C’è un fatto di cronaca che ha riempito nelle ultime settimane le pagine dei giornali, i discorsi al bar, le riflessioni personali, le omelie delle messe ed i discorsi distratti (da quotidianità familiare) di Caserta e provincia. È la storia di Mariopio Zarrillo. Ventidue anni, di Marcianise, scomparso e poi ritrovato, (forse) suicida.
Come sempre distratto, in una sera accaldata di settembre sfoglio il profilo Facebook di una persona che pubblica sempre cose interessanti, ma che di persona non ho mai conosciuto. C’è un post condiviso “di prima mano”, una cosa rara, è quello della fidanzata di Mariopio, Pia, e mente e cuore non riescono a staccarsi da quelle parole.
Non è la storia di Mariopio, il fatto di cronaca, a darmi il La. Chi mi segue da tempo sa che sono stato sempre solito soffermarmi su quello che mi accade intorno per sviluppare riflessioni d’amore, ma mai legato ad un fatto degno di nota. Ma stavolta è diverso, è per Mariopio e non solo.
Con un eufemismo direi che sono sempre i vivi quelli che se ne vanno. Ma sono anche sempre i vivi quelli che restano. Sono il contorno (a voler essere scientifici), quelli che costruiscono il complesso di relazioni, affetti, ricordi, sogni e desideri. Tutti spezzati. A me fanno paura i monumenti ai caduti, i cenotafi, le targhe con i nomi buttati lì. Mi fanno paura perché non ne riesco a cogliere la grandezza, ad immaginare la vita intorno, i ricordi lasciati a metà, le storie condivise, condizionate, ingarbugliate ed innamorate di cui non saprò mai nulla. Ma che si nascondono tra le sillabe dei nomi nello stesso modo in cui si nascondono nell’orbita di un pianeta tutte le orbite dei pianeti incrociati e che ne hanno condiviso la strada.
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Nel brutto mestiere di giornalisti – ma anche solo di esseri umani – ci ricordiamo sempre di chi manca o di cosa manca, del perché manca. Ma di quello che resta, poco o niente ci importa o ci resta, in fondo, davvero. Forse è un modo per sdrammatizzare, per restare al-di-qua della cronaca, della chiacchiera. Perché il dramma, da sempre, non è mai di chi non c’è più ma di chi resta e conta dentro di sé i frammenti di chi non è più nemmeno un frammento.
Ci sono sogni, passioni, parole, progetti, il suono della voce quando chiamava per nome. Ognuno può scavarsi dentro alla ricerca di qualcosa che appartiene a qualcun altro ma quando questo qualcuno non c’è più i cocci sono difficili la comporre.
Degli addii, impariamo a farcene una ragione. Ci sono i motivi, c’è il tempo che passa. Ma quando l’addio è defraudato non c’è vita che corre, solo il tempo lenisce, forse un po’ di più la verità. Ma la verità non aiuta a farsene una ragione.
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Nella teologia greca ortodossa c’è il concetto di un Dio che è ierophainomai, colui che agisce di nascosto. Per medesimo concetto, quando si ama qualcuno si custodisce dentro di sé una presenza nascosta che vive di vita propria. «Che bello quel maglione, gli starebbe bene». «Che belli quegli orecchini, direbbe che sono troppo grandi ma, poi, li comprerebbe». «Che bello questo film, se lo avesse visto avrebbe detto questo…». Quante volte capita di pensarlo, soprattutto quando lui non c’è più. E tutto parla, profuma, racconta e discute di noi.
Spesso si scrive o si dice «i familiari hanno deciso di non parlare con i giornalisti e di chiudersi nel proprio dolore», mi è capitato più di una volta. Di quelle tante volte, pur non conoscendo Pia e tutti quanti sono stati ogni giorno vicino a Mariopio spero di aver dato quel meno di un frammento di attenzione che mi spetta a questa storia, alla loro storia. Da un lato vorrei abbracciarli, ma so che non riuscirei nemmeno un po’ ad immaginare come stiano, soprattutto Pia che ha avuto per il fidanzato parole che sono state capace di scavarmi dentro come poche volte è accaduto.
Nel ricordo di Mariopio, sperando nella verità. Con il cuore accanto a quello che resta.