Ecco svelata la rete di rapporti di Uber Italia. Dal Parlamento agli uffici ministeriali. Ma non riesce a farsi ‘legalizzare’. Il motivo? Tutto elettorale…
“Uber è un servizio straordinario, ne parleremo la prossima settimana”. Correva l’anno 2014, nel mese di maggio, e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, prendeva una posizione netta sul servizio della startup californiana. Promossa senza se e senza ma. Poco più di un anno dopo non resta granché di quella dichiarazione. Nel frattempo, infatti, il servizio “straordinario”, quello di Uber Pop, è stato sospeso da una sentenza del Tribunale di Milano, la country manager, Benedetta Arese Lucini, ha lasciato la guida di Uber Italia, passando la patata bollente nelle mani di Carlo Tursi. E soprattuto il governo non è intervenuto, cedendo silenziosamente alle pressioni di tassisti e alla logica che è meglio lasciare tutto com’è. Perché in fondo non è molto chiaro quali vantaggi possa portare Uber sul piano dell’occupazione, al di là della generica promessa di creare 50mila posti di lavoro in Europa nel 2015.
Eppure qualche mese prima delle affermazioni di Matteo Renzi, a febbraio 2014, dal disegno di legge Concorrenza – firmato dal ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi – era sparita la norma che avrebbe di fatto legalizzato Uber. Nella bozza iniziale, che YOUng ha potuto visionare, la legge era presente nell’articolo 24 intitolato “Eliminazione distorsioni concorrenziali per gli autoservizi di trasporto pubblico non di linea”. Poi una ‘manina’ è passata a cancellarla: i sospetti caddero sull’allora ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. Fonti vicine a Palazzo Chigi hanno spiegato che quella cancellazione non è avvenuta all’insaputa di Matteo Renzi. Anzi. Con la pignoleria che lo contraddistingue, il presidente del Consiglio ha dato il via libera all’operazione che ha portato alla cancellazione della norma pro-Uber. Successivamente il cammino del ddl Concorrenza è andato avanti molto a rilento, tanto che ora è slittato a settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari.
Quello di Uber, tuttavia, è diventato un caso politico a tutto tondo. In Parlamento ci sono alcuni ultrà sensibili all’azione di lobbyng condotta dalla startup. Uno degli sponsor del servizio di trasporti è il deputato del Partito democratico, Sergio Boccadutri, che ha polemizzato con la sentenza del Tribunale di Milano: “Secondo il Tribunale di Milano #UberPop va bloccato perché ‘aumenta il traffico’. Quando blocchiamo la pioggia?”, ha twittato con ironia dopo il pronunciamento dei giudici. Ma l’attenzione è bipartisan. Daniele Capezzone, deputato ex Forza Italia e ora passato ai Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto, ha definito il blocco di Uber la “conferma della chiusura del Paese”. E non solo in Parlamento la startup è ben voluta. Anche Carlo Stagnaro, capo della segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo Guidi, si è scatenato su Twitter: “Uber fa risparmiare? Quindi è illegale”, ha sintetizzato.
Viene quindi da domandarsi: come mai con queste entrature, Uber non è riuscito a essere legalizzato? La risposta ha il sapore elettorale: la pubblica difesa di politici e tecnici fa tendenza, conferisce un’immagine innovatrice. A conti fatti, però, in pochi hanno voglia di assumersi una pesante responsabilità: scontentare la lobby dei tassisti in primis, a meno di un anno dalle elezioni in molte grandi città, tra cui Milano e Napoli (chissà che non si voti anche a Roma). Per dirla in altri termini: la lobby dei tassisti vale molti voti, quella di Uber non si capisce. Poi in generale, su un livello più alto, bisognerebbe intervenire, in maniera pesante, sul modello economico e di sviluppo, che in Italia si fonda sulla rendita di posizione. “Alla fine prevale la logica del consenso”, spiegano fonti ben informate che avvalorano la tesi elettorale. E in tutto ciò non mancano le responsabilità dei vertici Uber Italia, che non sono riusciti a far pervenire un messaggio positivo agli amministratori locali, limitandosi alle relazioni istituzionali.
La strategia d’attacco mediatica non ha instaurato un dialogo proficuo con gli Enti locali. Per quale ragione un sindaco o un assessore deve inimicarsi i tassisti? Sarà una logica spicciola, ma anche questa è politica. Ancora di più in un ambito comunale: visti i risultati non brillanti, Bendetta Arese Lucini ha lasciato l’incarico. Da settembre, però, inizia la fase-due: già sono stati depositati numerosi emendamenti al ddl Concorrenza per normalizzare il servizio di trasporti. Riuscirà Carlo Tursi, erede di Arese Lucini, nella missione che gli è stata affidata?