transnazionali in attori proto-nazionali con velleità imperiali: il sedicente Stato Islamico niente altro sarebbe che un Impero Ottomano ricostituendo, che avrebbe come obiettivo di espansione la Turchia, la Siria, il Libano, la Palestina tutta (Israele e Territori Occupati), le Petro-Monarchie del Golfo e i Paesi dell’Africa Mediterranea.
Scenario che diverrebbe da incubo per tutti – compresa la Russia, che conosce il jihadismo ceceno nel Nord del Caucaso – perché l’Isis ha mostrato di essere un attore irrazionale: avendo per obiettivo l’erezione della ‘Città di Dio’, non ha limiti di potenza, non ha limiti di estensione, non si pone limiti all’uso di mezzi. Il fine prevale sui mezzi.
Da questa realtà è conseguita la violazione di tutte le norme di diritto internazionale di guerra, anzitutto le Convenzioni sui prigionieri e il trattamento di civili non combattenti. Atrocità che vanno al di là del concetto di crimini contro l’Umanità: cieca e gratuita barbarie.
È noto che l’Isis è un’organizzazione ‘scoppiata di mano’ ai propri creatori, soprattutto grazie ai cospicui finanziamenti ricevuti dall’Arabia Saudita e dal Qatar e il sostegno indiretto e contro-natura della Turchia (altro Paese NATO). Questi Paesi hanno pagato un prezzo per non essere sovvertiti dalla furia e dalla barbarie jihadista? In mancanza di documenti, non possiamo che basarci sull’osservazione dei fatti da fonti aperte: il supporto ai barbari tagliagole è nei fatti e il dato religioso fondamentalista e ‘rivoluzionario’ – nell’accezione di Ibn Taymiyya di ritorno al ‘vero islam’ – è del tutto evidente.
L’effetto paradossale dell’intervento russo in Siria sarebbe dunque molteplice: salvando Bashar al-Assad, Putin cercherebbe di ripristinare un sistema razionale di relazioni internazionali, di salvare Obama (per la seconda volta) da una figuraccia storica (con tragiche conseguenze), di combattere un’escrescenza storica come il jihadismo islamista e, con un’esibizione di proiezione di potenza, di riportare alla ragione l’intero Medio Oriente (ridando verve al ruolo globale di Mosca).
Probabilmente le ex province dell’Impero Ottomano subiranno nel prossimo futuro un cambiamento di assetto. L’intervento russo però sostiene l’importanza di attribuire ogni scelta agli attori razionali, ossia agli Stati nazioni retti da leadership legittime (anche perché tali riconosciute), ma soprattutto non irrazionali.
Per rendere chiaro cosa si intenda per razionalità nelle relazioni internazionali, va ricordato che l’equilibrio del terrore che consentì al sistema Bipolare Ovest-Est di non esplodere in un conflitto nucleare che avrebbe polverizzato il mondo, fu assicurato da un paradigma, il MAD, Mutual Assured Destruction, ossia la Distruzione Reciproca Assicurata.
In cosa consistette il Mad? Nel fatto che Usa (e alleati) e Urss (e alleati) sapevano di non poter sopravvivere all’eventuale avvio di una guerra nucleare, perché entrambi i fronti erano capaci di sferrare un ‘secondo colpo’: ossia una rappresaglia nucleare strategica su larga scala, come risposta a un attacco nucleare.
La migliore strategia – nel pieno rispetto della Teoria dei Giochi e del classico Dilemma del Prigioniero – si rivelò dunque quella win-win: la cooperazione nel terrore teorico e la posposizione della guerra su piani non strategici. Per questo motivo la ‘Guerra Fredda’ è considerata da alcuni storici la ‘Terza Guerra Mondiale’.
Il ‘funzionamento’ del Mad si verificò attraverso il meccanismo della deterrenza nucleare: l’Urss infatti collassò di fronte all’azzardo di Reagan di rispondere allo schieramento degli SS20 sovietici (puntati sull’Europa) con il dispiegamento dei missili tattici Cruise sul fronte Sud della NATO. Questa scelta mutò lo squilibrio strategico e spinse i sovietici ad aumentare le spese militari a livelli tali da causare l’implosione del sistema. Formalmente, tutto avvenne senza sparare un missile nucleare, perché vigevano almeno quattro presupposti del MAD:
- La razionalità di entrambi gli attori principali (i capi delle due ‘compagnie di giro’);
- La conoscenza delle rispettive intenzioni razionali;
- La convinzione di essere considerati razionali dalla controparte (esempio concreto: la ‘linea rossa Casa Bianca-Cremlino);
- La conoscenza della conoscenza dell’opinione che la controparte ha di sé (io so che tu sai che io so).
In Siria e Iraq non funziona alcuno di questi quattro presupposti, perché uno degli attori principali – il jihadismo islamista – agisce in termini non razionali e per il conseguimento di obiettivi non politici, non terreni, ma messianici e ultra-terreni: interpreta il Corano come parola di Dio e ne impone i precetti con la forza bruta al resto del mondo (in prospettiva).
Vladimir Putin – che, a differenza di Barack Obama e di molti leader europei, ha combattuto durante la Guerra Fredda e conosce la brutalità jihadista per averla sperimentata anche sugli innocenti bambini di Beslan – vuole prendere molti piccioni con poche fave: rinverdire il ruolo mondiale della Russia (che la Storia le assegna, non una lotteria del Kentucky), riportare la scena internazionale a un ordine multipolare organizzato e i cui attori siano razionali.
Dovremmo tifare tutti (razionalmente) per il successo del tentativo russo di far ragionare tutto il resto degli attori operanti in Medio Oriente.