Quello che segue è un reportage, in tre parti, della giornata del primo maggio milanese del 2015. In quella data cadeva l’inaugurazione del tanto atteso Expo: l’enorme esposizione universale a cui avrebbero partecipato nazioni da tutto il mondo. Per protestare contro quello che veniva percepito come un’ingente sperpero di denaro pubblico e il via libera a nuove pratiche di sfruttamento del lavoro, un ampio ed eterogeneo movimento si era messo in moto. Tantissime realtà e soggetti da tutta Europa si sono ritrovati in occasione della giornata dei lavoratori per imporre il loro “NO” e provare ad oscurare la sfarzosa festa inaugurale presieduta dalle più alte cariche dello Stato. Il risultato è stata una lunghissima giornata di scontri che si sono protratti fino a sera, di una tale radicalità e diffusione da lasciare basiti gli stessi organizzatori della rete No-Expo.
Nelle pagine che seguono – scritte subito dopo i fatti – l’autore intende ricostruire lo svolgimento delle ore più calde, riportando anche l’aspetto emozionale che ha accompagnato il susseguirsi degli eventi, integrando delle riflessioni nate dalla lettura di alcune opere sociologiche, come “Les temps des émeutes” dell’antropologo francese Alain Bertho. Un racconto in presa diretta che mette in evidenza le ragioni e la composizione di un fenomeno molto complesso e, che per un giorno almeno, ha segnato l’agenda politica mondiale.
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“Ma qualcuno ha avuto modo di essere in mezzo agli scontri?”
“Io ci sono stato per un po’, ma mi sono presto defilato. L’aria era irrespirabile. E vabbè… hanno rifatto a nuovo la sede dell’Enel, ma ho visto anche sfondare le vetrine di un Picard e di un’agenzia viaggi.”
“Un’agenzia viaggi?”
“Quando parte il kindergarten non ci si capisce più un cazzo. Ma hanno almeno saccheggiato il Picard, quello dei surgelati?”
“Neppure quello. Solo vetrine sfasciate.”
“Manco l’esproprio. Qui mancano le basi…”
“Hai visto bruciare auto?”
“Qualche suv: ci si concentrava per lo più alle vetrine delle banche. Credo che lungo il percorso non ne sia rimasta una sana.”
“Fatemi dare un occhio ai tweet: vediamo se si dice qualcosa. Auto bruciate … commenti a cazzo che si sprecano … Oh sì. Questo sì che è importante.”
“Cosa?”
“Fedez si dissocia dalle violenze.”
“Siamo noi che ci dissociamo da lui. Ma si dice nulla sugli arresti?”
“Aspe … l’Huffington Post parla di cinque fermi e una decina di poliziotti feriti.”
“Si sa chi è stato preso?”
“Nomi ancora non se ne fanno…”
“Saranno persone che si tenevano ai margini. Quando si crea e si muove, il blocco nero è per paradosso la parte più sicura del corteo. La caotica calma dell’occhio del ciclone.”
“Mi vien da dire che oggi è andata bene. Domani non si parlerà che dei casini e ‘fanculo l’expo. Gliela abbiamo fatta noi una bella inaugurazione.”
“Seee… adesso però tocca ai compagni che restano a Milano gestirsi la cosa politicamente e smazzarsi tutto il carico di repressione che adesso seguirà di sicuro. Una bella trave nel culo, altroché!”
“Certo! Un bel problema, ma che si voleva fare? La solita sfilata per il centro di sfattoni sottocassa? Purtroppo se non vengono fuori scontri, dopo nessuno ne parla.”
“Ma almeno le auto sono da evitare di bruciare.”
“Si cerca sempre di colpire solo quelle di lusso. È chiaro a tutti che se hai il suv sei un coglione.”
“Nella situazione italiana, il suv che brucia causa repulsione: grossomodo tutti in Italia hanno l’auto e quando ne si vede una che brucia, c’è la tendenza a pensare alla propria. Mentre la vetrina sfaciata della banca è già molto più facile che raccolga solidarietà.”
