di Francesco Di Paola
Sabato 16 gennaio la piccola isola di Formosa è stata chiamata alle urne per designare il futuro del piccolo stato insulare situato a poca distanza dalla costa cinese. Fin da subito i taiwanesi sapevano che quello di sabato scorso non era semplicemente un voto atto a designare il nuovo presidente del paese, ma un voto decisivo anche per tracciare il futuro delle relazioni con Pechino, che da sempre rivendica l’isola come sua di diritto.
A vincere le elezioni è la stata la candidata del Partito Democratico Progressista (DPP) Tsai Ing-wen, che ha sconfitto il presidente uscente Ma Ying-Jeou del Kuomintang, lo storico partito che fondò quella che oggi è nota come la Repubblica di Cina. Fin dall’inzio della sua campagna Tsai Ing-wen ha fatto dell’affermazione di indipendenza della piccola isola il suo cavallo di battaglia mentre il suo principale avversario il presidente Ma si è sempre fatto fautore di un riavvicinamento con Pechino.
Per capire i perché di questo accesa diatriba è necessario fare un passo indietro. La Repubblica di Cina o Taiwan fu fondata dai nazionalisti del Kuomintang, guidati allora da Chiang Kai-shek, il 7 dicembre del 1949. Sconfitti dalle truppe comuniste di Mao, i nazionalisti furono scacciati da tutta la Cina continentale e ripiegarono a Taiwan dove fondarono il loro nuovo governo facendo di Taipei la loro capitale. Sotto protettorato statunitense che fino al 1972 la riconoscevano come unica vera Cina, Taiwan si sviluppò a tal punto da diventare uno dei poli più tecnologicamente all’avanguardia dell’Asia. Fu infatti una delle famose “tigri asiatiche”, economie emergenti dei paesi dell’estremo oriente e sud est asiatico. Per più di mezzo secolo Pechino non ha mai spesso di rivendicare la sovranità di Taiwan per se, sostenendo a gran voce la tesi di “un’unica Cina” e affermando che l’isola di Formosa non è nient’altro che una provincia ribelle. D’altro canto quella che all’inizio poteva essere interpreta solo come una divergenza “politica” negli ha sempre più preso connotazioni culturali. Oggi i taiwanesi sentono molto forte l’attaccamento alla propria identità nazionale e non solo. Anche il sistema di scrittura è diverso, mentre infatti nella Cina continentale si è optato per una semplificazione del sistema di scrittura a Taiwan vengono ancora usati i caratteri tradizionali, ben più difficili da scrivere di quelli semplificati.
Nonostante le differenze però, negli ultimi otto anni il presidente uscente Ma Ying-jeou ha portato avanti una straordinaria campagna di riavvicinamento a Pechino tanto che il 7 novembre 2015 ha visto il presidente Ma e Xi Jingping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, incontrarsi a Singapore (la terza Cina) in quello che è stato definito uno storico incontro fra i leader dei due paesi. Era infatti la prima volta che il più alto rappresentante di Pechino incontrava (e soprattutto stringeva la mano) al più alto rappresentante di Taipei.
Ora però ci si interroga e a buon diritto se questi sforzi non verranno presto vanificati. La vincitrice delle elezioni Tsai Ing-wen ha fatto dell’indipendenza dell’isola un capo saldo e imprescindibile, cosa che ovviamente non è stata accolta favorevolmente sul continente. Subito dopo le elezioni infatti dal motore di ricerca Weibo era diventato impossibile trovare risultati e notizie che riguardassero la vincitrice: la censura ha colpito subito.
Non solo, il riaccendersi delle rivalità tra la Repubblica Popolare e Taiwan rischia di aggravare un quadro geopolitico già di per se estremamente complicato. Sebbene la situazione non sia lontanamente paragonabile a quella mediorientale e nord africana, anche l’area estremo orientale presenta le sue tensioni.
Secondo molti esperti infatti, il rallentare dell’economia cinese è stato già indicato come uno dei fattori di recente aggressività della marina di Pechino nelle acque del Mar cinese meridionale. Pechino rivendica come sue moltissime zone marittime che circondano paesi come le Filippine e il Vietnam e in virtù di ciò ha avviato un’aggressiva politica espansionistica in quelle acque costruendo numerose isole artificiali e minacciando la sovranità di altri paesi. Le elezioni di Taiwan con il loro risultato potrebbero avere l’effetto di esasperare la reazione di Pechino che a sua volta potrebbe cominciare a sentirsi accerchiata. Sono infatti molti i paesi vicini che si sentono minacciati dall’atteggiamento cinese. Se a ciò si aggiungo le continue provocazioni della Corea del Nord abbiamo un quadro non proprio roseo.
Le elezioni di Taiwan che anni fa sarebbero passate anche abbastanza inosservate sono oggi diventate di vitale importanza per capire un’area geografica che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, è in costante mutamento in virtù di un dinamismo che investe sia il campo politico, economico e sociale.
Quello di Tsai Ing-wen è un compito tutt’altro che semplice. Riuscire a portare avanti un processo di normalizzazione delle relazioni internazionali con un colosso che non ha mai rinunciato a ciò che ha sempre considerato suo e, allo stesso tempo, rivendicare a gran voce quel diritto di indipendenza e sovranità cui oggi ogni cittadino taiwanese è fortemente legato.