I numeri, meglio di tutto, aiutano a comprendere come Alexis Tsipras, il leader anti-austerità, sia stato costretto alle dimissioni.
L’annuncio è arrivato a poco più di 6 mesi dal suo insediamento, quando aveva promesso battaglia e 45 giorni dopo il trionfo referendario. Quella che sembra una resa parziale, è in realtà un passaggio obbligato per segnalare lo Tsipras 2.0, una sorta di upgrade. Non più il movimentista di sinistra, ma uno statista costretto a fare i conti – nel vero senso della parola – con una situazione insostenibile.
Si diceva dei numeri. La Grecia nel 2008 aveva un Prodotto interno lordo di 242,096 miliardi di euro, nel 2014 è stato di 179,080 miliardi di euro. Per non parlare del tasso di disoccupazione, schizzato dal 7,8% al 26,5%. La verità è che in questi anni non c’è mai stata una ripresa, nonostante i messaggi ottimistici che raccontavano dell’imminente rilancio della Grecia dopo tanto patimento. Ma le statistiche devono sempre essere incise nella memoria, perché dietro di loro ci sono storie di migliaia di famiglie ridotte alla fame. Dal 2008 nessuno ha mai davvero visto la luce in fondo al tunnel: solo tagli e sofferenze, con scaffali vuoti e difficoltà anche a reperire beni di prima necessità.
Per questo il 25 gennaio il popolo greco aveva consegnato a Syriza una maggioranza schiacciante. Alexis Tsipras era l’uomo che doveva ribellarsi ai diktat e ai nein della signora Angela Merkel e dell’altro pretoriano del rigorismo, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. E sempre per questo al referendum del 5 luglio i cittadini greci hanno pronunciato in coro “Oxi”, votando contro il piano di austerità dei creditori. Salvo ritrovarsi – sì proprio la Grecia – un Cavallo di Troia tra le mura di casa: una serie di pesanti richieste, dall’inasprimento della pressione fiscale all’avvio delle privatizzazioni. In questo quadro rientra la recente (s)vendita di 14 aeroporti greci alla società, guarda caso, tedesca Fraport.
Così il 20 agosto 2014 è arrivata l’ennesimo shock della vita politica greca: il premier lascia, ma solo per raddoppiare. Il programma di riforme imposto dai creditori è passato grazie a una maggioranza diversa da quella che sostiene l’esecutivo. Anche in questo caso i numeri non sono eludibili: senza i voti non si può governare. Inutile iniziare un lungo logoramento, un lusso impossibile per un Paese perennemente sull’orlo del baratro.
Tsipras a settembre cerca un ‘piano B’: governare senza i dissidenti, l’ala sinistra contraria all’accordo con le Istituzioni, che un tempo si chiamava Troika. Syriza resta a sinistra, per carità; ma con la consapevolezza che la Grecia è in una posizione di debolezza tale da non poter promuovere rivoluzioni nell’Unione europea. L’austerità made in Germany resta l’unico credo, indiscutibile: un dogma su cui sacrificare la vita economica di migliaia di famiglie. Atene deve – se vuole restare nel recinto dell’Ue – solo provare a limitare i danni in una posizione di subalternità tale da dover accettare molte delle medicine amare che Bruxelles, dietro le prescrizioni di Berlino, vuole somministrare. Indipendentemente dalle conseguenze sul popolo greco. Anche l’ipotesi di Vladimir Putin, che si muoveva alle spalle di Atene per trasformare la Grecia in un porto russo nel Mediterraneo, ha perso rapidamente quota.
Il premier greco ha pagato i mesi in cui ha confidato nel cambio di passo e di mentalità in Europa. Il tentativo di tessere una tela del dissenso tra i Paesi del sud Europa, comprendenti Spagna e Italia, non è stato attuato con mezzi convincenti. Matteo Renzi e Mariano Rajoy non avevano l’interesse di aprire realmente l’ostilità con Angela Merkel, sia per questioni pratiche (nel caso del presidente del Consiglio italiano) che per affinità ideologiche (come è evidente per il primo ministro spagnolo, componente della famiglia del Partito popolare europeo in cui è presente la Cancelliera).
Alexis Tsipras si è ritrovato solo a combattere per strappare condizioni migliori, viene da dire anche ragionevoli, per consentire al suo Paese di trovare una via d’uscita dalla crisi economica e sociale. Nemmeno la vicinanza del suo popolo lo ha reso più forte. Così ora chiede l’ennesima benedizione popolare, prima che i colpi dell’austerità possano affondare la sua popolarità. E regalare il Paese al possibile abisso dell’estremismo di destra, che porta il marchio neo-nazista di Alba Dorata.