“Mi hai preso il viso tra le mani e mi sei entrata nell’anima attraverso gli occhi.
Il mio corpo trema e perde aderenza alla realtà.
Siamo incollate l’una all’altra mentre un temporale esplode tra di noi.
Questa improvvisa novità ci sconvolge e ci spaventa, ma tu, Sara, hai più paura di me o forse semplicemente stai giocando e quello che hai dentro non corrisponde a ciò che dici.
Non lo so, so solo che non so più chi sono e tutta questa assenza di chiarezza mi fa stare bene. Così non sono mai stata”.
La osservo leggere le mie parole, mentre agisco scrupolosamente.
Mi perdo nei vortici dei miei pensieri alternandoli ai colpi di scure che segnano l’aria e segnano lui che troppo spesso ha marchiato il mio corpo con lividi e fratture.
Il rumore sordo distrugge il silenzio e rivoli di sangue scivolano lentamente dal piano della cucina sul pavimento bianco.
Ha fatto a pezzi la mia dignità per dieci lunghissimi anni e io ho fatto a pezzi lui.
Avrebbe dovuto riflettere di più quando gli ho specificato che con Sara era la mia prima volta, ma non ha voluto capire, anzi mi ha schernita, offesa, derisa e, cosa ancor più grave, ha tentato di umiliare anche lei.
Non ha rispettato il mio cuore e soprattutto ha fatto scempio di ogni angolo del mio corpo per i suoi luridi e infidi scopi, condividendolo, infine, con i suoi amici.
Mentre tutto scorre inevitabilmente sotto le nostre dita e la musica continua a suonare ininterrottamente, mi ritornano in mente immagini perdute del passato e il pensiero va.
L’eco della voce di lei risuona come una cassa di batteria e rompe il silenzio schematico indotto e voluto dalla mente paranoica di Ivan.
Avrebbe potuto interrogarsi più a lungo sul senso delle mie azioni e dei miei movimenti, invece non ha impiegato nemmeno uno dei suoi attimi imbevuti di presunzione e arroganza.
Non ha accettato che io e Sara fossimo complici.
Lei, inorridita e spaventata, osserva la mia lucidità e si lascia affascinare dalla forza della libertà.
Mentre risuonano le note della musica di Verdi, scopre che nulla è ovvio.
Sono certa che Ivan sia stato abitato solo da ignoranza.
Io detesto l’ignoranza.
Lei no, lei possiede conoscenza e sensibilità.
L’oro zecchino del soffitto risplende illuminato dalle luci dei fari del palcoscenico che ospita la mia performance. Il mio lui muore sotto i miei colpi, davanti a questo profilo di donna che ha temuto potesse minare la sua mascolinità.
Lei è un’illusione, una bella illusione.
La verità della vita non è quella che sembra.
Io non sono più quella che sono sembrata per tanto tempo.
La mia inquietudine ha incontrato il suo dolore.
La mia bocca ha incontrato la sua.
La sete di aria, la fame di liberazione ci ha fornito gli strumenti per scavare dentro noi e scovare una soluzione definitiva.
Sara appunta ogni cosa sul suo diario.
Chissà se qualcuno leggerà mai l’assurdo epilogo di due vite distrutte dalla necessità di un amore.
Il tempo scappa sempre più veloce, scappa dalle mani, dalle dita affusolate e ingiallite dalle tante sigarette.
La strada stretta nella quale abbiamo infilato le nostre vite si è inasprita eccessivamente e ha finito con l’essere ancora più sporca di quella che avevamo immaginato.
La pioggia, come lacrime insanguinate, scorre sulle guance indurite dal vento gelido di un cuore stracciato.
Sara ha fatto quello che sentiva di fare e ha impiegato forse troppo tempo prima di decidersi.
Io ho fatto ancora di più.
Il colletto bianco lurido e macchiato di sangue è abbandonato sul tappeto logoro dei loro umori.
Il suo lui è riverso, ma di lato, con le mani legate dietro la schiena e la bibbia infilata in bocca.
Mi dice “Emilia, finalmente è finita”.
Quando arriva la polizia ci trova ancora lì.
I calici di vino sono uno accanto all’altro e la bottiglia di Nabucco è vuota, come sono vuote le nostre anime.
Lei pulisce le stoviglie con le quali ha preparato la cena piena di morfina con cui ha stordito il pastore di Dio che ha abusato di lei fin da bambina e da cui ha avuto un figlio, mai conosciuto e dato in adozione quando era poco più che un’adolescente.
Io raccolgo i pezzi di Ivan in sacchetti di plastica, differenziandoli.
Agisco lentamente, meccanicamente.
Una mattanza, la mattanza della giustizia auto da fé.
Mentre ci portano via l’acqua del fiume scorre regolare e lenta, le voci delle persone animano le stradine del centro storico e girano lungo le bancarelle del mercato. Ascolto i rumori delle tazzine da caffè che si scontrano tra le mani dei baristi. Gli uomini dell’est giocano a domino su tavolini improvvisati legati alle biciclette sotto i porticati della Corte del Guazzatoio. Le luci della città riaccendono lo spirito natalizio e la speranza della bontà, la speranza di una vita nuova.
Tutto riprende e noi, che ne sarà di noi?