“Che si possa fare di meglio sono d’accordo. Si può sempre migliorare. Dico solo che per fortuna certe stanche dinamiche fatte di sfilate per i diritti e la democrazia si sono esaurite. Pure la giornata di oggi ha mostrato i suoi limiti: il riot per il riot non porta a un cazzo, ma almeno – per me – si è andati una volta tanto nella giusta direzione.”
“Sarà. Intanto chi resta a Milano adesso se la dovrà vedere con la polizia che sarà decisamente avvelenata.”
“Quelli infami lo sono di mestiere. E sono anche vigliacchi. Quando c’è da menare le maestre si fanno leoni, ma mica lo hanno avuto il coraggio di venire a contatto fisico con noi oggi.”
La pioggia bagna Milano in questa lunga notte che lentamente porta il 2 maggio. L’alba sembrerà non arrivare mai per chi ha deciso di dormire al campeggio a Parco Trenno, o in qualche struttura militante. Anche per questo ho deciso di starci lontano, trovando rifugio da dei vecchi amici.
Sissi è a farsi la doccia. La sua coinquilina dorme: domani lei lavora. All’Expo. Lei è una di quelle chiamate il 20 di aprile per presentarsi alla fiera puntuali il 22, due giorni dopo, senza nemmeno l’ombra di un contratto. E cazzi suoi se per caso lei è di Roma e questo significa precipitarsi al Nord, senza garanzie, pur di avere un lavoro. Avrei voluto chiederle quanto la pagano, ma sono stato discreto: ho evitato di infierire. Lei avrebbe avuto più diritto di tanti altri a venire con noi al corteo e vestirsi di nero. Più penso all’Italia e più mi stupisce che fenomeni come quelli di oggi non avvengano più spesso: ce ne sarebbe un gran bisogno.
Mi servo un bicchiere di amaro e ricerco una vecchia canzone di un cantautore milanese: credo che al di là di un certo vecchio circuito militante, sia poco noto. Con la sua ironia aveva cantato degli anni Settanta, dell’Autonomia e della sua città. C’è da chiederselo ancora, come la sua canzone, oggi “Milano cosa fa?”.
Me la ricordo grigia
a galla nella nebbiale strade lastricate
il naviglio e la sabbia.
Una città discreta
s’illuminava a sera
segnava con Mazzola
sognava con Rivera.
Come cambia Milano,
com’è sempre più strana
un miraggio nel pozzo
e Milano è la luna.
Come cambia Milano
come corre dispersa
ragnatela volante
che non sa la direzione
e Milano si è già persa.
Era una striscia rossa
su Piazza Fontana
Il Corriere parlava
la voce di “Madama”
Era divisa e viva
e si dormiva poco
sognando un vento caldo
che la mettesse a fuoco
Come cambia Milano,
che rifiuta il lavoro
per lavorare il doppio
e cambiare il piombo in oro.
Come cambia Milano
ogni giorno si espande
macinando cemento
e confuse passioni
e Milano è più grande.
Ma chi è scappato
la porta con se
con quello che è cambiato
e con quello che c’è
E vivi molto meglio li
dove stai, ma Milano cosa fa?
E la ritrovo sporca
di abiti firmati
di macchine da mafia,
di uomini abbronzati.
Una città volgare
che gode nel rumore
una città cresciuta
a misura d’assessore.
Come cambia Milano,
luccicante latrina,
un pozzo di petrolio
che puzza di trielina.
E’ Milano che mangia
e non chiude la bocca
è Milano ubriaca
di soldi e veleno
e nessuno più la tocca
Ma chi è scappato
la porta con se
con quello che è cambiato
e con quello che c’è
E vivi molto meglio li
dove stai, ma Milano cosa fa?
E Milano, e Milano,
e Milano,
E Milano, dimmi cosa fa?
E Milano, e Milano,
e Milano,
E Milano, dimmi cosa fa?
Chi può farlo parte
se ne va, senza più rimpianti
e Milano dimmi cosa fa?
Vivi meglio, cambi di città
ma ci pensi sempre
e Milano, dimmi cosa fa?
E Milano, e Milano,
e Milano,
E Milano, dimmi cosa fa?
E Milano, e Milano,
e Milano,
E Milano, dimmi cosa fa?
Cosa fa?
Oggi a Milano piove. Eppure splende anche il sole.