Eccoli.
Sono uno accanto all’altra, entrambi distratti dal vento che soffia, incurante dei pensieri. Osservano i lenti movimenti della bianca imbarcazione. Ascoltano i rumori dei motori. Restano fermi in attesa di partire.
Lei ha lunghi capelli castani raccolti in una treccia, occhi grandi e marroni, labbra sottili e un naso severo. È bella, di una bellezza inconsapevole e semplice, seria e ammaliatrice. Indossa un cappotto nero su un abito lungo a camicia con stampe di peonie rosse e un paio di anfibi neri. Le sue dita sono adornate da un infinito numeri di anelli, come infiniti sono i piccoli orecchini di perle nere alle orecchie. Si intravede un tatuaggio spuntare dalla nuca, un punto interrogativo nascosto dalla treccia. Una sottile linea di matita nera le trucca gli occhi e nulla più. Sembra disegnata, irreale, senza possedere la concezione del tempo.
Lui è alto, robusto, occhi azzurri e labbra carnose. Le sue mani lunghe e forti danno una sensazione di accorta protezione. La sua giacca blu e il jeans chiaro lo riportano ad anni passati, come la sciarpa di lino azzurro mare e i mocassini color cuoio. I capelli castani un po’ lunghi e mossi gli danno un’età minore della sua. Sembra pensieroso, pesante, senza possedere il concetto della calma.
Si guardano intorno.
È tutto pronto.
Si incamminano.
Lei ha un borsone di pelle rossa, lui un trolley di stoffa cifrata.
I due protagonisti spariscono tra la folla.
Prendo posto altrove, di fronte a un finestrino.
Mi addormento guardando il mare fondersi col cielo, in un unico manto blu scuro, in cui stelle e luna si inseguono in una falsa immobilità.
Nel silenzio della notte immagino la loro storia d’amore e di passione lungo i corridoi della nave che li porterà verso la terra di Circe.
Mi pare quasi di vederli e di sentire le loro risate.
Le mani possenti del giovane Vesuvio accarezzare le forme sinuose della bella sirena Capri e stringerla a sé.
La sua serietà annullarsi in un dolce sorriso accondiscendente e sciogliere i capelli in bei riccioli, mentre le due bocche si inseguono lungo la pelle, sorpassando il marchio, andando oltre chiome morbide e profumate.
Peonie rosse tuffarsi nella limpidezza del mare partenopeo sorvolato da stormi di gabbiani che spuntano all’alba tra i banchi di nuvole, partiti dalla roccia dei faraglioni.
E se lui dovesse andar via come Ulisse e lei restare sola, dovrà forse continuare il viaggio notturno guidata dal canto delle sue compagne metà dee e metà donne?
E se lui non riuscisse a rispondere all’interrogativo femmineo lasciandola preda dei suoi dubbi?
E se fosse lei a fare una riprovevole magia e a cambiare in mostro marino chi ferma lo sguardo sul suo amato?
E se lei pretendesse di vivere in luoghi remoti, non civilizzati, tra la fitta macchia e la selva, trasformando lupi e leoni in animali mansueti e lui non fosse capace di sopportare?
Quanti interrogativi!
Intanto le onde mi cullano nelle braccia di Morfeo e il mattino entra prepotente tra le ciglia spingendomi a uscire sul pontile.
Il vento si è calmato lasciando i sogni al loro posto e le speranze andare oltre le nuvole.
Il sole sorride ai riflessi dei pesci e intravedo figure indefinite salutarmi dalla profondità marina.
Approdo.
Eccoli.
Lui va via vinto dalla paura della lucentezza, lei scappa guidata dall’inganno come difesa.
Ognuno è da solo con la propria solitudine, ancora una volta distratti dal proprio ego, lasciando la possibilità di un incontro a un semplice arrivederci.
Ho sperato nella realtà, o, perlomeno, in quella immaginata.
Avevo dimenticato che la realtà cambia a seconda di come la si osserva, come il gatto di Schroendinger.
Chiuderò gli occhi e ricomincerò.
La prossima volta andrà meglio.