Se ci penso è tutto sbagliato e so che la soluzione migliore sarebbe non pensare, ma chiedere a me di non usare la testa è una perdita di tempo come aspettarsi che al risveglio il sole non sorga.
Io sono nata pensante, ho letto, studiato e scavato tutti i giorni nella mente umana, tra i pensieri, i ragionamenti.
A volte mi “inceppo” all’interno delle elucubrazioni labirintiche…e mi inceppo in te, tra le tue labbra, quando mi abbracci, quando ci stringiamo.
Scivolo sui tuoi denti perfetti, forti, bianchi e atterro sulla tua lingua calda, morbida fino a spingermi giù, nella tua gola, annegando nella saliva.
Quando senza parlare ti interrogo, tu mi rispondi con lo sguardo, ma i tuoi occhi sono equivocabili: possono voler dire tutto e il contrario di tutto.
Il tuo silenzio, nascosto tra baffi e barba, mi rasserena e placa la mia agitazione.
Hai ragione, facciamo una cosa che ci fa stare bene e ci stiamo bene nascosti dentro, al caldo… e allora penso solo al lato bello di tutto questo e mi lascio andare a qualcosa di sconosciuto, di disarmante, com’è disarmante il tuo sorriso.
Dietro le vetrate colorate e ricamate della chiesa spesso ho visto alzarsi in volo stormi di uccelli, girare in circolo per poi puntare a sud.
Mi sono fermata nel rosso dell’imbrunire vespertino e ho fermato il mio cuore che troppo spesso mi procura ansie.
Ho ricordato il mio peregrinare alla ricerca di un colpevole, alla ricerca di una spiegazione razionale che dia un senso a tutto quello che ha scalfito violentemente il nostro tempo, regalandoci momenti di dolore.
Spengo la luce che ho sulla panca.
Decido che è il momento.
Dormo.
Sogno.
Mentre cammino velocemente senza sapere dove andare, sento crescere in me la voglia di riscatto e il bisogno di averti accanto.
Scivolano tra le dita le lacrime di mia madre quando sei partito.
Le mie dita che non sanno stare mai ferme e si muovono in continuazione, come se avessero bisogno ininterrottamente di stringere qualcosa.
Dormo.
Tento.
Il mio fedele cane è ai piedi del letto.
Riposa e veglia su di me.
Al minimo rumore scatta sulle zampe e si allarma.
Mi proteggerebbe da qualsiasi pericolo e avversità.
Sogno.
Sogno?
Avverto il movimento del materasso e un peso appoggiarsi accanto a me, sul lenzuolo.
Un alito di respiro mi arriva in viso.
Sento lo spostamento d’aria a un millimetro dal mio naso e una strana inquietudine mi pervade l’animo.
Niente è come sembra.
Cosa fare o non fare?
Chi è stato, è stato e chi è stato, non è.
Chi c’è, c’è e chi non c’è, non c’è.
Dove sei finito?
Terrore.
Mi alzo di scatto quasi a volerti vedere, ma di te nessuna traccia.
Ti ritroverò, prima o poi, e ti riporterò a casa, Polinice, se appartieni ancora al tuo corpo.
Ho il compito di proteggere il nome della mia dignitosa famiglia.
Sei stato esiliato a causa del tuo essere schierato.
Sei stato mandato via dalla tua casa, dai tuoi cari, in solitudine, alla ricerca di consensi, perdendo il rispetto che avevi per te stesso.
Aspetto.
Nel mio fragile cuore la speranza di ascoltare nuovamente la tua voce e di rivedere il tuo sorriso esplodere nei tuoi occhi come quando tenevi in braccio tuo figlio mi tiene in piedi e mi da la forza di sopportare questa estrema disarmonia tra ciò che esiste e ciò che alimenta il desiderio.
Ho imparato a guidare senza proferire verbo chi non vede con gli occhi, ma scorge col cuore.
Ho imparato che l’uomo è poca cosa, pochissima cosa, e che la paura che vuole imporre il suo potere non ha alcun peso rispetto alla libertà di essere chi si vuole essere.
Io amo, Emone, tu puoi confermarlo, nonostante le brutture della vita.
Mai nessuno potrà decidere cosa dovrà dimorare nei nostri cuori.