Quando hanno provato ad avvisarmi non ho voluto dare ascolto, ho pensato che fossero pensieri di persone cattive, che, inutilmente, tentavano di mettermi in guardia da qualcosa che non si sarebbe mai verificato.
Invece è accaduto e ora ne sono vittima e carnefice al contempo.
Ho letto con lui di loro e voglio vivere come Ginevra e Lancillotto.
Mi allontano dal mio corpo e mi osservo seduta in poltrona.
Mi tremano le mani, ne sudo i palmi e sento caldo.
Probabilmente il mio viso si è arrossato e inizio a tossire.
Mi capita sempre quando provo imbarazzo, quando mi preoccupo per una situazione e mi sento a disagio.
E’ colpa sua.
Non posso sorridergli, non posso osservarlo, non posso corrergli incontro e baciarlo come e per quanto tempo vorrei.
Non posso nemmeno perdermi nei suoi occhi perché lui non alza lo sguardo. Ha paura, forse.
Il mio sposo è suo fratello.
Mi sfugge, purtroppo.
Si siede sempre distante da me.
Mi evita, se può.
Inizialmente non riuscivo a capirne la reale ragione, ora una ragione me la sono creata.
Quando siamo insieme ci sentiamo a casa.
Come quando si cerca a lungo un luogo in cui riposare e finalmente lo si trova e si sta bene, così bene che si teme sia tutto finto, sia un sogno da cui, improvvisamente, si verrà svegliati.
Quando ci baciamo, di nascosto, al buio, le nostre bocche non smettono di cercarsi e hanno fame, si divorano, mangiano con bramosia ogni piccolo centimetro dei nostri corpi.
Quando ci abbracciamo abbiamo dieci, cento, mille mani che sfiorano, accarezzano, stringono, penetrano ogni millimetro della nostra pelle e non la lasciano andare via.
Quando ci amiamo, a modo nostro, un modo sbagliato, un modo malato, noi sentiamo il cuore esplodere e uscire dal petto, prendersi per mano e arrivare fino alle stelle, girare intorno alla luna, vagare nel cosmo e tornare, carichi di luce e di energia.
Quando ci guardiamo negli occhi e accarezziamo le nostre ciglia riusciamo a scorgere i nostri fantasmi e a sconfiggerli o a farceli amici.
Ma nella vita reale, nel tempo concreto, siamo due estranei, due persone con quasi nulla in comune, due corpi che nemmeno si sfiorano.
È così che trascorriamo gran parte della nostra esistenza.
Temiamo la profondità, la trasformiamo subito in pesantezza e non ci rendiamo conto che invece è quello che realmente dà senso al nostro percorso personale.
È intensità.
Scivoliamo tra le lenzuola della vita senza riuscire a creare un solco che sia solo nostro, che dia un’impronta indelebile nel presente e soprattutto al futuro.
E’ merito suo.
La mia energia, la mia passione, la mia volontà, la mia capacità di guardare il mondo come me lo sono messo in testa, la mia velocità nel recepire i segnali, la mia fragilità trasformata in forza, la mia immaturità fonte di ricchezza e di dolcezza.
Di lui ho inebriato ogni pezzo di me, del suo odore, quello che si porta dietro da quando è nato.
Del suo sapore ho sfamato la mia lingua e ne ho ancora fame, sete, voglia.
Non mi basta mai.
Della sua voce sento ancora il bisogno di riempire le orecchie.
Delle sue mani non mi sazio, mai.
Non temo la necessità che potrei provare.
Non ho paura dell’aria da respirare, come potrei aver paura di fermare il mio tempo con lui, in un qualsiasi modo?
Lui teme ogni cosa.
Non riesce.
Rallenta fino a fermarsi e torna indietro.
Mi lascia andare via, velocemente, come se la mia essenza fosse una nuvola di vapore che ha messo un sottile velo sulla sua vita.
Eppure sento ancora addosso i brividi del suo tocco sottile, il calore della sua lingua, il peso del suo corpo sul mio.
E lui ha già dimenticato tutto?
No, non è possibile.
Ci sta proteggendo. Protegge e nasconde il nostro amore.
Sto male.
Mi gira la testa.
Non respiro.
Ci hanno scoperti e il conflitto tra morale e passione è arrivato all’epilogo.
Mi allontano dal mio corpo e mi osservo seduta in poltrona.
Mi tremano le mani, ne sudo i palmi e sento freddo.
Probabilmente il mio viso si è impallidito e inizio ad andare in apnea.
Mi capita sempre quando provo dolore, quando mi lascio deludere da una situazione, da una persona e mi sento in colpa con me stessa.
Sono un’anima vagante tra le rocce spigolose della vita.
Le punte acuminate mi feriscono, la gelosia mi dilania la carne, l’indifferenza mi lacera le membra.
Il nostro desiderio amoroso ci ha condotti, come due dannati, alla perdizione.
Sembriamo essere così leggeri nel vento, come le gru che volano allineate in cielo.
Siamo stati trascinati in un vortice da una bufera lussuriosa e incessante.
Noi due, peccatori carnali che la ragione sommettono al talento, non abbiamo saputo opporci alla forza della passione sessuale.
Torneremo ancora, nonostante tutto, come anime vaganti ora che i nostri corpi sono rimasti senza vita. Abbiamo trovato casa e vivremo nei nostri reciproci cuori, fino a quando il tempo del perdono e della conversione non finirà.