Questa è una notte gelida, da passare insonni. Il caldo novembre è finito, con potenti lampi che hanno sconvolto il mondo. Si parla di centinaia. Di morti. E per la seconda volta mi trovo catapultato nella Storia.
Appena 10 mesi fa era accaduto quel fattaccio brutto alla redazione di Charlie Ebdo. A 500 metri da dove lavoro. Oggi siamo a 50. Il Bataclan è quella famosa sala da concerti che fa da punto di riferimento ai clienti che chiedono indicazioni per meglio collocare il ristorante nella propria mappa mentale di Parigi.
Tutto comincia da quelle luci lampeggianti all’angolo. La sala è riempita. Ci sono i clienti da servire. Altro a cui pensare. Il cuoco invece esce per vedere che succede.
- C’è stata ‘na sparatatoria.
Ecco! Tranquillizziamo i clienti: continuiamo a farli sentire a loro agio. Sì, è una sparatoria. Ma una sparatoria tranquilla …
- Rimanete tranquilli a mangiare. Godetevi la cena.
E invece forse è una cosa seria. Ci sta un matto che gira armato. Sparano a caso. Rimanete dentro. Chiudete tutto.
Continuiamo il servizio. E intanto i clienti mettono mano agli smartphone.
Facebook. Twitter. Libération.
- Insomma che si dice?
Le patron mi si avvicina. Mi vuole cazziare. Ultimamente vuole farlo un po’ spesso. Ultimamente me ne sbatto altamente.
- Ma vuoi mandarmi in panico i clienti?
Ma è una tavolata di ragazzi. Invece, ai tre signori vicino all’ingresso gli ho già dato una pacca sulla spalla e detto di continuare a mangiare tranquilli.
Il team si gasa. State a vedere tra poco quanti messaggi che riceviamo dall’Italia.
E sarebbe stato maledettamente vero. Eppure si prosegue in questo irreale tran-tran. Si chiudono le porte, si invitano i clienti a rimanere calmi. Forse è addirittura meglio chiudere le saracinesche e spiegare gentilmente le misure di precauzione. D’altronde a che serve farsi prendere dal panico?
Si mantiene il sangue freddo e si cerca di finire il servizio alla svelta, lasciando a le patron solo il compito di finire di servire e incassare l’ultima tavolata dei giovani parigini, chiusi dentro insieme a tutti gli altri clienti rimasti. Un po’ per precauzione. Molto furbescamente per godersi un negozio di settecento metri quadri di arredamento rustico-chic e finissimo ristorante italiano. La corte interna riapre per permettere agli ospiti di fumare. Uscire? Per rischiare la pelle? Posso invece avere un altro bicchiere di Sangiovese?
Me ne esco che è quasi mezzanotte e mezza. Cosa so di tutta questa storia?
Bombe allo Stade de France (Cristo! Ci vivevo lì vicino!). Ostaggi al Bataclan (Cazzo! A cinquanta metri da qui!) Proprio all’angolo davanti al ristorante, c’è il cordone di sicurezza di polizia. Lì era rimasto un poco a polleggiare il cuoco, insieme ad altri curiosi e giornalisti. Ora è andato. Siamo proprio al limite legale ultimo della Storia che si mette in marcia. E io sono ancora una volta a pochi passi da lei.
Mi metto con calma in contatto con parenti stretti e amici. Si rassicura tutti. Perfino il vecchio prof di giornalismo ai tempi di Trieste che si fa vivo. E ti chiede di mandare delle foto. Si viene a sapere dell’uccisione dei terroristi al Bataclan. Ma quanti sono i morti? All’inizio si diceva 18. Poi dopo nemmeno mezzora già si parlava di una trentina. Quasi all’una erano più di quaranta. 42-43. Poi un centinaio. Noooo…ma come fa a essere un centinaio? Sono voci. Non è stato confermato. Paiono quasi solo dei numeri. Dati statistici.
Cerco di capire meglio e chiedo a una giornalista di FranceInfo se si sa il numero preciso di morti. 120. Di cui quasi 100 al Bataclan. Li hanno uccisi tutti? No, quella è una sala da 1500 posti. Quasi tutti si sono salvati. Ma rimane quello il luogo della carneficina. Del carnage. Poi le cose si ridimensionano. I profili si definiscono meglio, ma l’essenza dell’orrore non cambia.
Poi, con calma, passerà anche questa. Parigi ha vissuto e perpetua infinti e altri orrori. Dalle atroci retate della semaine sanglante che ha ucciso la Comune, alle raffles naziste degli anni dell’occupazione. Dall’intrinseco razzismo classista della sua repressione, alla sua grottesca burocrazia assistenzialista. Eppure … eppure nonostante tutto è Parigi. La Parigi dello Stato sociale socialista e della spensieratezza aristocratica. La Parigi che resiste.
Stefano Dorigo Parigi, 14 novembre 2015 Ore 5:15